Paolo Vincenti: Niente è come sembra

Niente è come sembra

“Prima però su Canale 9 ci sarà il terzo festival del dolore
con la finale dei casi umani, meno meno umani che mai”
(“A che ora è la fine del mondo?”  – Ligabue)

Capita che una mattina di novembre io sia in giro per Lecce fra lo studio del consulente, con il quale cerco una strategia di difesa dal vampiro succhiasangue che è lo Stato, e la banca, alla quale chiedo, ottenendone un diniego, di rinegoziare un mutuo, le cui condizioni sono diventate insostenibili. Scene di ordinaria follia. Con la mia cartella piena di documenti sotto il braccio (prima o poi dovrò trasferire tutto su i-pad, che fa più anni duemila), attraverso, cupo e incanaglito, Piazza Mazzini.  Noto un eccezionale assembramento di gente, giovanissimi soprattutto, e un amico del mio paesello, un ragazzotto di circa vent’anni con il cavallo dei pantaloni basso quasi  fino alle ginocchia e il piercing sulla lingua, mi viene incontro e mi informa che si stanno svolgendo le selezioni per il Grande Fratello 13 ( o 25 o 455? Boh…). Maicol (scritto come si pronuncia) è il figlio del mio macellaio e io sono abituato a vederlo nello stazzonato camice bianco servirmi, con poca convinzione, macinato misto e costolette di maiale.  Con aria preoccupata mi fa:  “Ma lo sai, compare, che stanno facendo delle domande assurde ai provini? Chiedono i nomi dei politici… ma chi li conosce!”. “ Va bè”,  gli faccio io “chiederanno i nomi dei politici che rivestono cariche istituzionali, quelli importanti… “ “Ehhh”, esclama  sconsolato, “io come presidenti mi ricordo solo Berlusconi, ma se chiedono anche di altri, che gli dico?”.   Allora propongo:  “Hai carta e penna? Dai, scrivi velocemente, ché devo andare”. “No, ma posso scrivere sul telefonino”. “E dai, scrivi:  Presidente del Consiglio Renzi, Presidente della Repubblica Napolitano, – Giorgio, scrivi anche Giorgio, perché questo è più importante, – Presidente della Camera Boldrini e del Senato Grasso. Ok? È facile, mandali a memoria  e così non ti sgameranno” . “Grazie compare Paolo!” (e pensare che Maicol mi appella in questo buffo modo, pur non essendo io stato suo padrino di battesimo o di comunione, solo perché così da sempre fa anche il padre. Mi verrebbe da dirgli che questo modo di fare, nei piccoli paesi, è dovuto forse al bisogno di sentirsi più uniti in un vincolo di umana miseria intellettuale, ma  tengo per me la cinica osservazione marciando verso il mortifero mattino).  Prima di separarci però Maicol mi dice ancora: “ Speriamo di far presto qua, perché a pomeriggio c’è la manifestazione ‘No Tap’ e devo partecipare”.  “Caspita”, osservo, colpito da quell’inaspettato rigurgito di coscienza civile, “ sei contrario al gasdotto allora?” . “Ehm… no veramente, ho avuto un’imbeccata da un amico che mi ha detto che non dobbiamo ingrassare un certo  Putin,  e  che a pomeriggio ci sono le telecamere dei tg a riprendere la manifestazione; e io veramente ci vado per questo”. “ Ah ok!”, gli rispondo e scappo a gambe levate, pensando al padre macellaio che con le mani ancora sporche di sangue starà sacramentando in negozio, a causa della prolungata assenza del figlio.

Chissà se George Orwell  immaginasse che il personaggio del suo libro “1984” avrebbe dato il nome ad una trasmissione televisiva in cui un certo numero di “ggiovani”  si rinchiude volontariamente fra quattro mura dando sfogo ad ogni più invereconda pulsione interiore, compresi flatulenze e pensieri squinternati debordanti in libertà dal loro ginepraio mentale.  E nonostante l’esplosione di individualità portata dai social network, rifletto sul potere di seduzione che la tv ancora oggi esercita su moltissima gente, agendo come uno stimolante per alcuni e un anestetizzante per altri.  E sì che i tempi del duopolio Rai-Mediaset sono lontani, essendosi l’offerta televisiva moltiplicata all’inverosimile, e dunque forse sarebbe anacronistico parlare dell’appiattimento generale prodotto dalla sottocultura televisiva. Oggi, un saggio come quello celeberrimo di Umberto Eco sulla fenomenologia di Mike Bongiorno, non avrebbe più ragione di essere. Però la pubblicità, senza richiamare visoni mitologiche da grande Moloch, rappresenta ancora un business fiorente che accompagna, nel bene e nel male, la nostra quotidianità. Ed è davvero stratificata nell’immaginario collettivo, che risulterebbe vano tentare di estirparla. Per esempio, succede di conoscere Tonino Guerra per la reclame dell’Unieuro (“Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita!”) e non per le sue poesie o per un film di cui è stato sceneggiatore; come accadeva qualche anno fa di conoscere Franco Cerri quale  il famoso uomo in ammollo della pubblicità (“noo non esiste lo sporco impossibile!”) e non aver mai ascoltato la sua chitarra jazz; o ancora, per restare nell’ambito musicale, Nicola Arigliano, per la reclame dell’amaro Antonetto, senza sapere che è stato cantante ispirato e raffinato (“J sing ammore”, “Amorevole”). Oggi la televisione divide l’“offerta formativa” per fasce di età. Propina reality o talent show ai giovanissimi, programmi di cronaca nera (con veri e vari scannamenti) al pubblico adulto, meglio se femminile, casalingo e poco scolarizzato, talk show e dibattiti politici (con finti scannamenti verbali) al pubblico più maturo, meglio se maschile e di cultura medio alta. Nelle mie serate domestiche, mi capita, transumando da una stanza all’altra come le greggi di D’annunzio  e “zappando” da un canale all’altro, come un antico rapsodo greco di piazza in piazza, di cogliere qualche frames dalla tivvì,  (“parole parole parole…”). Ma davanti alle trasmissioni di nera mi fermo, a volte, basito nell’ assistere alle amenità con cui i conduttori rimestano nel torbido di vite a perdere, nelle quali si è consumato qualche delitto sanguinario e truculento. Così accade che, una notte di qualche tempo fa, dopo aver appreso dalla televisione di una violenza domestica trasformatasi in tragedia non mi ricordo in quale paesino della Val Padana, io mi rivolga ai miei figli, visibilmente turbati dalla crudezza del fatto ( la notizia viene trasmessa, senza possibilità di scampo, da un tg flash nella pausa pubblicitaria di un film cui assistevamo insieme),  e dica loro, un po’ per celia, un po’ per rassicurarli, che non è vero, non c’è niente di vero in quanto narrato, ma quell’episodio è del tutto inventato dai telegiornali, un po’ come le liti nei dibattiti politici. I ragazzi ridono e io vado a dormire con questa suggestione. Penso cioè che non si possa davvero credere a quanto raccontano i vari “Quarto Grado”, “Chi l’ha visto”, “Pomeriggio cinque”, “La vita in diretta”. “Domenica cinque” e compagnia bella; che non possano esistere nella realtà le turpi  esecuzioni che, gongolanti, ci ammanniscono i conduttori della tv del dolore. Tutta questa gente, cioè, crepa solo per finta, e lo fa nella maniera più eclatante per intrattenerci meglio. Così, inseguito dal demone di Cartesio  e del suo dubbio iperbolico (“dubito di tutto, dalle cose più semplici fino a quelle più complesse”), mi immagino che le varie Sarah Scazzi, Roberta Ragusa, Yara Gambirasio, Elena Ceste, di cui conosciamo solo la foto e qualche breve filmato video, siano state partorite dalla fantasia di un diabolico team  di autori che scrive le varie puntate di queste saghe dell’orrore.  Che esse non siano mai esistite nella realtà, ma siano delle attrici chiamate a prestar loro il volto, come  Laura Palmer che, da cadavere, era la protagonista nella fortunata serie televisiva  anni Novanta “Twin Peaks”.  Delitti costruiti dunque a beneficio di massaie e casalinghe, trepidanti ad ogni nuova puntata della loro telenovela preferita. Ed anche le villette dei delitti siano ricostruite nei teatri di posa, nonostante il fiorente turismo dell’orrore nelle varie Avetrana, Cogne, Gello, Brembate, ecc..  Sostiene infatti  Antonio Ricci, il re della televisione di plastica dove tutto, dagli applausi alle risate, è finto, che  “la televisione non è una finestra sul mondo ma una diapositiva che hanno scelto di farci vedere”.  Seguendo questo ghiribizzo mentale poi, mi chiedo se attori e comprimari di queste torbide dark stories siano consapevoli fino in fondo di prestare la propria parte ad una fiction o ne siano invece inconsapevoli, come in “Tempo fuor di sesto”, un romanzo di Philip Dick in cui il protagonista Raggle Gum vive in una cittadina americana nella quale tutti gli abitanti sono degli attori al servizio dell’Intelligence per difendere la Terra dalle potenze aliene.  Ricordate “The Truman Show”? In quel film, il protagonista, interpretato da uno strepitoso Jim Carrey, è il personaggio principale, a sua insaputa, di uno show che racconta la sua vita. Tutti gli altri, compresi i più stretti parenti, sono attori al soldo della produzione, la quale riscuote consensi mondiali a danno del povero Truman che vive una vita preindirizzata e pianificata dal regista e grande demiurgo. Che non ci sia niente di vero, allora, nessuna Emanuela Orlandi, né Chiara Poggi, né Meredith Kercher, ecc. . Fantasie partorite da una mente stanca di delitti e segreti e di paginate di giornali e di lunghe dirette tv ad essi dedicate. Ma poi mi sveglio e purtroppo le atrocità sono vere, la crisi pure, e il mondo è nefando. Ma almeno i miei ragazzi dormono (ancora) beati.

Tratto da “L’osceno del villaggio”, di Paolo Vincenti, Argo.menti Editore 2016


12 risposte a "Paolo Vincenti: Niente è come sembra"

  1. Diamo il nostro benvenuto a Paolo Vincenti, giornalista e scrittore, che ci offre una riflessione, tratta dal suo “l’Osceno del villaggio”, sul mondo dell’effimero televisivo, dell’imbonimento/imbarbarimento catodico. Fa impressione, continua comunque a impressionare, come la scatola riesca a svuotare crani, modellando figurine tutte uguali nel look con l’unico desiderio e fine poter in qualche modo apparire.

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  2. benvenuto, sì. prosa gradevole, questa di Paolo “Cartesio” Vincenti, con scampoli di dialoghi ben orchestrati (Maicol è godibilissimo). da incorniciare il passaggio in cui si dice che l’offerta formativa televisiva agisce, a seconda delle persone “come stimolante per alcuni e come anestetizzante per altri”.
    unica nota in lieve disaccordo, subito all’incipit, lo stato additato come “vampiro succhiasangue”, cosa che mi fa riflettere assai mestamente su quanto la narrazione emotiva del grande fratello capitale (più orwelliano che televisivo, in questo caso) sia potente.
    (direi “qualche frame” in vece di “frames”)

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  3. grazie ad abele longo e malos mannaja per i commenti. per quanto riguarda le riflessioni fatte da mannaja, mi limito ad un breve accenno sulla prima, quella sul “vampiro succhiasangue”, perché per dilungarmi mi servirebbe un intero articolo. Dico solo che a volte, chi lavora e paga le tasse, tutte le tasse fino all’ultimo centesimo, può avere questa percezione nel momento del versamento, perché fare il “bravo contribuente” mette certamente in pari con la propria coscienza ma non col proprio portafoglio.Non si può negare infatti che l’imposizione fiscale nel nostro Paese, mi riferisco nello specifico alle aziende,sia obbiettivamente eccessiva, come del pari lo è l’evasione fiscale che parzialmente la determina. Per quanto riguarda la seconda osservazione, invece, sono d’accordo, “frame” deve essere singolare, si tratta di un semplice refuso.

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  4. grazie per la risposta Paolo (puoi chiamarmi malos, meglio se minuscolo, visto che sono nano).
    : )
    capisco ciò che intendi, anche senza l’intero articolo. è vero: la pressione fiscale in Italia è tra le più alte nel mondo e ciò è particolarmente dannoso per la piccola e media impresa, l’anima del nostro modello produttivo manifatturiero (la grande impresa con sede legale in paradisi fiscali – ce n‘è più d’uno anche in Europa – se ne sbatte delle tasse, vedi Amazon o Fiat-Chrysler). ma nonostante questo, penso sia importante che non dimentichiamo alcuni dati di fatto.
    1) le tasse sono uno strumento di redistribuzione, quindi abbassare le tasse (sul reddito), inevitabilmente aumenta la concentrazione di ricchezza.
    2) lo stato è uno strumento, una sorta di “braccio meccanico” che esegue un “programma motorio” dettato dalla costituzione, nella quale è scritto nero su bianco che l’Italia è fondata sul lavoro e che lo stato deve perseguire la piena occupazione. se il “programma motorio” viene manomesso (pareggio di bilancio in costituzione) o disconnesso (obliando gli articoli 1 e 4 della costituzione), la colpa non è in astratto del braccio meccanico, ma nel concreto delle scelte politiche operate dai governi più o meno eletti. ha senso, se dei criminali imbracciano il trapano e perforano la fronte di piccoli imprenditori e operai, dare la colpa al trapano? o, in altre parole, se la lotta (guerra mondiale) di classe dei grandi capitali globalizzati vampirizza PMI, lavoro e lavoratori infettando il programma motorio dello stato per piegarlo a suoi voleri, chi è il nostro nemico?
    scusa se mi dilungo, forse anche a sproposito (troppa l’attenzione dedicata a 6 parole, rispetto alla totalità dell’ottimo brano che hai scritto), ma da medico del servizio pubblico vivo ogni giorno in trincea e tocco con mano quanto spesso i poveri cittadini cadano nella trappola di azzannarsi tra loro (italiani contro immigrati, piccoli imprenditori contro operai) o di rivolgere la loro legittima rabbia contro l’unico strumento (lo stato) che avrebbe forza sufficiente per fare un buco nel muro compatto dei grandi capitali internazionali.
    ecco: combattiamo le scelte e gli interessi politici che fuorviano/piegano l’agire dello stato, ma lo stato teniamocelo stretto perché, senza un trapano, col cavolo che riusciamo a piantare anche un piccolo tassello da 4mm!
    ; ))

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  5. condivisibile tutto, caro malos, sottoscrivo le tue parole dalla prima all’ultima. mediamente gli articoli che scrivo, e che fanno parte degli ultimi due libri, sono di satira e allora, sai, il gusto della battuta mi porta a fare una sintesi a volte brutale del mio pensiero. specie negli articoli più divertenti, il motteggio, la facezia, il fulmen in clausula, la conclusione ad effetto, mi spingono ad “esagerare”. se potessi fare invece una analisi più distesa, scriverei esattamente quello che tu hai scritto sopra.

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  6. io scrivo ma per vivere faccio un altro lavoro. sono un piccolissimo imprenditore, e quindi in trincea ogni giorno. a parziale conferma di quanto scritto sopra, questo articolo, tratto da “Italieni”.

    MA CHE BANCA …!

    “Finché la vecchia dà lasciala dare, finché la vecchia dà fatti pagare, finché la vecchia dà falla firmare, se fallirà la banca tutti i soldi perderà, ma è scritto piccolino quindi non lo leggerà…
    Finché la banca c’ha il vicedirettore, che della Boschi è il papa, acquista valore, quello che lei dirà in queste ore, tanto gli italiani so’ una manica di fessi, viviamo nel paese del conflitto di interessi…”
    (“Finche la banca c’ha” – Dado)

    Il fallimento dello scorso anno di Banca Etruria e delle altre banche di credito cooperativo ha drammaticamente evidenziato come il sistema bancario italiano sia non già fragile, come ha voluto sostenere qualcuno, troppo furbescamente o troppo ingenuamente, ma diabolico, perverso, subdolo, tentacolare, mafioso. Ed ha inoltre evidenziato la family connection del Governo in carica, con babbo Boschi e babbo Renzi a diverso titolo coinvolti nel crac di Banca Etruria. Ma di intrecci fra interesse pubblico e privato, ovvero di casi più o meno eclatanti di gestione familistica della politica, è piena la storia della repubblica italiana. Purtroppo, al 30 marzo, termine previsto dalla Legge di Stabilità, il cosiddetto decreto Salvabanche non è stato approvato e con esso la possibilità di essere risarciti per i tanti creditori delle banche fallite (Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche ). Lo stesso Cantone, autorità nazionale Anticorruzione, afferma che dal punto di vista tecnico è stato tutto predisposto, ma evidentemente manca la volontà politica di andare avanti. Molto probabilmente si dovrà ricorrere all’azione giudiziaria contro le banche che hanno fatto i propri comodi e le autorità di vigilanza che dovevano controllare, in primis la Banca d’Italia e la Consob; e ancora una volta, sarà la magistratura a supplire alle mancanze della politica. Pure in estremo ritardo, l’attuazione dei decreti sull’abolizione dell’anatocismo (cioè il calcolo degli interessi sugli interessi con cui la banca ha sempre operato un vero strozzinaggio) e quelli sull’imposta di registro per i privati che acquistano dalle aste giudiziarie e sulla proroga di due giorni dello sconto del 30 % per il pagamento delle multe tramite home banking. Queste ultime due norme in realtà costituiscono un beneficio per le banche stesse e sorprende che il governo non sia stato più celere nella loro approvazione. Infatti, l’agevolazione sull’imposta di registro nelle vendite giudiziarie (solo 200 euro, senza l’obbligo di rivendere l’immobile entro due anni) serve a movimentare il mercato delle aste. Ma questo mercato è sostanzialmente in mano agli istituti di credito che hanno sul groppone tantissimi immobili che provengono dalla sofferenze bancarie e dei quali si vogliono liberare alla svelta. Incentivare queste operazioni di alienazione dei beni, incoraggiando i privati ad acquistarli, favorisce le banche le quali, dopo aver sequestrato in lungo e in largo case a chi non riusciva a pagare le rate del mutuo, si sono accorte di aver esagerato, ed ora, con l’aiutino di stato, hanno la possibilità di rivenderle, facendo cassa, realizzando nuova liquidità. Così pure la norma sul pagamento delle multe, che allunga di alcuni giorni il ritardo, purché esse siano pagate non in contanti o con bollettino postale ma via home banking, cosicché la banca ci possa lucrare.
    Anche se c’è da ridere delle teorie complottistiche, lo straordinario intreccio tra sistema bancario e sistema politico, questo mostro ecatonchiro che si è venuto a creare oggi in Europa, non fa che accreditare le teorie dei fanatici no euro, dei saccenti che credono di saperla sempre più lunga, macchinando dietrologie in ogni situazione, e degli scemi del cosiddetto “signoraggio bancario”. Soprattutto questi ultimi, dopo aver studiato un po’ di scienza delle finanze, un po’di narrativa legal thriller, e aver fatto un corso di dizione, riempiono le sale con le loro strambe teorie modulando la voce, a metà fra il Nessuno de “La Gabbia” e Roberto il baffo, nei convegni che tengono in giro per l’Italia, nei quali rifilano paccate di libri ai beoti che li applaudono. Io non sono certo un sostenitore della teoria della Sinarchia, né mi sono mai lasciato condizionare dalle trame apocalittiche. Devo però riconoscere che le banche sono le vere padrone dell’economia italiana e il socio di maggioranza di ogni azienda. Sia chiaro, lo scenario descritto non è stato determinato solo dalle banche, non è imputabile a loro esclusiva responsabilità; tuttavia, a causa della crisi mordace che ha colpito l’Occidente negli ultimi anni, in Italia come in Europa, tutte le aziende, per via del crollo delle borse, delle difficoltà di mercato determinate dalla concorrenza dei paesi dell’estremo oriente, anche per mancanza di una classe imprenditoriale adeguatamente preparata, hanno perso la competitività e con essa la liquidità. Dunque, dalle piccole e medie alle più grosse e strutturate, le aziende sono andate in sofferenza e nell’insufficienza di mezzi propri sono state costrette a rivolgersi alle banche per accedere al credito. Di fatto, l’istituto bancario è diventato il dominus della situazione, il principale attore del business italiano, nella contingente stagnazione, e questo ha causato scompensi e discrepanze. Trovandosi padrone del campo, le banche hanno deciso, appunto da playmakers, come giocare e con chi giocare, in base a valutazioni del tutto discrezionali, tanto insindacabili quanto opinabili, in certi casi assurde, criminogene, senza che nessun arbitro moderasse il gioco, senza che qualcuno intervenisse a sanzionare certi comportamenti. Ciò ha creato disparità di trattamento, diseguaglianze, e una concorrenza viziata, sbilanciata, fra azienda e azienda. Gli imprenditori più furbi, amici degli amici, si sono visti spalancare le porte, mentre quelli meno ammanicati se le sono viste sbattere sul grugno. Inutile dire che è soprattutto a danno dei più piccoli che le banche hanno esercitato il credit crunch, stigmatizzato dalle varie associazioni di categoria, ma mai dalla Banca d’Italia. Molto spesso, le grandi compagnie per le quali le banche hanno allentato i cordoni della borsa, hanno poi utilizzato quella fiducia per operazioni spregiudicate o truffaldine (ricordiamo la famigerata finanza creativa che galvanizzava i tanti piccoli grandi Ricucci, Coppola, Fiorani, ecc.), mentre le aziende per le quali si esercitava la stretta creditizia sono state costrette a licenziare o a chiudere, e magari avrebbero utilizzato quel credito per investimenti seri, operazioni oneste. Oggi, che si viene a sapere che dei finanziamenti regionali ed europei tutti hanno fatto strame, che hanno spremuto quel che potevano da questa vacca da mungere (per restare nel Salento, a 56 milioni di euro ammonterebbero le truffe), allora, ecco che a causa dei furbi, pagano gli onesti, cioè i fessi. Accedere ad un finanziamento pubblico è difficilissimo per un’azienda. Difficilissimo, istruire la pratica agevolativa, a volte affidata a commercialisti senza scrupoli che pensano solo alla propria lauta parcella. Difficilissimo, ottenere l’accoglimento della pratica ed il relativo finanziamento senza avere dei “santi in paradiso”, ossia delle conoscenze nei posti di comando. Una giungla selvaggia, gli adempimenti che occorrono ed il tempo da spendere, senza alcuna certezza che la pratica vada a buon fine. Di fronte a tali tempi e costi esosi e alla mancanza di “santi in paradiso”, alcuni rinunciano in partenza al finanziamento a fondo perduto, con la conseguenza che non possono investire in nuovi settori produttivi. Così, l’economia al Sud arranca, nemmeno si può pensare ad un ricambio generazionale e ad una nuova classe dirigente. Chi continua ad ingrassare invece sono le banche, l’azionista di riferimento della Spa Italia, con il beneplacito della Banca d’Italia, della Consob e dello stesso Governo. Quando queste falliscono, vedi i casi di cronaca, chi ne paga le conseguenze sono sempre gli investitori o peggio i poveri risparmiatori, magari gli stessi che si sono visti rifiutare un mutuo, oppure una rinegoziazione dello stesso, ai quali magari è stata sequestrata la casa o l’azienda, e che vengono anche a perdere quegli ultimi risparmi rimasti sul conto corrente. “Cornuti e mazziati”. Così va in Italia.

    aprile 2016

    Paolo Vincenti

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  7. complimenti per l’articolo, coraggioso, intelligente e fuori dal coro (cosa rara in tempi di pensiero a reti unificate). hai ragione ad auspicare una “azione giudiziaria contro le banche che hanno fatto i propri comodi e le autorità di vigilanza che dovevano controllare”, ma in questo contesto politicoeconomico direi che è tecnicamente impossibile (commissione sulle banche di Casini docet)… servirebbe una rivoluzione culturale, come in Islanda.
    “lo straordinario intreccio tra sistema bancario e sistema politico”, poi, in effetti, ci impone di chiarire cosa intendiamo per “teoria complottista”. in tal senso è innegabile che Barnard, il blog di Grillo e una miriade di siti pseudoscientifici propinino spesso contenuti tra il fantasioso e il ridicolo. d’altro canto è parimenti innegabile che nell’ultimo decennio, mass media largamente posseduti (nell’anima e nel corpo) dal suddetto “straordinario intreccio tra sistema bancario-finanziario e sistema politico” abbiano fatto dell’accusa di “teoria complottista” un’arma di lotta per il consenso, sulla falsariga della “fallacia ad auctoritatem“. in proposito, acuto, divertente e molto istruttivo è questo articolo di quell’impagabile scienziato della comunicazione che è “il Pedante” http://ilpedante.org/post/gombloddoh
    e tale strategia di mortificazione delle opposizioni dialettiche (e quindi della sorveglianza democratica) è così efficace che tu stesso, nel tuo articolo, ad esempio, hai ritenuto opportuno “smarcarti” per evitare di essere additato come “complottista”…
    quindi, con il conforto della scienza macroeconomica (che con buona pace dei vari Giannino, è proprio una scienza con tanto di formule matematiche del tipo CA = SN – I = X – M + RNE = PNE – PNE-1) mi sento in dovere di chiosare che mi fanno molta ma molta ma molta ma molta ma molta ma molta ma molta ma molta ma molta (ho reso l’idea?) più paura i deliri fideistici degli “euroinomani” rispetto all’approccio scientifico di molte posizioni critiche sull’euro (da Barra Caracciolo a Bagnai, da Sapir a Borghi, da Cesaratto a Giacché e a una miriade di premi Nobel per l’economia).
    in tal senso, l’impatto di un sistema rigido di cambi in un’area valutaria non ottimale (come ci insegna il “ciclo Frenkel”) potrebbe essere il tassello che manca quando giustamente scrivi “lo scenario descritto non è stato determinato solo dalle banche”.
    poi né il sottoscritto né nessuno degli economisti citati si sognano di sostenere che basti eliminare l’euro perché tutto s’aggiusti. ma finché la gazzella che ogni mattina si alza e sa che deve correre più forte del leone (shock esogeno) resterà con le zampe legate dal cambio fisso, non potrà neanche *provare ad iniziare a correre*. quindi siamo alla resa dei conti: o ci sleghiamo dal mortifero abbraccio del nostro principale competitor manifatturiero (http://icebergfinanza.finanza.com/files/2013/02/cambiofisso-anteprima-600×462-858776.png) e riprendiamo a correre o nel 2018 è assai probabile che imboccheremo la strada di un commissariamento in stile Grecia. ahimé, come dice un famoso proverbio che incarna tutta la saggezza popolare complottista: “al peggio non c’è mai fine”.

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  8. Grazie malos delle tue osservazioni così puntuali e approfondite. Non merito tanta attenzione. In ogni caso, io non sono un sostenitore dell’uscita dall’euro ( non posseggo la tua smisurata preparazione per argomentare in questa sede la mia posizione con dovizia di fonti, come hai fatto tu), però sono sempre interessato ad ascoltare o leggere le ragioni di chi lo è. Dell’intreccio fra politica e finanza invece sono del tutto convinto e mi limito a riportare un mio articolo che scrissi in occasione dell’affair Tempa Rossa.

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    1. – “Grazie malos delle tue osservazioni così puntuali e approfondite. Non merito tanta attenzione.”

      chi, in direzione a volte ostinata e contraria cerca di ragionare merita sempre la massima attenzione!

      – “In ogni caso, io non sono un sostenitore dell’uscita dall’euro”

      mmm… “sostenitore” fa pensare al tifo calcistico
      ; )))
      e in effetti è vero che spesso il dibattito politico assuma i connotati di uno scontro religioso tra fazioni… ma scelte politiche a parte (l’euro è una scelta politica), se proviamo a far di conto (la matematica è la più potente alleata del metodo scientifico) la dimensione macroeconomica di ciò che è accaduto e sta accadendo in Europa dall’introduzione del cambio fisso in qua è evidente e prevedibile fin dall’inizio. lo stesso Prodi nel 2001 confessa in un’intervista al Financial Times di essere consapevole del fatto che “l’adozione della moneta unica in Europa poterà crisi, ma che la violenza di questa crisi sarà motore di una dinamica politica positiva, perché costringerà i cittadini europei a chiedere più Europa”.

      – “non posseggo la tua smisurata preparazione per argomentare in questa sede la mia posizione con dovizia di fonti, come hai fatto tu)”

      addirittura smisurata!! ahaha, no dai… è che a scuola in matematica ero forte, poi, dopo la laurea per una decina d’anni ho fatto ricerca in neurofarmacologia e m’è rimasto addosso ‘sto difetto che tendo ad aggrapparmi ai numeri.
      : ))

      – “però sono sempre interessato ad ascoltare o leggere le ragioni di chi lo è.”

      se ti fa piacere, qui su Neobar trovi un nano-saggio che s’intitola “concetti basilari di economia internazionale”. se vuoi qualcosa di più professionale e organico, tipo un libro, da un punto di vista divulgativo il migliore resta il prof. Bagnai con “l’Italia può farcela”.

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  9. ORO NERO TEMPA ROSSA

    “Scende l’oro nero Scende l’oro nero
    Io misuro il prezzo Tiro sul costo
    Nascondo il tasso
    Pianifico il mezzo Spacco il minuto Arrivo sul prezzo Cambio tasso Affondo il tizio…
    E compro

    Spingo comunico Abbraccio il prezzo
    Seguo innalzo
    Glorifico il mezzo
    Fino a quando
    Vola il greggio
    E… vendo
    E vendo”
    ( “La cinese” – Ivano Fossati)

    Lo scandalo “Tempa Rossa” che ha coinvolto il ministro Federica Guidi conferma l’importanza di votare sì al referendum del 17 aprile 2016. Non si mette in dubbio che il progetto Tempa Rossa sia del tutto strategico in termini occupazionali (meglio astenersi dal balletto sui numeri dei potenziali nuovi posti di lavoro perché ognuno si scatena a dire panzane in merito), non solo per la Basilicata ma per tutto il Meridione. Questo gigante petrolifero gestito dalla Total, che prende il nome dalla frazione del comune di Corleto Perticara in provincia di Potenza, dove sorgerà lo stabilimento, avrà una capacità produttiva di circa 50.000 barili di petrolio, 230.000 metri cubi di gas naturale, 240 tonnellate di GPL e 80 tonnellate di zolfo al giorno, secondo le stime del “Sole 24ore”. L’investimento della Total nel potentino va ad aggiungersi a quello dell’Eni già attivo da anni nella Val D’Agri. Quello che però desta sconforto è sapere come dietro a questo grande progetto di sviluppo si siano scatenati come sempre gli appetiti dei furbetti del nostro paese e gli intrallazzi politico famigliari per i quali il governo Renzi si è già imposto all’attenzione delle cronache. Ma questo è il meno. La cosa più grave è che l’affaire Guidi-Tempa Rossa conferma come questo governo sia ostaggio delle lobbies che ne guidano, più o meno scopertamente, le azioni politiche. Il governo Renzi, per bocca dei suoi più importanti esponenti, si difende affermando di non essere stato a conoscenza della liaison fra la Guidi e Gemelli, il faccendiere coinvolto nello scandalo, trincerandosi dietro l’ipocrita legge voluta dal Governo Monti nel 2013 che impone ai ministri di dichiarare redditi incarichi e partecipazioni azionarie anche del coniuge. “Del coniuge”, sottolineano i Dem, ma non “del compagno”, facendo sussultare i sostenitori delle unioni civili. Ma davvero nessuno nel governo sapeva della liaison Guidi-Gemelli? Non mette conto la difesa d’ufficio della Guidi, che sostiene sul “Corriere della Sera” di non essere a conoscenza degli affari del compagno. Può, insegnamento evangelico a parte, la mano destra non sapere cosa fa la sinistra? Ciò è inverosimile, surreale, ma la Guidi è ormai un politico e perciò stesso del tutto priva del senso del ridicolo. Quindi nessuna sorpresa di fronte alla farneticante uscita della ministra. Sorprendono di più le affermazioni della sua collega Boschi, la quale, dopo essere stata capace di sostenere la propria estraneità alle attività professionali del padre, avrà pensato che fosse davvero una passeggiata smarcarsi da quelle del compagno di una collega di governo. Infatti, prontamente, miss occhioni dolci si è dichiarata estranea all’imbarazzante inciucio della Guidi. Ma possiamo credere che non sapesse dell’unione sentimentale dell’ex Ministro dello Sviluppo Economico? E se invece, come mi sembra scontato, lo sapeva, poteva il Ministro dei rapporti con il Parlamento non avere appreso parimenti che il compagnuccio della Guidi fosse indagato per corruzione? Ai diretti interessati la cosa era nota da più di un anno. Dunque, se la Boschi lo sapeva, poteva non averne informato Renzi, il suo capo? Il governo Renzi ha voluto inserire nella legge di stabilità l’emendamento che sbloccava i lavori del giacimento petrolifero Tempa Rossa, a Corleto Perticara. Questo stabilimento è legato a doppio filo con Taranto, nella cui raffineria Eni i materiali estratti arriverebbero, attraverso l’oleodotto che collega Basilicata e Puglia, per la lavorazione finale e lo smistamento, ossia la vendita all’estero, attraverso il porto tarantino. Si aggiunga che il Ministro Guidi è un imprenditore e l’azienda della sua famiglia si occupa anche di energia, dunque un conflitto di interessi grande, ma grande davvero, che nessuno si è premurato di risolvere. Ora diverse persone, a partire dalla sindaca di Corleto Perticara per arrivare a Gianluca Gemelli, a vario titolo sono indagate, e alcune arrestate. Emerge, prepotente, la volontà del governo Renzi di promuovere delle politiche energetiche quasi unidirezionali nel nostro Paese, spianando corsie preferenziali agli investimenti petroliferi e ai malavitosi che da questi traggono indebito guadagno, e riservando le briciole alle aziende che investono nelle energie rinnovabili. Anzi, cercando in ogni modo di sbarrare la strada a queste ultime. Basti pensare allo sciagurato provvedimento con il quale hanno imposto tre anni fa il pagamento dell’Imu anche alle aziende delle rinnovabili (per esempio, equiparando gli impianti fotovoltaici a capannoni industriali e costringendo tante piccole aziende del tutto impotenti di fronte a questa vessazione fiscale a vendere o dichiarare fallimento). Di fronte allo scandalo, le opposizioni che fanno? Niente, se non gridare come al solito a favore di telecamera e cercare un piccolo e meschino ritorno di credito elettorale. Infatti, gli squallidi Cinque Stelle dicono di voler presentare una mozione di sfiducia ma non volerlo fare insieme al centro-destra, nel centro- destra ognuno grida contro l’altro, e in barba a questi quaquaraquà il Governo continua ad agire. Ora, ritornando al referendum di cui sopra, appare chiaro, alla luce di quanto emerge dalle cronache, che il governo Renzi voglia boicottarlo, mentre quasi tutte le forze di opposizione sono per il sì. Se infatti il governo persegue le dissennate politiche energetiche che puntano esclusivamente sugli idrocarburi e sulle lobbistiche compagnie petrolifere che lo foraggiano, qualsiasi interferenza gli apparirà come fumo negli occhi e i presidenti di regione pro referendum, con in testa Emiliano, come dei guastafeste . Come pure appare chiaro un altro punto. La vittoria del sì al referendum non cambierà le cose, purtroppo, nonostante la legittima enfasi di chi in questo momento si batte per la causa. Le trivelle continueranno a operare, in terra e in mare, da nord a sud dello stivale. Se non hanno ragion d’essere alcune preoccupazioni di chi vota no, illustrate dal “folkloristico” Oscar Giannino sul “Messaggero”: rischio per circa 30.000 posti di lavoro, recessione occupazionale al Sud, perdita di fiducia degli investitori stranieri, è tuttavia vero che la vittoria del sì rappresenterebbe almeno uno schiaffo morale per Renzi ed il Pd, ai quali si manderebbe chiaro il messaggio che non riescono ad intortarci con le belle parole e le riforme farsa, che siamo tutti consapevoli di quali siano i veri interessi che muovono le scelte governative, e della inquietante connection in atto. Come dire, continuate con i vostri loschi affari personali, ma sappiate almeno questo: ccà nisciun è fess!

    Paolo Vincenti
    Aprile 2016

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  10. altro articolo ben scritto e “libero da condizionamenti”: si vede che non sei un giornalista di professione!
    ; )
    “Può la mano destra non sapere cosa fa la sinistra?” chiedi. no, è evidente che non può. anche perché, l’ovvia risposta alla domanda retorica deve tener conto che, come ci insegna l’esperienza diretta, la mano destra e quella sinistra sono una l’immagine speculare dell’altra…
    : ))
    e d’altro canto la finanziarizzazione dell’economia rende sempre più invisibili e sfuggenti le mani (destre, ma soprattutto “sinistre”) che tirano le fila del teatrino, alimentando all’infinito il gioco a rimpiattino su colpe e responsabilità. Renzi e Boschi, ne sono un buon esempio non solo per “Tempa Rossa”, ma anche per l’asse Renzi-Boschi-Verdini-JP Morgan https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/22/referendum-costituzionale-la-riforma-e-voluta-dalla-finanza-di-jp-morgan/3047056/ su “riforme” e “Banca Etruria” (emblematico il recente rimpallo di accuse tra Renzi, Banca d’Italia, procuratore d’Arezzo, direttore della Consob e banchieri vari).
    cheddire, dunque? hai ragione, ma non accontentiamoci di uno “schiaffo morale”!
    : )

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