Question Time. La poesia-azione di Michele Ortore

 

Caino

Magari tornasse ancora (sulle braccia) 

tra gli infissi delle scapole il teorema

di un pomeriggio aperto e questa

finestra ora è (il palafreno del sole):

“Ti ho sognato, lo sai, eri il minuetto della luce”

lo stropicciarsi bello del bosone di Higgs

senza saperlo, il segreto è quello, senza saperlo:

perché sia possibile ancora incontrarti

oggi che agito ogni corteccia nelle mie geometrie,

prego in un solitario chiudere gli occhi (vedo)

la disposizione di ogni cardo (sciolgo)

il mazzo della mente e nell’azzardo

sapere senza il sapere, come formica nei ghiacci

 e tu che tracci

il rapidissimo incavarsi del tempo

(userai l’altalena)

 

Dauer im Wechsel

Lo senti, lo senti, lo senti, lo senti,

lo senti, il campanello? anzi ripete    

la curva della serpentina nel frigo

il rimbalzo semibreve sull’intonaco

del pigiare un grigio pulsantino

come specchio ustorio fino al corridoio

delle menti soltanto predisposte

al domestico sfrigore, al cucinio trasalire ma

cade la parete cade il cateto cade

il quadrato e la radice della stanza,

cade la leggenda suicida e fasulla

delle clavicole stempiate in certi versi

incapaci di parlare, ma non di allogare

nelle gore di un trattino il vomitare

repentino per la vita brulla e se Rilke

disegnava nelle ore il futuro di Dio,

è molto meglio compiacersi d’aver cancellato

il già cancellato disegno passato,

in lode alla maestà presente della clavicola,

con l’alopecia a garantire assoluzioni:

ha la mitra l’ironia, e abacadabra il mondo è sparito

– ahah, vorresti i sèmi almeno per dirlo,

ma Derrida non te li dà – è già tanto che non derida

e non avrai altro dio al di fuori del negare

 Eppure, se solo chi afferma il silenzio

scegliesse, ogni tanto, il silenzio, sentirebbe

 cadere sul timpano

la campanella delle corde ritorte alle meccaniche,

il lume della mente nel fondale,

corde in lunghezza d’onda a forza dieci,

la sincronia dei granelli nella schiuma,

i minerali nascosti e le lune lente sopra gli uliveti,

e il bistro a maturare nei faggeti per cerchiarsi

un giorno gli occhi con la mano pencolante sullo specchio

mentre il vero sguardo scivolando

lascia vuoti i bulbi

e attraverso il retro del bianco oculare

cerca nella palta più profonda il riparo

dalla filosofia del calpestio.

 Nella verticale del chiostro la candela

muta il bianco in atro vapore e poi nuovamente

bianco come il volto immedicato della suora nelle nuvole:

è questa resilienza della vita,

la durata del cambiamento è

il bucaneve, ciò che permane nel cambiare

è il suo gambo così piccolo e impossibile alla capsula,

come quando l’apice spunta dalla formula e insegnando

quanto poco noi sappiamo

ci squaderna incalcolabile

 

D(d)(D?)omenica delle palme

Mi chiedo se non sia meglio tornare

se non vedo le palme, solo carrubi

la loro danza nel ventre

nel ventre che danza la mia lontananza

 la carrubina assorbe acqua fino a cento volte il suo peso

mi chiedo se non si possa parlare di trasfigurazione

***

se io sfinisco nel vento

se io divento come io più vero

congiungo le marne con la preghiera

fossile di chi nell’arco illuminato

crede, la medaglia del mio sguardo lisa,

lisa la medaglia Lisa si chiamava

il corpo rabberciato della donna china

a tenersi le ginocchia come una bambina:

il sole e i suoi marinai amavano

la rotta da tracciare in feritoia

verde pallido come l’adriatico nella

tenda che ondeggiava e benediceva

la benedizione del mattino sulla morte;

“Fammi seme del carrubo,

sia macina e sia tornio il cielo tutto vuoto

vorrei sgocciare tra gli occhi chiusi e

correre nella cavea tutta bianca

di sole per i violini tutti tesi

a cominciare il nuovo senso degli sguardi

del pensiero seduto in gradinate

mentre dal dolore di io che entro

di io più vero

grandina l’assoluto e poi si scioglie

e noi lo beviamo”

 

In ogni caso

Si rincorrevano fra i covoni di sale spezzando

larici imbalsamati in forma di secchi rami

“nelle danze dell’agonia il ricordo ci possiede”

ripeteva inciampando uno dei due nell’ombra

imperfetta del crepuscolo senza sete né fame

erano cricchi da osservare come la disposizione angolare

di uno stormo nei waterlands olandesi quando

il giorno si rovescia in notte con immensa facilità e

la terra sottratta alle onde è una morchia scontrosa

finché almeno anche l’altro fra i due fra i covoni

fra il sale che scompare leccato dal vento

non dice “Siamo i batacchi del mondo,

lottiamo per la libertà senza neanche sapere cos’è,

un concetto inventato almeno finché non

trasfiguri la materia questo fascio di energia raccolto in nome

e lontano vedo un tetto appena accennato,

ma tu non guardarlo, respirare e nominare,

respirare e nominare,

ascoltare la voce che dovunque si produce

in ogni caso”

 

Question Time

Mi farà male?

Perché una nuova edizione del Lavoro dell’attore su sé stesso?

Mi farà male?

Il sisma è stato registrato come un’emicrania della placca adriatica

Mi farà male?

Ogni uomo è dotato di un tempo-ritmo interiore destinato

a dimenticarsi come un’eustele in balcone crescendo

vincolata da serie di crocchi e di aggrappi a disporsi

conforme orizzontale

Ma mi farà mica male?

Del resto il tropismo è sempre una speranza,

quel canale interiore diretto alla luce

che chi non conosce le piante direbbe

(con un sorriso d’ortica sulla mandibola)

sì e magari sentendo Strauss cresce di più.

A volte basta respirare nel modo giusto

per essere politici, stornare la greppia del tempo

lasciandosi sé

il ciuffo fuori posto non vuole pettinarlo

sgrava sempre dall’orlo di cemento

e si sporge verso il sole pencolando con le foglie

socchiude gli occhi inesistenti davanti a quella vista

non si chiede mai

mi farà male?

 

Questi miei

[Trama del cortometraggio: facciata del supermercato-un elemosinante ha un piede a patata-divento un idrante]

 questi miei arti appesi

al cavo disossato del mio petto

li trascino idrante per la strada

ho già il ferro nei garretti

sono tubi lacerati le mie braccia

innaffio e non lo so

eppure faccio finta di sapere

quando si aprono da sole le due porte

e c’è un piede come un tubero contorto

senza dita a framezzare quello sporco

chiede venia e tre monete

le radici in un cartello scritto a penna

carfùr fa rima con darfùr e che

che il lampione è rotto e non si vede altro

ma io trascino dietro i passi

le due gomme dalle ascelle fino a terra

come Pollicino io segno la mia strada

l’annacquo con lo sguardo altrove

non amo le patate non le amo interrate

e io che non so io mi permetto di sapere

quel sapere che c’è nel non guardare

non guardare come l’elce mentre crede

d’essere altro e più del leccio

nonostante non ho tante

non ho tante nonostante

parole da dire

 forse penso all’Irlanda e alla sua carestia,

le labbra nell’inedia e lì davanti

due porte che masticano persone

 

Treni pontini

Il codice dei binari raccontava

steso sull’agro verde esponenziale

i filamenti obliqui degli acquedotti

come alberi secchi di limoni 

come secche spore ed incapaci

di vivere la resilienza senza commozione

è fuori tempo questo sentimento

nella folla dei glitch un pizzicato di viola

 ma quando ho creduto di sognare

ho aperto invece gli occhi

il rachide delle spighe attraversava

mosso dal vento il finestrino

per un momento non ho conosciuto

non ho avuto parole sulle labbra

o tetraedri nelle idee

così nella lingua di ogni nessuno

le ali del frumento erano pale di mulino

sono state esattamente pale di mulino

 non resterà nulla ma era la mia breve

verità del mattino vi prego non voglio

chiedermi ogni volta se

fosse banale prima di ricordarla

nel modo migliore che posso

Michele Ortore è nato il 1 luglio 1987 a San Benedetto del Tronto. Laureando in “Studi italiani ed europei” con una tesi sulla lingua della divulgazione astronomica, relatore Luca Serianni. Le sue poesie sono apparse in diverse antologie e hanno avuto riconoscimenti in premi letterari nazionali, tra cui i più recenti sono Vivarium 2010, Poesia di strada 2010 (finalista), Il lago verde 2011 (segnalato nella sezione giovani). Alcune sillogi sono apparse su La poesia e lo spirito, Poetarum Silva, Filosofi per caso, Pi greco – Trimestrale di conversazioni poetiche e sul sito di Argo. Ha letto i suoi testi in forma di reading a Roma e nelle Marche. Sue poesie sono state esposte insieme alle opere di Teodosio Campanelli all’interno della mostra “Con-rispondenze di armoniche cromie”, organizzata nel maggio 2011 con il patrocinio del Comune di San Benedetto del Tronto. In prosa, ha pubblicato racconti brevi per Giulio Perrone e Terre di Mezzo. Ha collaborato con Historica, UT e con il settimanale d’attualità Carta. È stato vicedirettore della rivista indipendente Vespertilla; cura la rubrica Fino all’ultima fila per Poesia 2.0, tracciando possibili dialoghi tra poesia e teatro; scrive di poesia contemporanea per Paneacqua. Si occupa di teatro sulle testate Close-up e TeatroTeatro. Dal 2009 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti come pubblicista.


5 risposte a "Question Time. La poesia-azione di Michele Ortore"

  1. Prima di tutto grazie a Pasquale Vitagliano e Abele Longo per lo spazio che mi hanno offerto; grazie anche a Maurizio, Cristina, Massimo e Vincenzo per i loro commenti. L’aggettivo scelto da Vincenzo mi piace, “corposo”; ma mi piace ancora di più l’idea di essere posato sul corpo della vita. In fondo vorrei fare esattamente questo, conquistare uno spazio vuoto di aderenza vera alle cose, lasciando che da esse rinasca un pensiero e una teoria: cercando di tenermi ben lontano da ogni compiacimento e ironia nichilista. Un saluto a tutti,

    Michele

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