Maurizio Manzo: Roglio, furrìsca e callentèddu (Sa Posta)

by M. Manzo. 1980 - 1980, Bastione S. Croce e Torre dell'Elefante
by M. Manzo – 1980, Bastione S. Croce e Torre dell’Elefante

SA POSTA

Dove sono nato ti perdi in mezzo al mare. Puoi cercare di aggirare la città che ti spunta sempre il mare davanti agli occhi, t’allùpara. Per non parlare della luce che ti lascia allocchiàu, cosa che ti rimane negli occhi fino a quando li chiudi e che finisce quasi sempre con illuminarti i sogni. L’ormai diffuso periodo che chiamiamo di premorte, dei vari tunnel di luce, sicuramente è nasciu innoi, in Castèddu ‘e susu.

A volte se devi osservare qualcosa che richiede contrasto, non lo puoi fare e dèpisi intrai dentro qualche portone per distinguere le cose più chiare. Questo dovrebbe influire positivamente sul nostro carattere, invece accade il contrario, siccome diciamo che qui è tutto alla luce del sole, abbiamo la certezza che nessuno ci potrà mai fregare, e se questo accade, ci siamo inventato il detto: a su burrìccu sardu du frìgasa una borta scetti! , come a dire: una volta te lo posso anche concedere.

Qui a Cagliari diciamo “du còddasa” anziché “frìgasa”, che vuol dire fottere e si pàriri più diretto. Tutti qui cercano di non farsi fottere. La prima cosa che impàrasa è a non ti fai poni la saliva sul naso, un po’ come cercare di non farsi fottere, dèpisi partì subito de conca, se qualcuno osa farlo.

Efisio quella mattina si credeva prusu sbertiròri degli altri giorni. Per un bambino di quella zona, su sbertiròri appare tre volte più grande di quello che è, si potrebbe dire un mito, se poi su sbertiròri ti coinvolge, la stima diventa illimitata.

Su sbertiròri e unu chi sfòddara, unu chi sfòddara è uno che picchia: uno bravo nel picchiare; un po’ come un pistolero.

Così tra gli otto e i dieci anni imparai a infogài sa posta.

Efisio aveva ancora l’odore del mare nelle mani. Me le muoveva davanti al naso, perché le teneva basse nel gesticolare e io ero alto forse un metro e qualcosa. Aveva appena finito di aiutare il padre a ricucire le reti stèrriasa sul bastione di S. Croce, scorriàrasa a furia di tragàre d’ogna cosa nei fondali.

“Oh su pischellì, dus bisi cùssus dusu? bai e ponìddi su sgambèttu chi poi arrìbu dèu e ci pensu dèu.”

Al bastione nuovo, noi abbiamo il bastione nuovo e quello vecchio, il nuovo è quello di Saint Remy e il vecchio quello di Santa Croce. Al nuovo c’è più scioramento, c’è più gente stràngia, de fòras de castèddu ‘e susu, chi àndara chi bèniri, è prenu de pisciòttu che fanno vela a scuola e passano la mattina a passillài prima di finire negli sgannatòi. E poi le partite di pallone si fanno a campo aperto, ti sembra un campo regolamentare, in larghezza chi non accàbara prusu.

Quei due ragazzi, cùssus dusu, guardavano la città dal lato terrapieno. Il cielo era molto oltre arrivava lo sguardo e il rumore delle macchine saliva sulle fronde degli alberi fin sopra la terrazza. Camminare sul bastione fìara cummènti camminài sopra il resto del mondo, non cindi fiara po nisciùnu.

Sa posta s’infògara per legittimare una reazione; molto più banalmente una scusa per un’azione violenta e gratuita. Io sto solo facendo una cosa toga, una cosa de porri vantài, un’iniziazione sotto la luce di questo celeste salato.

Non ho bisogno di trovare coraggio, è come se avessi una strana forza che non cumprèndisi bene e sprigiona solo barrosìa. Sa gannèdda è l’unica cosa che vedo a cui deppu zaccài forti.

È strano vedere lo sguardo spantàu di questi ragazzi spiegarsi il mio gesto e circài un tentativo di risposta biccàu subito da Efisio che si lancia infuriato e urla:

“ ìta bòlisi fai a frariscèddu mìu, ah?” e ‘ndi pàrtiri unu con un colpo testa mentre pìgara po su tzùgu l’altro e se lo porta verso il ginocchio che solleva con forza per sfoddàrlo di brutto.

Non avevo ancora visto persone scarigàte zampillare in quel modo, gli usciva sangue anche dai denti, il bastione aveva iniziato a chiazzarsi di rosso; Efisio gli spara qualche altra frase con tono minatorio a is origàs e poi si rivolge a me euforico: “tròppu rògu, sempre diaci! spesarìndi immòi!”

Mi sono messo a correre via da quelle pozzanghere di sangue. Pensavo allo stupore e alla paura di quei due ragazzi, a questa cosa inspiegabile che mi rendeva comunque orgoglioso, questa cosa di cui vantarsi fino al finire della luce sotto i lampioni rotti, là ch’innòi sbàttisi, dandoti il pugno sul palmo della mano.

by M. Manzo - Ghetto degli Ebrei e Ospedale Civile
by M. Manzo – Ghetto degli Ebrei e Ospedale Civile
by M. Manzo - Palme
by M. Manzo – Palme
by M. Manzo - Porto
by M. Manzo – Porto
by M. Manzo - Via Santa Croce
by M. Manzo – 1980, Bastione S. Croce e Torre dell’Elefante

9 risposte a "Maurizio Manzo: Roglio, furrìsca e callentèddu (Sa Posta)"

  1. Pubblichiamo la prima parte, ‘Sa Posta’, di ‘Roglio, furrìsca e callentèddu’, piccole prose in dialetto sardo che vogliono essere un omaggio di Maurizio a Sergio Atzeni, al suo ‘Bellas mariposas’. “Il roglio nel gergo cagliaritano”, ci dice Maurizio, “è un situazione ingarbugliata, difficile da districare, dove spesso sei sottomesso, infatti ha varie accezioni, una in particolare riporta alla scelta del titolo, ed è quella di mettere a “roglio” nel gioco della trottola e tutti a turno cercano di spaccarla con la propria trottola…la “furrisca” è una piccola fossettina quella che si fa nel gioco delle biglie e su “callentèddu” è un angolo nel quartiere Castello, nelle scalette di fronte al bastione di Santa Croce, dove da ragazzini ci si riparava dal freddo e vento, lì in qualsiasi momento e situazione, c’era caldo…ho una foto dove sono seduto lì…quindi è importante come luogo di ulteriore ritrovo dopo aver lottato e messo a roglio qualcuno, poi comunque ci si riuniva sempre.”

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  2. Queste belle prose mi sembra che cerchino di colmare un distacco attraverso lo scavo di un primitivismo che, nonostante tutto è rimasto immanente nelle cose, è rimasto nell’infanzia lontana, e nel dialogo tra le due lingue, una dalle sonorità remote, e la memoria è anche un recupero di un’infanzia-terra forse lontana. Per queste tematiche mi richiamano alla mente il pavese di Feria D’Agosto.

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    1. Ciao Giancarlo, sempre così attenti e acuti i tuoi commenti, e poi i “richiami” da far girare la testa, tanto da pensare che il suono che rimbomba di tanto in tanto da qualche parte nella testa, è venuto o sta venendo fuori ben distinto, e riesce a mostrarsi.
      Un caro saluto a te e ad Abele, ai mi piace e chi si è soffermato.

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  3. Un pezzo meraviglioso (testo e foto)! Il dialetto, anzi la lingua, ha una musica che è soltanto sua. E il mare ovunque, fuori, dentro, nella testa, nelle mani; e la luce calcinante; e le foto a riprendere la memoria del sangue.. Vengono in mente un’altra lingua, un’altra musica, un altro mare: Chi tene ‘o mare/s’accorge ‘e tutto chello che succede/po’ sta luntano/e te fa sentì comme coce…(P.Daniele)

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