da Plinio Perilli e Nina Maroccolo OMAGGIO e TESTIMONIANZA per Ida del Grosso

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“VOCI  DAL  CARCERE”

 

Omaggio a Ida Del Grosso

Direttrice (ora sospesa) di Rebibbia Donne

 

(ai bimbi Faith, 6 mesi, e Divine,
19 mesi, trasvolati su ali di luce,
ora tornati solo anime pure…)

Conosciamo la Dott.ssa Ida Del Grosso dal 2013, da quando approvò con attenzione e felicità il laboratorio di poesia che cominciammo infatti a condurre, ogni martedì, assieme a Nina Maroccolo, presso la scuola ITIS “J. Von Neumann”, appunto, della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia. Àuspice l’editore  Luciano Lucarini, davvero, non c’è che dire, “illuminato”: se ogni anno ha stampato con inossidabile passione le nostre antologie, le Poesie a Rebibbia  (Pagine, Licenza Poetica), con un entusiasmo non peregrino né casuale.

Se la poesia non riesce realmente ad andare, ad arrivare, a rifiorire a Rebibbia, oh, interessa ben poco: come quella azzimata e accademica di certi fastidiosi circoli pseudo-culturali!, spesso ipocriti, egocentrici, autocelebrativi, dove far versi diventa quasi un gioco di società, un malvezzo ridondante e saccente…

Là dentro, invece, nella estrema, “pasoliniana” landa periferica della via Tiburtina… tutto sembrava negato, ma tutto tornava giusto. Soprattutto l’idea assillante della (non) Libertà:

In lontananza qualcuno canta,
in lontananza la mia anima
non si accontenta di starti lontano.
Vedrò dalle sbarre la notte stellata.
  Azzurra 

Andavamo e tornavamo. Qualifiche burocratico-ministeriali: “Art. 17″… Coi nostri libri, e fogli, classici rivisitati, progetti, appunti e riassunti delle loro idee: per poterla rimeritare, la poesia, seminarla anche delle loro ansie, ubbìe o terrori, pochi sogni rosati, e bisogni lancinanti… Sempre ponendo e rispettando le Donne – l’universo Donna, i suoi diritti e doveri, le ombre insidiose, ma anche le sue fervide, insondabili eppure stupefacenti chances di recupero – come il più autentico e ribollente discorso sociale, controprova culturale; ivi compreso il suo inevitabile, schiacciante essere abisso, porto o retaggio d’autocoscienza.

Visita coloro che ami
sebbene la tua dimora
sia distante, e nubi di oscurità
si siano levate fra voi.
 Erika

Nessuna retorica di sorta. Si è lavorato bene proprio perché Ida Del Grosso sa e sapeva benissimo, e grazie a Lei, forse, un po’ anche noi (ma vale per tutto il corpo insegnanti, a partire dalla nostra validissima collaboratrice, e presto amica, sodale, Antonella Cristofaro, docente di Lettere), che l’autocoscienza è una mira o un miraggio aspro, inquieto, continuamente dirompente, esplosivo di cento significati.

Lasciamo stare il linguaggio, i distinguo psico-sociologici, e prendiamo in dono i versi, istintivi e umbratili, delle detenute: anime in pena, oh, ben al di là d’ogni elegante metafora di sorta…

Né positiva né negativa:
la risposta non arriva,
ma io l’aspetto ogni giorno,
come se potesse cambiare
la mia vita, anzi il mondo.
L’aspetto comunque
e ogni giorno è più pesante.
Rita

Abbiamo scritto abisso, ombre insidiose… Quando si parla di “recupero”, di riti o messaggi o metodi di resipiscenza, di “cambiamento” e appunto “autocoscienza”, il tutto non avviene senza esitazioni, rischi, malesseri anche rilevanti, dirompenti.

La pena – il concetto penalistico della pena, ormai lo sappiamo bene – non dev’essere mai nefastamente semplicemente punitiva, ma semmai “medicinale”, ricostruttiva, i baldi filosofi amavano dire catartica (aggettivo, lo sappiamo, sempre un po’ retorico).

In un carcere, semplicemente… si aspetta l’attesa, e si spera la speranza.

*******

Altro non si può dire, dare… Tutto qui. E non è un mero esercizio tautologico, un brioso escamotage lessicale, una vertigine sintattica per dire e potenziare la stessa cosa… Aspetto l’attesa e spero la speranza, preziosa antologia di 122 pagine, uscì nel giugno del 2014: e fu per loro detenute una vera, piccola festa collettiva, schietta e scaciata, con le letture fatte lì all’aperto, sotto i pini, in giardino…

comunque
io aspetto, aspetto l’attesa,
e spero la speranza.
Né positiva né negativa,
come in fondo è la vita.
Rita

Si tratta sempre di una fede civile, di una religione “laica”. Da 2000 anni a questa parte (e non parliamo solo di Cristo ma semmai di Virgilio, il duca, la guida e massimo conforto di Dante nel suo viaggio oltremondano e insieme terreno, nel suo itinerarium mentis ad Deum), noi non abbiamo comunque altra risorsa che un’immensa, implosa o rigemmante dose di pietas… Ma non è poco.

La pietas civile (ma anche solerzia didattica, la diligenza educativa, propositiva) di un simile laboratorio di poesia, è realmente immensa. Il materiale umano, insieme depresso e incandescente, esplosivo e rifiorito. Una Commedia Umana, neodantesca, proprio in nulla divina, ma semmai, lo ripetiamo, umana, troppo umana, che ci ha donato centinaia di personalità e caratteri diversissimi, ma tutti in cerca di un riscatto profondo e doveroso, mai di una sterile rivalsa superficiale, o peggio, di un’infausta voglia di vendetta…

Anna Maria, ad esempio, lì dentro per problemi di droga, stava vivendo la sua terribile situazione di madre (il padre, al solito, assente, inesistente) condannata purtroppo a perdere la potestà genitoriale, e a vedersi sottratto il figlioletto (dalle solerti, anche giudiziose leggi vigenti) dato appunto in affido e poi magari in adozione… Un dolore allo stato puro, inenarrabile a parole, se non forse sub specie poetica:

Prego che mio figlio non andrà mai in adozione

Una preghiera, a una persona superiore, che sia Dio, o la Vergine
Maria, che mi dia una mano, prego e tocco la Madonna di Calcutta
ogni sera e ogni mattina, affinché tutti i miei sforzi, e buoni propositi,
non siano invano.
E prego che mio figlio non andrà mai in adozione, che ci metta proprio
una mano il Signore. Perché una possibilità si dà a tutti,
se poi io me la gioco male è solo mia colpa.


   Anna Maria

Per anni, assieme a Nina (e grazie alla collaborazione di Antonella, infaticabile e sempre lieta, ottimista, con l’amichevole solidarietà di tutto il corpo insegnanti), abbiamo ogni martedì pomeriggio raccolto, seminato, incoraggiato poesia, ascoltato e auscultato la poesia della vita, dell’Umano, de l’aiuola che ci fa tanto feroci (concedeteci almeno un verso di Dante). Ma l’emozione ricevuta e riattivata è sempre stata davvero stratosferica.

Nina una volta si è decisa a prendere appunti sulle loro diverse voci, o sfaccettature di carattere, e costruendo una sorta di monologo collettivo, un flusso teatrale di coscienza, dialettico e insieme indicibile. Nina l’ha chiamato Voci dal carcere, e non c’è neanche una parola inventata, artefatta:

La cella è diventata la mia casa.
La mia paura è di tornare nel dolore del mondo.
Ho lottato la mia guerra fuori.
La voce la sto ritrovando in carcere.

Non vedo mia madre da otto anni. So che sta morendo.
Non posso telefonare.
I miei figli non vogliono avere nulla a che fare con me.
Vorrei sentire la loro voce. Me li ha portati via il padre.

Mi invidiano il lavoro perché sono riuscita a ottenerlo.
E quelle che erano mie amiche non mi guardano più in faccia.

Forse mi mandano in una comunità di recupero.
Sto lavorando su me stessa.
Rivoglio mio figlio.

Così, i libri di poesia erano diventati finalmente i loro, i “propri” – e non quelli dei rispettosissimi, ma zelanti individui poeti, con lo status, la coroncina in testa della poesia come risibile privilegio, presuntuosa vanagloriosa o nobiltà sociale…

*******

Qui la poesia cambiava strada, facendo nuova, gettando all’aria ogni regola, finanche espressiva. Riprendeva in mano e rivisitava – anzi deflagrava! – ogni mito di sorta. Pensiamo a quello di Medea (su cui abbiamo lavorato per un anno intero, sino alla performance finale)… Molte carcerate, infatti, lì a Rebibbia, si sentivano tutte e ciascuna una nuova Medea, come ad esempio Laura, la più invettiva e disperata, certo una delle nostre più brave e struggenti poetesse, specchiatasi d’autoritratto. Valgano le sue parole, egualmente lucide e disperate, a dare un senso a tutto questo discorso.

Io mi sento Medea da 1
vita circa da 12 anni, e
Giasone ha sfruttato tutto
quello ke poteva da me.

(…)           Come Medea
mi sono ritrovata esiliata
e senza figli, e in tutto
questo, l’eroe sono io
xke arrivata alla disperazione.

Laura

Immaginate cos’è stato, anno dopo anno, fare un laboratorio in cui le protagoniste carcerate parlavano dell’aria verde, cioè del fare un vero pic-nic sui prati dentro il penitenziario, oppure evocavano, attendevano un’uscita sempre sognata (il Processo, il Castello, una continua Metamorfosi) che partiva come un’immagine kafkiana, e senza un minimo di risorsa o di fede laica, nel semplicissimo, ossigenante rito dell’Aspetto l’attesa e spero la speranza, diventava poi quasi più assurda dell’Assurdo, ingigantito a sistema dai romanzieri o drammaturghi che sappiamo (Camus, Sartre, Beckett, Ionesco), e che hanno visto tutto il secolo scorso, il ‘900 da cui veniamo, come un grande infinito Purgatorio, spesso anzi solo Inferno, infuocato e irredimibile…

Immaginate cos’è stato – quanto importante, vero?, cara Ida Del Grosso – dare parole, restituire la voce a chi nemmeno più pensava d’averla, tra la cosiddetta “Fine della Storia” e invece l’attuale “Società liquida”…

Quello che vedo dalla finestra

L’angelo che protegge
Il calore di Dio…
Arriva un pappagallo
alla finestra e forse
attraverso di lui posso
arrivare dai miei figli in Africa.

Grace

Abbiamo parlato di abissi, di rischi. Quelli ci sono sempre. Non è così facile impedirli, vagliarli, non certo dietro una scrivania pur esimia e laboriosa, da Ministro o da Direttore che sia… Rischi esplosivi, micidiali, invisibili, anche se magari accarezzati, addolciti dai sorrisi, dalla gentilezza inestinguibile, o da rabbie sottili, sottese, rapinosi fiumi carsici sotterranei, dentro e sotto Rebibbia, dentro e sotto i nostri cuori…

Vedrò dalle sbarre la notte stellata… (dicembre 2014)
Ma sono libera dentro di me… (novembre 2015)

Altri nuovi libri, antologie e corsi, altri anni d’incontri, di lavori, speranze e forse anche dissidi, ombre/luci… Perché no? Ma che tutto sia vero e resti vero, torni ad essere vero, anche e per fortuna la Poesia…

La verità, vi prego, sull’Amore! scriveva ed ammoniva del resto – nella sua saggia senilità – anche W.H. Auden, il grande poeta inglese de “L’età dell’ansia” (The Age of Anxiety, 1948).

Dicono alcuni che amore è un bambino
e alcuni che è un uccello,
alcuni che manda avanti il mondo
e alcuni che è un’assurdità
e quando ho domandato al mio vicino,
che aveva tutta l’aria di sapere,
sua moglie si è seccata e ha detto che
non era il caso, no.

Non è mai il caso, no… Oppure, e fortemente, sì?!

A nome mio e di Nina Maroccolo (ma anche di Antonella Cristofaro, e di tutte le insegnanti e le operatrici dedicate), noi chiediamo che si torni a dare fiducia ai sani principi ispiratori, partecipi e progressisti, delle ultime leggi sul Carcere, per riformarlo, migliorarlo da dentro. E sappiamo bene che resta ancora in gran parte inattuata la legge dedicata alle detenute madri, approvata nel maggio 2011: cioè proprio il provvedimento che, dopo lungo iter parlamentare, aveva come obiettivo quello di evitare che vi fossero ancora bambini costretti a vivere in carcere con le loro mamme recluse…

Ma di chi è la colpa se in Italia ogni riforma diventa la peggior nemica di se stessa, e poi passano gli anni così che le cose ancor più si complicano, s’ingarbugliano?…

*******

Grazie a chiunque avrà letto o saprà ascoltare queste poche, allarmate, e dispiaciutissime parole in libertà. Grazie a tutte le detenute che ci hanno fatto ancora credere (ricredere?) sulla poesia… Grazie alla Dott.ssa Ida Del Grosso per averci sempre creduto: e certo, aver corso anche dei rischi – ma solo chi prende rischi ottiene qualche risultato. Oppure può incorrere, “sopportare gli strali e gli inganni di una fortuna oltraggiosa, e contrastandoli por fine a tutto…”, come Shakespeare faceva dire ad Amleto, principe inquieto ma amche giovane saggio, che per scoprire la verità teatralizzava il suo stesso dramma, e fingeva di essere pazzo, straniero dentro la sua stessa mente)…

Grazie a Luciano Lucarini, editore con “Licenza Poetica”, per aver sempre voluto, aiutato, questi corsi, e soprattutto stampato queste antologie (di cui molte detenute hanno fatto un fulcro stesso di fierezza e di “ricostruzione”, psicologica o mentale).

È terribile la condizione di una detenuta, una giovane donna cui vengano tolti i figli… Abbiamo perfettamente conosciuto la casistica, tutte queste emergemze e dirompenze… Abbiamo visto i sorrisi indelebili di certe detenute madri (magari le zingare, le Rom che si vantavano dei tanti figli, e ci raccontavano i loro nomi via via “decorandoli” con fiori e cuoricini disegnati, poetati):

Ogni sera penso a te
penso di abbracciarti
penso di baciarti
ma non posso sei lontano
sei lontano e aspetto
Natasa

 

   Ma abbiamo conosciuto anche tanti malesseri. Le loro stesse antologie ne sono intrise, sfregiate come un continuo, sopito oltraggio alla Bellezza… Che non sempre era così maturo, o fortunato, da trovare in se stesso il correttivo d’una salvifica meditazione, magari recitata, zuccherata in versi… Penso a come Rita (nella sua poesia “Il Bianco e il Nero”) riuscì ad allargare, focalizzare il famoso episodio dell’Angelus a Piazza S. Pietro, con l’attacco del corvaccio nero alla bianca colomba liberata… Così da farne una piccola-grande morale, valida anche per Rebibbia, e sia la Società che il Carcere:

…       Come in questo posto
dove capisci che la tua vera libertà
non è tra le mura ma dentro di te.
Perché hai la libertà di scegliere
se essere colomba o corvo,
ma sempre e comunque libera.

Il dramma ha fatto irruzione anche nel “nido” di Rebibbia (perché la malattia mentale esiste, con tutte le sue sindromi, certo anche quella, diciamo così, di Medea)…

Roma, detenuta getta figli dalle scale del carcere di Rebibbia: ultime notizie, uno è morto, l’altro è gravissimo. La donna ha ucciso il bimbo nell’asilo nido della prigione 19 settembre 2018 – agg. 19 settembre 2018, 10.59

Ma non è distribuendo colpe e tagliando teste, con immediata, adirata reazione giustizialista, che qualcosa cambia davvero o si risolve.

Al massimo s’inaspriranno le pene, diventerà più penosa la pena, più pesante la croce, il calvario, la salita – in cima alla quale, la luce, ogni luce riaccesa dentro diventerà solo buio, ed eclissi, irrimediabile, definitiva.

Dopodiché dissipiamo gli equivoci e torniamo a parlare, a parlarci tutti, ad ascoltare. La poesia non ha bisogno di biechi consensi popolari, o smarrimenti populisti.

Ogni io conscio o inconscio, ogni anima in pena (o finalmente radiosa) diventa popolo e corpo della poesia… E suo vangelo, suo retaggio, sua Voce.

Cella 41

 

   Non voglio nascondermi
dietro una terapia
per non pensare.
Il giorno dopo, il problema
rimarrà lo stesso.


 Jasmine / Lyse

Con profonda stima, e struggimento, per tutto quello che si è tentato di fare, anche per ciò che non doveva succedere, e tutto quanto potrà forse placarsi e rifiorirne. Il nostro Omaggio va dunque all’esperienza inesauribile di “Rebibbia Donne”, e in particolar modo alla Direttrice (noi crediamo esemplare) Dott.ssa Ida Del Grosso, alla sua vice, la sempre gentile Gabriella Pedote, e anche alla Vice-Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria, Antonella Proietti: professioniste sempre ligie e temprate (ora sospese!), nella loro fedele missione di rendere umana e provvida, ahinoi, anche la Burocrazia. Come poetava Pasolini:

Qui a Rebibbia sulla fradicia riva

  Plinio Perilli e Nina Maroccolo

                                       (Laboratorio di Poesia a Rebibbia-Donne)    

***


6 risposte a "da Plinio Perilli e Nina Maroccolo OMAGGIO e TESTIMONIANZA per Ida del Grosso"

  1. Il rispetto e la dignità delle persone è sempre basilare. In questo importante omaggio- testimonianza civile forte e appassionata di Plinio Perilli e Nina Maroccolo che al di fuori della retorica documentano con coraggio l’esperienza e l’umanità di Ida del Grosso e di varie detenute, capaci di emozioni vere, voci di vita di donne persone in cammino verso nuove soglie di libertà e ri-educate alla speranza anche in virtù della pedagogia sociale favorita dalla direttrice Del Grosso.

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  2. Ho letto con molta attenzione il vostro comune sentire in merito ad un avvenimento sul quale non mi sento di esprimere giudizi. Il vostro scritto trasuda passione, coinvolgimento, serio impegno. E mi viene in mente la scuola e forse si può fare un paragone: leggendo le splendide poesie delle denute ho pensato a quanto anche i ragazzi, gli adolescenti sono in grado di dare se hanno una buona guida. Di una cosa però sono convinta e cioé che il problema è altrove, nelle Istituzioni.
    Mi sono resa conto, infine, che per fortuna esistono ancora gli intellettuali, quelli veri, e voi lo siete.

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  3. La vostra bella testimonianza è l’evidenza di come l’arte e la poesia siano una pratica, intrisa nella realtà, così come lo provano le poesie delle detenute, così essenziali e senza fronzoli ne artifizi. Vediamo così che la poesia si può trovare proprio dove meno ce lo aspettiamo, là dove la gente ai margini soffre. C’è da sperare che l’analisi dei fatti di una gravità inaudita come la morte di due bambine possa almeno portare a migliorare la situazione, e non ad interrompere il percorso di reinserimento sociale che la direzione efficacemente perseguiva.
    (Mi tornano adesso alla mente anche Giovanna Sicari che insegnava sempre a Rebibbia, e Milo De Angelis nel carcere di Opera).

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  4. Solo quando la tragedia si compie ci accorgiamo di Medea, ignorata fino al giorno prima. E allora ci si mette la coscienza a posto scaricando le colpe a qualcuno, senza chiedersi di leggi assurde e di una umanità che non conta, invisibile ai più. L’esperienza di Plinio e di Nina ci rivela quanto può servire la poesia, quanto ce n’è bisogno. E vediamo anche noi dal di dentro, con i versi struggenti limpidi strazianti di Jasmine / Lyse Natasa Grace Azzurra, Erika, Rita, Anna Maria… così come hanno visto Nina e Plinio, aprendosi a loro, ascoltando insieme e imparando a vicenda, in un cerchio solidale che ci arriva e comprende idealmente. Forza della poesia, dell’amore, della Pietas, come dice Plinio, come in una grande abbraccio che aiuti a lenire tanto dolore e a fare coraggio.

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  5. Grazie Plinio e Nina.
    Grazie Ida e Gabriella.
    La poesia è un percorso di verità, si cercano le parole che sanno ascoltare e che possono svelare ciò che non appare.
    Noi c’eravamo e noi ci siamo.
    Il carcere è uno spazio complesso e la sofferenza entra dal cancello di ingresso con tutto il suo carico di dolore che da quel momento, oltre ad appartenere al singolo, si consegna all’umanità.
    Una complessità che impone l’esercizio del dubbio e che fa emergere la bellezza di una pietas traboccante di umiltà. L’accoglienza c’è quando lo spazio di dolore si trasforma in luogo di cura dell’identità. Allora quel cancello di ingresso diventa la porta di accesso ad una nuova possibilità.
    Grazie Ida e Gabriella.
    Grazie Plinio e Nina.
    Ho condiviso con voi attimi di conoscenza, preziosi istanti di di cura dell’altro, ho apprezzato la complessità della professionalità, vera quando non si vive con tanta generosità.
    Spero di incontrarci presto per riprendere il nostro cammino.

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  6. Onde evitare equivoci,appare evidente un refuso e pertanto desidero correggere e offrire un secondo commento.
    Grazie Ida e Gabriella per la grande professionalità condivisa con tanta generosità.
    Antonella Cristofaro

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