Maurizio Manzo: Esterni con interni (I e II)

by maurizio manzo

ESTERNI CON INTERNI

 

I

Come sempre taciturno scese le scale e pensò agli impedimenti atmosferici, tante volte piove, disse, e si scivola: e poi non l’avrebbero più trovato.

Quel mattino aveva annusato l’aria e perduto i sensi, come stordito da un colpo alla fronte; poi la pioggia cadde  sulle sue palpebre e Rolando Musu aprì gli occhi al cielo. Ogni volta era così, ogni caduta pensava di non rialzarsi, ma caddero su di lui gli sguardi sbalorditi della gente e trovò la forza di rialzarsi e scappare via.

“Attracca! Attracca!” Lo squarcio nel porto rallegra Rolando che si accascia, poggia la schiena sul muretto della muraglia, gli sembra di ricordare la prima volta che vide il porto da sopra il bastione, sembrava una distesa di ghiaccio e le navi, che dovevano avere la pancia aguzza, lanciavano schegge brillanti che lo stancarono e piegò la testa sul braccio del padre.

In questa stagione, quando iniziano a mutare i colori, riprende da dove aveva lasciato una parte della vita. C’è sempre una situazione che riesce a bloccare tutti gli arti, che poi è la stessa che rimette in moto ogni meccanismo, che pare più veloce e pimpante, ma è solo perché è privo di ciò che si perde, di quello che si lascia indietro.

L’inizio è così, con Rolando che si sfida allo specchio e che non riconosce la sua voce che cambia e rimbomba nelle orecchie come estranea, e si finisce col sentirsi sconosciuto anche al resto del mondo. Quando si cresce accade anche questo, il disagio che trabocca come acqua da una bacinella bucata, ma è qualcosa che prima o poi si asciugherà senza lasciare tracce. Mentre cammini gocciolante, ti sembra che sia assolutamente così, è quando volti l’angolo che si spalancano le finestre e le tende hanno le forme delle persone, che capisci che niente si asciuga perfettamente e che qualcosa comincia a perseguitarti.

 

II

Lo zio di Andrea, Tonino, aveva già trentacinque anni e qualche figlio. Rolando lo aveva conosciuto perché da qualche tempo bazzicava fisso con Andrea.

La prima volta che lo vide gli sembrò una persona disperata e poco affidabile, spettinato che dava l’impressione di avere la faccia sempre sporca, ma era lo zio di Andrea che in quei giorni era il suo migliore amico, non poteva essere un poco di buono. Quello stesso giorno pioveva tanto, come la volta che ha piovuto di più nella vostra vita, Rolando e Andrea stavano tornando da girare la città, da ragazzini è tra le cose più belle da fare, quando colti dalla pioggia vicino al mercato di San Benedetto, sentirono alle spalle una frenata e la tromba di un clacson, che sembrava essere diventato il loro cuore.

Tonino aveva una fiesta nuovo tipo, di cui andava fierissimo e la teneva meglio dei figli. Appena avuto un lavoro fisso, guardiano in un capannone di materiale elettrico, era la prima rata che s’era messo, quella della nuova fiesta. Lui rideva, lo si vedeva a tratti come il tergicristallo spazzava via l’acqua dal parabrezza che ricopriva in pochi secondi.

Andrea aveva diciassette anni, tre in più di Rolando, ed era il nipote preferito di zio Tonino, si capivano al volo. Come lo vide, Andrea assunse la felicità di un blinker, simile a quello della fiesta nuova.

Appena saliti in auto, l’odore dell’auto nuova, le molte parti ancora ricoperte dal cellophan, iniziarono a disturbare Rolando e il suo mondo si riempì di nausea. Intanto, zio Tonino prese una busta da sotto il suo sedile e tolse fuori dei piccoli coltellini:

“cazzo, spadini freschi freschi!” urlò Andrea.

“li ho appena fatti, limati alla perfezione, Andrè, ho visto un casino di macchine piene di borselli a Sa Duchessa, ti porto e fatte piazza pulita tu con questo tuo nuovo amico!”

Rolando guardava quella loro strana gioia, o forse gli sembrava strana perché era così stordito con la pioggia che  pareva voler sfondare il tetto dell’auto; Andrea si sfiorava il naso ammirando la precisione degli spadini e assumendo un atteggiamento di onnipotenza che Rolando non gli aveva mai visto fare.

Zio Tonino partì sgommando, salì da via La Vega più veloce della pioggia che iniziava ad essere meno insistente e si parcheggiò in Viale San Vincenzo:

“andate e ripulite ogni macchina, non lasciate neanche una briciola!”


10 risposte a "Maurizio Manzo: Esterni con interni (I e II)"

  1. Mi scrive Maurizio: “domenica facevo un po’ di pulizia nei faldoni di scritti vecchissimi e ho trovato un paginetta che aveva un bell’ incipit, ho salvato le prime righe e poi ho proseguito riscrivendo da zero…voglio far venire fuori il disagio adolescenziale, che arriva fino all’impedimento, in questo periodo in cui l’adolescenza sembra una cosa che non esiste più, a partire dai genitori, che sembrano farla saltare direttamente ai propri figli.”

    Queste sono le prime due parti… buon lavoro Maurizio, e ben tornato al tuo Rolando Musu!

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  2. direi che, in base a quanto hai scritto ad Abele, l’obiettivo è perfettamente raggiunto. esterni/interni, resto del mondo/smarrimento intraspichico di Rolando, adolescente perseguitato dalle proprie assenze (presenze). particolare la sensazione “stop and go” – per dirla all’ammmmericana – che filtra tra le righe, tra il fumettistico e il cinematografico, quasi che a posteriori la vita si scomponesse e ricomponesse mediante fotogrammi capaci di creare un bisogno d’astrazione. non so se riesco a spiegarmi… la sequenza di associazioni pseudolibere è stata questa: ombre cinesi sulle tende (mondo esterno/oggettivo inarrivabile) – montaggio soggettivo (il nostro cervello ci mette del suo) – ricostruzione di una parvenza di realtà (interna/soggettiva). il tutto su un palcoscenico dove piove piove piove (governo adulto ladro) e ci guadiamo in faccia l’un l’altro senza riuscire a decodificare “strane gioie”, “sguardi sbalorditi” e una trama che inevitabilmente trama contro di noi.
    ma soprattutto, quel vago senso di inadeguatezza, la nausea dettata dallo scorrere vorticoso di sempre nuovi fotogrammi… cinetosi cinematografica ecco.
    🙂
    come al solito, lasci il segno.

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