Primo Levi: Per Adolf Eichmann

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Per Adolf Eichmann

Corre libero il vento per le nostre pianure
eterno pulsa il mare vivo alle nostre spiagge.
L’uomo feconda la terra, la terra gli dà fiori e frutti:
vive in travaglio e in gioia, spera e teme, procrea dolci figli.

… E tu sei giunto, nostro prezioso nemico,
tu creatura deserta, uomo cerchiato di morte.
Che saprai dire ora, davanti al nostro consesso?
Giurerai per un dio? Quale dio?
Salterai nel sepolcro allegramente?
O ti dorrai come in ultimo l’uomo operoso si duole,
cui fu la vita breve per l’arte sua troppo lunga,
dell’opera tua trista non compiuta,
dei tredici milioni ancora vivi?

O figlio della morte, non ti auguriamo la morte.
Possa tu vivere a lungo quanto nessuno mai visse:
possa tu vivere insonne cinque milioni di notti,
e visitarti ogni notte la doglia di ognuno che vide
rinserrarsi la porta che tolse la via del ritorno,
intorno a sé farsi buio, l’aria gremirsi di morte.

(20 luglio 1960)


13 risposte a "Primo Levi: Per Adolf Eichmann"

  1. La Compassione in Primo Levi, non l’odio. Qui sta la sua grandezza umana!
    La datazione del suo componimento (20 luglio 1960) si riferisce al giorno in cui avvistarono Adolf Eichmann, la casa e la sua famiglia in Argentina.
    Le forze militari, meglio dire forze del Mossad, prima di arrestarlo-rapirlo comunicarono:

    “L’uomo è l’uomo”.

    Abele, ho tutto in testa e, soprattutto, nel cuore!
    Ho Levi, ho Anne Frank, ho Eichmann, mi si spalancano orridi…

    Se posso vorrei tornare e postare qualcosa. Posso?!
    Un abbraccio,
    Ninette***

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  2. lunga vita al carnefice, augura Primo Levi. e lui stesso, vittima, col solo dare voce a quell’augurio manifesta il rischio della deriva. ci vuole poco a trasformarsi da vittime in carnefici. del resto, come dargli torto? il male subito lascia segni incancellabili. ma vedere Eichmann in un sepolcro di cristallo, al processo, è già una grande lezione. si può riflettere tristemente sulla banalità del male, sulla sua devastante insipienza, sulla sua inutilità. siamo tutti destinati alla morte, anche i boia. e siamo tutti ‘testimoni’ di quanto il male sia scialbo e inutile: uno spreco di umanità, un ‘lusso’ che non ci vogliamo permettere. perché ne conosciamo gli effetti, quando si mette all’opera, e innesca spirali di odio, di dolore, di violenza, senza fine. è doveroso ricordarlo, a noi stessi ogni giorno, e anche ai boia del presente e del futuro, perciò, sommessamente, ogni anno mi permetto di ricordarlo agli sguardi indifferenti di chi, spero non qui, ricorda un olocausto e di fatto, sia pure soltanto col silenzio, con non parlarne, ne nega altri. perché bisogna abbattere le barriere, tutte. che il mondo intero diventi “Agorà”: questo dev’essere il sogno. ricordarlo è il compito di ogni testimone.

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  3. Ciao Mariella
    Ieri, nel giorno della memoria, per pura coincidenza con il libro di testo di uno dei miei corsi, mi sono trovato a parlare con i miei studenti di un libro dedicato alla strage di Sabra-Shatila, “From Beirut to Jerusalem”. E comunque, come faccio ogni anno, in questo Paese dove anche i media se ne dimenticano, puntualmente ricordo ai miei studenti dell’Olocausto degli Ebrei. All’altro Olocausto, quello perpetrato dallo stato di Israele, abbiamo dedicato molto spazio in questa agorà, del resto ho fatto parte di un progetto che ha portato, attraverso il teatro, un messaggio di pace e di dialogo nei luoghi stessi della tragedia. Invito a leggere i post dedicati al progetto:
    http://neobar.wordpress.com/category/teatro/roads-and-desires/

    Ricordare un olocausto con altri olocausti ha una sua logica, anche se c’e’ purtroppo chi finisce spesso per confondere gli Ebrei con lo stato di Israele. Finisce anche, basta farsi un giro su Internet per rendersene conto, con il negare o sminuire la tragedia stessa, come se rettificare il numero delle vittime potesse di fatto diminuire il significato della tragedia, come se sostenere che i diari di Anna Frank o le tele di Felix Nussbaum siano dei falsi potesse di colpo cancellare tanta sofferenza. Primo Levi, fino all’ultimo giorno della sua vita, aveva dei numeri sulla pelle. Levi diceva che si può perdonare solo chi si pente, chi comprende i propri errori. Eichmann avrà dormito tranquillamente per anni e anni, a togliergli il sonno saranno stati i suoi affanni personali, o quando è finito in quella gabbia (grande lezione per l’umanità ma l’ennesima prova della sua sconfitta). Non perdonare non per forza significa scatenare l’ odio, è anche il bisogno disperato che il carnefice attraverso le notti buie della sua coscienza arrivi a capire. Levi, come altri, si è suicidato perché consapevole che il male non ha fine, che neanche una testimonianza come la sua è stata di monito per l’umanità.
    Abele

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  4. Ciao, Abele  Avevo già intuito il tuo impegno. Questo blog non si chiamerebbe Agorà se non fosse un luogo di incontro, se tu stesso non fossi uno che costruisce ponti tra sponde diverse. In quanto a me, conosco la differenza tra Israeliani, Palestinesi, Musulmani ed Ebrei e non sono tra quelli che fanno confusione. Amo con la stessa intensità poeti e scrittori come Grossmann, come Primo Levi e come Darwish ed ho lo stesso rispetto per il dolore di tutti. Cliccando sul link che hai segnalato sono arrivata al racconto di Omar Suleiman sulla diaspora palestinese, quello in cui parla anche di arance, e ne sono rimasta profondamente colpita.

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  5. ” restiamo umani ” quanto c’è in queste due parole? un’immensità e in questa immensità vedo l’odio nelle parole di Primo Levi perchè anche odiare è condizione per rimanere umani, l’odio che non si compie certo, ma odio. L’urlo inevitabile per una ferita e non la compassione per quello che ci ferisce. Visione personale si, ma questa poesia è grande e vera e umana,perchè odia, e perchè odia lascia qui scritto un Uomo.
    grazie per tutti questi vostri approfondimenti che sempre aprono.

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