Plinio Perilli: HOLLYWOOD ODIOSAMATA (9) – Ribelli senza motivo

9 – Ribelli senza motivo

Una Gioventù bruciata che, nella psicologia dei grandi, era l’amara fantasticheria di un Rebel without a Cause – come recitava il titolo originale del film! – di un ribelle senza un motivo. Taluni non volevano vederli, ma di motivi ce n’erano fin troppi! “La freschezza finto-istintiva della recitazione dell’attore lascia sulla storia il segno della autenticità,” – annota Fernaldo Di Giammatteo – “provocando una specie di corto circuito tra psicologia e sociologia. Erano gli anni in cui il cinema americano si occupava del disagio dei giovani. Questo è uno dei frutti più ricchi della ricerca. Sono di fronte due mondi: i genitori che non hanno né grinta né comprensione (il padre di Jim è un inetto, il padre di Judy trascura la figlia), i figli cercano una guida e un affetto e non trovano nulla (Plato ha un disperato bisogno di amicizia, e paga addirittura con la vita, spaurito figlio di una madre indegna).”

Ma ogni generazione, possiamo dirlo, ha in fondo i suoi attori di rottura, quelli che incarnano a perfezione la rabbia, i sogni accaniti, le contestazioni, i veleni pubblici e segreti, o i polverizzati miraggi epocali: pochi anni dopo, quelle anime/manifesto, quei volti/immagine, sarebbero stati le tensioni o le spastiche ironie incarnate da un Paul Newman o uno Steve McQueen – ben oltre le pur assimilate tecniche da Actors’ Studio… Poi ancora fu la volta dei Dustin Hoffman e dei Robert Redford, dei Robert De Niro e degli Al Pacino…

Ma molti miti crollarono, già vita natural durante: o peggio finirono istituzionalizzati, patinati come certi magazines di grido, o le colorate, aggiornate riviste mensili. Truman Capote, in pieno 1956, a Kyoto dove stava principescamente girando Sayonara, va a intervistare Marlon Brando, e ne trae un’intervista psicologica (“Il duca e il suo dominio”), un reportage quasi di costume, bello e intenso come un racconto; e in cui nel ’57 rimpiange il Brando del ’47, alias Stanley Kowalskij di Un tram che si chiama desiderio, conosciuto in una oscura prova a teatro: “…Non immaginavo neppure chi potesse essere quando, arrivando troppo presto per la prova, trovai la sala deserta e, sul palcoscenico, steso su un tavolo, un robusto giovanotto che dormiva profondamente sotto la luce squallida dei riflettori. La camicia bianca aperta, i calzoni di tela, il fisico da atleta – braccia da sollevatore di pesi, petto da Charles Atlas (anche se, sopra, vi era appoggiato, aperto, ‘Il meglio di Sigmund Freud’) – me lo fecero scambiare per un macchinista. O almeno così credetti fino a quando non lo guardai bene in faccia. Era come se la testa di un altro fosse stata attaccata a quel corpo muscoloso, come capita in certe foto truccate. Perché quella faccia dai lineamenti così marcati era addolcita da una gentilezza e una grazia quasi angelica: pelle delicata, frante ampia e alta, occhi ben spaziati, naso aquilino, labbra piene con una espressione rilassata e sensuale. Assolutamente nulla che facesse pensare al poco poetico Kowalskij di Williams. E fu davvero un’esperienza memorabile, più tardi, quel pomeriggio, osservare con quale camaleontica facilità assumesse l’espressione crudele e smargiassa del suo personaggio, con quanta maestria si calasse nella parte, come la sua vera personalità sparisse…”.

Valse anche per la musica, le canzoni: Elvis Presley, ad esempio (il brillantinato idolo della gioventù mondiale tra i ’50 e i ’60), che nacque come una forte esplosione, una ritmica, allegra liberazione capace di fondere country e rythm and blues a inventarsi la rivoluzione strepitosa, ballonzolante e amplificata di un nuovo genere, il rock and roll – e finì idolatrato giuggiolone nazionale per la gioia formato poster gigante delle adolescenti introverse o in fregola (Il delinquente del Rock’n’Roll , 1957, di Richard Thorpe, e La via del male, 1958, di Michael Curtiz, restano forse i suoi film meno sbracati o indigesti – stranito sempre com’era davanti alla macchina da presa, in pieno set: quasi come un pesce fuor d’acqua, o una chitarra con le corde lente e rotte, stonata di silenzio).

© Plinio Perilli, casa editrice Mancosu (Roma), 2009
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3 risposte a "Plinio Perilli: HOLLYWOOD ODIOSAMATA (9) – Ribelli senza motivo"

  1. Plinio Perilli riesce sempre a descrivere con sensibilità e lungimiranza le realtà (cinematografiche e non..) che prende in esame.
    E davvero un grande film questo!

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