Narda Fattori: Le parole agre (Cristina Bove)

Su questa raccolta di Narda Fattori è stato detto molto e da autorevoli poeti e recensori. Oltre a condividerne le linee d’impostazione, ad essi mi è più facile riferirmi per la complessità di una poesia densa, tuttavia mai oscura, di quella limpidezza che è dote di poche voci nella poesia moderna, oserei dire post-ermetica. Cito dalla bellissima prefazione di Ivano Mugnaini: “[…] Come per ogni vero poeta l’orizzonte dell’autrice è quello del mondo, la sfida della realtà sognata e vissuta, il confronto tra l’ideale e la contingenza delle cose, la contabilità delle ferite e delle ingiustizie a cui, questo sottolinea l’autrice, si rischia di adattarsi perché non si ha tempo né forza per sottrarci e ripulircene. Le storie, le vicende rese e raccontate in forma di parole di questo libro, parlano di persone reali o immaginarie, fino al punto in cui le due dimensioni si confondono, rafforzandosi a vicenda[…]”

Originale nella scelta lessicale, l’Autrice piega le parole a significati altri, facendo così risaltare oltre l’emozione che inducono, immagini trasognate che danno nuova forma anche alle azioni.

“…I poeti scivolano sui gradini della vita
e la guardano da sotto in su come i caduti
lungo i nervi brividano  armonie discordi
pure solo loro fanno di un crepaccio
una meraviglia di natura e così di un fiore…”

Sembra quasi che l’aprirsi nella vita quotidiana di tragedie e dolori assuma altri colori, versi che diventano ponti a unire apparenti distanze, perfino abissi su cui anziché vacillare, la mente annota ancora l’armonia di fondo, la Vita che malgrado tutto, è ancora testimonianza di Bellezza. È così che i versi di Narda Fattori s’insinuano con pacatezza e levità, anche nell’apparente disincanto, nelle considerazioni deprivate della sola immanenza e portatori, invece, di uno struggente chiedersi della realtà delle cose. Queste parole agre, restano dentro, illuminano chi legge.

“… ballo la mia danza di stracci fantasiosi

Che mi porta dove non muore mai il sole…”

Cristina Bove

Le parole agre

(ISBN 10: 8895928555 / ISBN 13: 9788895928555 )


3 risposte a "Narda Fattori: Le parole agre (Cristina Bove)"

  1. Grazie Cristina per la presentazione del libro di Narda, libro che si annuncia di grande interesse, come conferma anche il messaggio seguente di Augusto che ha letto il libro ma che, capricci di wordpress, non è riuscito a postare il commento:

    “Avevo detto a Narda, che il titolo mi richiamava alla mente il romanzo di Luciano Bianciardi, “La vita agra”, da cui fu tratto un film (mediocre). Lo scrittore morì a 50 anni e lasciò in eredità una sorta di neo-scapigliatura, una scia d’anarchia postsessantottesca, ma sostanzialmente è stato dimenticato, credo ingiustamente. Ma scorrendo fra le righe , il libro di Narda non c’entra affatto. Piuttosto richiama il grande Tagore, in particolare c’è una poesia (“Sulla spiaggia i bambini…) che si rifà chiaramente al poeta bengalese, ma in particolare ne richiama lo spirito panteistico e la ricerca di un’armonia cosmica, che parte delle piccole umilissime cose, dalle parole agre, una specie di “ferita dell’essere” luziana che rappresentano il coronamento di di un lungo, intenso, rigorosissimo viaggio poetico tutto teso alla rivendicazione delle straordinarie possibilità della parola poetica inun’epoca che sembra averne perso il senso. Narda è poetessa vocata, dal forte impegno morale e civile. Sta dalla parte degli ultimi, dei reietti, per cui “le parole sono agre”, ma forse sono loro che vedranno Dio.”
    Augusto Benemeglio

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  2. Voglio precisare, ora che finalmente sono rientrato nel blog, che non ho ancora letto il libro che Narda mi ha gentilmente donato, insieme ad altri, l’ho solo sfogliato, evitando accuratamente la prefazione di Mugnaini ( che peraltro conosco) , per non aver nessuna eco, nessun tipo di influenza, insomma, Ma la poesia “sulla spiaggia i bambini (pag.63) è chiaramente un omaggio al grande Tagore di cui echeggia il tema, il respiro , la universalità. E poi c’è una citazione di un’altra delle poetessa da me più amate, Marina Cvtaeava , a cui in qualche modo Narda si rifà , quando scrive (pag.79), Io sono la sconnessa non sono preparata/alle frustate dei giunchi né alle rene /neppure alle erte dove le cime di roccia/ dicono del mio canto di pettirosso/smarrito sui rovi di un cortile senza nome”. Bei versi che richiamano la poetessa russa, di cui ho scritto a suo tempo uno dei miei “profili”, che forse pubblicherò, se troverò un editore non esoso.
    Scusatemi, ma vorrei dilungarmi su Marina Cvtaeva , che – come scrisse Pasternak – era un concentrato di isteria femminile…e di poesia . Marina era condannata alla poesia come il lupo all’ululato, e allo stesso modo era condannata all’infelicità, come tutti i poeti . Percepiva , con il suo istinto poetico, il luogo ove l’aspettava una valanga, una tempesta , una passione e solo dopo la passione, quando si spezzavano i legami preziosi, quando il destino cambiava bruscamente strada, sorgeva la dissonanza dei nuovi sentimenti, delle illuminazioni, dei versi, e s’accendevano le scintille della poesia.
    Ormai esule, errabonda per tutta l’ Europa , Il 21 agosto 1941 , Marina , insieme a suo figlio Mur, arriva a Elabuga . Va ad abitare nella casa di Michail Bredelscikov e sua moglie Anastasia, che la ricordano così: “Era alta, un po’ curva, magrissima , con i capelli bianchi…Insomma una vera strega…E lei aveva scritto di sé, qualche anno prima: “ L’oro dei miei capelli/si sta facendo bianco a poco a poco/ Non piangetelo! Tutto è già avvenuto, / tutto s’è già composto nel mio cuore…
    Qualche giorno dopo , Marina va a Cistopol , una cittadina più grande, a cercare un lavoro e chiedere l’autorizzazione a risiedere nella città , perché Elaguba è un luogo davvero orrendo. Fa domanda per un posto da lavapiatti in una mensa del Fondo Letterario. So soltanto lavare i piatti.
    “Un tempo sapevo scrivere anche versi. Ora non più. Ma del resto a cosa serve scrivere versi. Ad eccezione dei parassiti, nei loro vari aspetti, tutti sono più importanti di noi poeti, e tuttavia io non muterei la mia con nessun’altra attività”.
    Il mattino del 27 agosto viene accolta da una famiglia che l’ammirava molto come poetessa. Declama i versi che aveva scritto qualche anno prima e risplende per l’ultima volta. I suoi occhi da gialli ritornano verdi, il viso, grigio, segnato e gonfio, ringiovanisce ; e gli ascoltatori hanno come l’impressione di essere visitati da una creatura di un altro mondo.
    Ma il posto di lavapiatti le viene negato, e anche l’autorizzazione. Nessuno l’aiuta. Marina torna a Elabuga la mattina del 28 agosto, rimane due giorni con il figlio in un mutismo ostile. Sente che lui la disprezza. Il terzo giorno , i padroni di casa la lasciano sola. Mur è uscito . Marina cerca un pezzo di corda. Prende una sedia, getta la corda sopra un “chiodo pesante , come quelli dei gioghi , delle reti da pesca, anche se forse è un po’ basso per impiccarsi. Ma per strozzarsi va bene ; è più semplice…” Sappiate che esistono solo omicidi
    Al mondo nessuno si è mai suicidato/
    Prima di morire non si era tolta neppure il grembiule con la tasca davanti, che aveva infilato per sbrigare le faccende di casa.
    “Vorrei essere sepolta nel cimitero degli Uomini di Dio – aveva scritto anni prima -, a Tarusa, sotto un cespuglio di sambuco, là dove crescono le fragole più rosse e più grosse di quei posti. Ma se proprio non sarà possibile , vorrei tanto che ci mettessero una pietra della cava di Tarusa con scritto: “Qui avrebbe voluto giacere Marina Cvetaeva”
    Ma anche questo desiderio non si avverrò .
    La tomba di Marina rimase sconosciuta , ma sotto uno di quei pini dell’antico cimitero di Elaguba la sorella di Marina, Asja, mise una croce con la scritta: “In questo angolo del cimitero è sepolta Marina Ivanovna Cvetaeva ( 26 settembre 1892-31 agosto 1941) e da quell’angolo sperduto nella regione tatara , sentiamo ancora la sua voce che ci invita:
    “Passante, fermati!/ Strappa uno stelo selvatico per te/ e una bacca – subito dopo, per me./
    Niente è più dolce di una fragola di cimitero./ Ma non stare così tetro, /la testa chinata sul petto/ Con leggerezza pensami, / con leggerezza dimenticami/… e che non ti turbi mai / la mia voce sottoterra…/Tutto passa , resta solo il vero”….

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