“Gli amanti in volo” di Plinio Perilli, riflessione di Monica Baldini con intervista all’autore di Fausta Genziana Le Piane

Plinio Perilli, Gli amanti in volo, Pagine 2014

 

Gli amanti in volo di Plinio Perilli

Riflessione di Monica Baldini

 

“Gli Amanti in volo” di Plinio Perilli è scivolato in lettura tra le mie mani in questi giorni di quarantena, prorogatio di indubbia area ferma ritagliandosi spazio di riflessione nella riflessione.

Perilli mette il focus sull’Amore, un amore che prende l’intero libro e di cui è bene scrivere la maiuscola. Non è un sentimento asciugato nel suo intimismo ma riflettuto e rispecchiato nell’olio su tela Marc Chagall (Sopra la città, o più noto come “Gli Amanti in volo”), da cui riprende la copertina il libro stesso, in Antoine de Saint-Exupéry ed il suo “Il Piccolo Principe” – “E Lui – in contemporanea – romanzava il cielo e volava fra le pagine! Decollare d’amore, poetare fra sole e luna…, in Leopardi, Zibaldone, 53 – “Spesso ho notato negli scritti de’ moderni psicologi che in molti effetti e fenomeni del cuore ecc. umano, nell’analizzarli che fanno e mostrarne le cagioni, si fermano molto più presto del fine a cui potrebbero arrivare”…e nei versi che rimandano ad un flusso di coscienza, ad esperienze, “sull’Amore: quotidiano eppure in maiuscolo, insomma vissuto e solo dopo de-scritto, prescritto, inscritto…”, scrive Perilli nella premessa.

E questo mi si è rivelato verso dopo verso, momento dopo momento: una ricerca di guardare l’amore nelle sue luci e ombre, nei suoi riti e gesti, di poetizzare con la penna sensibile ed elegante le emozioni, il sapore ed il sapere che l’unione di due corpi e il sentimento sprigionano e detengono in potere. Il potere dell’Amore sulle vite, quello che provoca e gemma, “rigemma” e fa rinascere, descrive Perilli con un linguaggio che gli dona pathos e riflesso prezioso.

L’Amore nell’alcova – letto spiegato e dei cuscini stropicciati come le lenzuola, nella Casa d’Amore, nel viaggio verso l’isola di Ponza, nel cielo azzurro e nei dipinti interiori che si ispirano al sole e al mare, l’Amore che nutre le menti separate nella routinaria quotidianità.

Con la leggiadria di una farfalla che svolazza di qua e là, si toccano gli spaccati che l’Amore pervade, investendo perciò anche il quotidiano e di questo vorrei riportare, perché pone come in una scena filmica, ciascuno che voglia specchiarvisi – di cui l’invito posto da Perilli in premessa:

“… Ora il libro è chiuso – ma perché torni a riaprirsi.
È siglato – perché voglia udire, e farsi ascoltare.
È affidato – a chi vorrà specchiarvisi.”…
Così poetizza a pagina 58, dove il poeta confessa e insieme compone:

Mai finisco d’amarti: sempre poi si prolunga
l’amore – pensandole, le carezze rinnovo
che da poco, al mattino, ho smesso di farti,
l’ardore che staccandomi rinuncio a espletare.
Ogni volta ti bacio come se fosse l’ultima,
dico “T’amo” quasi con lo stupore neòfita
di chi primamente si dichiara, immenso
confessa un pudore. Sempre inizio ad amarti.

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Questo dissidio, forse unisce gli amanti –
questo groviglio li sublima… Insieme
ci si sveglia reciproci, e ogni giornata incipiente
ci separa d’impegni, oziosità, rancori
o beghe del quotidiano. Ma ci salva l’idea,
la religione del rapporto, la certezza
indimostrabile e dogmatica nell’Altro –
fiducia come progetto ardito, teorema di volontà.

E ancora, la dolcezza di una poesia che celebra la poesia dell’amore nella distanza tra gli amanti che sempre si affabulano di pensieri e profumi l’uno dell’altra.

Manca l’azzurro al cielo, oggi,
architettato di nuvole. O il sole
resta pigro dentro un cuore che scava
e risale maree, nomi, colline di pazienza.

Mi sveglio e già sfrecciano rondini,
stridono la gioia illusa che io non vivo,
eppure m’incorona. Solo manchi tu
al mio giorno, ma adesso sta parlandoti…

Non manchi tu all’azzurro, e grigia
ti fai cielo non visto, rosa su nero,
poesia che mai sta ferma, percorri
giri in testa, mi voli nello sguardo.

Parlare di Amore mai basta, per i giovani d’oggi, per gli adulti di oggi, per chi voglia vivere con leggerezza profonda che è coscienza capace di cogliere la saggezza e bellezza della lievità.

L’Amore ci nutre, ci ispira, ci fa piangere e ridere, ci fa sognare, ci porta in soliloqui e ci fa esplodere, ci comprende e pone sulla bilancia della vita il peso di cui chi ne porta più carico, può dirsi felice.

L’Amore non si tocca, non si dice ciao all’amore ma all’amante cioè alla relazione intessuta con la persona, con il suo soprannome, con dunque il nuovo modo che assumiamo da innamorati.

L’Amore è intangibile ma tanto concreto da modificarci nei riti, nel luogo di vita, nelle aspirazioni, nelle intenzioni. Sì perché l’amore ci modella, ci plasma, ci scolpisce come creta da un artigiano non lasciandoci immuni dalla sofferenza quanto piuttosto sollevandoci. È un’opera ardua, non elimina la paura ma implica il coraggio di vincere su di essa.

L’Amore è anche deserto infatti e Perilli chiude così, dando al lettore l’occasione di riconoscere in Esso, la chiave di apertura verso la salvezza.

Deserto che anch’io attraverso
come la plaga mobile ed estrema del Mondo,
ferita stessa di ogni vita, che solo
dall’assenza può rinascere – da questa
sete d’amore che incarno e che attraverso
da questo vento che m’impietrisce,
m’insabbia e mi sala il cuore.

Fiorisce poi il deserto le sue rare,
donate oasi d’amore – i palmizi dei baci,
le carezze dei datteri che forse gli stessi
Re Magi ci portarono sui cammelli del Simbolo.
Il deserto che mi attraversa, mi spazza
gioia, e infredda o assola le emozioni:
più forte, bollente dichiara il giorno,
ma anche gelida, gelata, ci infligge la sua notte.

Deserto in cuore, da oasi
ad oasi…ed anche l’oasi è deserto
se fallisce il miraggio, se la sabbia
annega il mare, affoga l’acqua…
O forse tutto questo deserto mi si fa
oasi, m’inghiottisce l’orizzonte… mi salva.

Chi parla d’amore è povero di vita e così ne ha sempre bisogno, possedendo la più grande ricchezza. E Perilli lo celebra ergendolo a protagonista del libro, fulcro della vita, della poesia che canta l’altra poesia invisibile quanto essenziale per richiamare Antoine de Saint-Exupéry (“l’essenziale è invisibile agli occhi”), qui divenuto egli stesso, da pacifista pilota di guerra, un “Piccolo Principe” che ancora vola e svola in alto, in un pensabile e concreto iperuranio, da un Asteroide all’altro: “Asteroidi sono gli amori – ma quelli grandi – e veri, puri di se stessi”…

Monica Baldini

*

Plinio Perilli (ph. Enzo Eric Toccaceli)

 

Plinio Perilli: l’amore visto dall’alto

(intervista a cura di Fausta Genziana Le Piane)

  • Quanto conta avere un mentore in letteratura per farsi conoscere?

Conta eccome, e certamente anche per spingerti, per trovare spazi, occasioni, chances si spera nobili… Ma soprattutto per i consigli, la saggezza preziosa, il dialogo in fieri con un’esperienza… La prima volta che inviavi un libro e ti rispondevano – che so? – uno Spagnoletti, un Luzi, Zavattini o Siciliano… Arrivavano queste lettere sacre, queste cartoline postali… O direttamente la voce transustanziata in una telefonata… Ed erano veri e propri “avvenimenti”, avventi interiori. Tu eri accettato, capito: promosso a uno status, un nuovo esame di maturità, trasparente e durissimo; valido se te l’eri davvero meritato… Presentavi le tue opere come a portare le colombe al Tempio, per una benedizione finanche biblica, evangelica; o se vogliamo (perché l’arte è anche battaglia, combattimento delle idee e della forma), pregare Dio con la tua spada al fianco, nella lunghissima notte crociata, confessione templare d’ogni Veglia d’Armi…

Però attenzione: erano mèntori esemplari ed anche esigenti. Affilati ed etici. Esigevano verità e qualità, non goffe recite da pubbliche relazioni e maldestri arrembaggi di potere, camarille, strategie d’accatto… Se mentivi con te stesso e con gli altri, con la pagina e con le parole – insomma se tradivi i baci della Musa – ti segavano subito.

  • Tu conduci da vari anni un laboratorio di scrittura poetica: in che cosa la tua esperienza ti ha insegnato che è più utile? Per affinare lo stile? Per conoscere altri poeti? Per trovare la propria ispirazione?

Difficilissimo insegnare un’arte (e tutte le arti confluiscono in un’unica, pur inquieta armonia). L’arte della parola non si insegna, propriamente, eppure si capta, si affina, lima il gusto, l’orecchio, il suono poetico, lo sguardo all’illimite… Io scherzo a volte che è come una palestra, un andarsi ad allenare… Ed è vero perché in arte fa esperienza il talento, e ne abbisogna… Cioè il talento si perde, se non si esercita – se non trova in se stesso la voglia di rimettersi sempre in gioco… Bello anche questo crocevia di stili, destini, metodi, vorrei dire anche “umori”… Proprio nel senso antroposofico di secrezioni espressive… E sentire o leggere l’Altro da sé, aiuta l’Io, l’odioso nostro specchiato IO ipertrofico… Intanto a non prendersi troppo sul serio! E poi a non illudersi di essere comunque al centro del mondo. Il vero poeta mette il mondo al centro – e solo così, forse, riconquista l’Io… Egocentrismo democratico? Non lo so, però ricordo quel verso formula, quel manifesto in pillola di Sandro Penna; un distico esemplare: “Io vivere vorrei addormentato / entro il dolce rumore della vita”. Dolce rumore poi è un ossimoro. La poesia s’addormenta dentro i rumori? I cuori s’arroccano meglio nel frastuono? Pensa, Faustina, che deliziosa e briosa satira della modernità…

  • Parliamo della tua esperienza a Rebibbia, anch’essa condotta da parecchi anni e che si conclude con la pubblicazione dei lavori svolti per le edizioni di Pagine: in che cosa differisce rispetto al laboratorio di scrittura poetica?

Un’esperienza intimissima e deflagrante. Poderosa di stimoli umani, di urgenza etica – ma anche abrasioni mentali: umane, troppo umane… Sono ormai tanti anni di militanza, quotidiana e “civile” a un tempo; cioè, antiretorica (perché c’è anche tutta una retorica fintoprogressista del carcere che non mi riguarda – ma è semmai pascolo mass-mediatico degli scrittori à la page, “radical-chic”… Quelli che in privato ti dicono: “Uffa, domani ci ho Rebibbia!”. E intervistati si vantano: “Oh, sì, l’impegno! Io tengo corsi a Rebibbia!”… È il solito lavacro del politicamente corretto con cui in realtà muore la scrittura, si plastifica… E s’annacqua, svapora l’eticità. Quando ho cominciato ad andare a Rebibbia, assieme all’indimenticato amico e poeta Italo Evangelisti – che era anche critico d’arte, e con cui dialogavamo d’Arte – per noi quello un luogo, un fine nuovo dell’arte, arte del vivere e del viversi. Era una controprova del nove, un test assoluto, avrebbe chiosato Gramsci, tra Società e Letteratura. Che non possono essere mai l’una estranea all’altra… Ma nemmeno debbono scimmiottare dedizione e consensi quasi per uno spot televisivo… Ora negli ultimi tre, quattro anni, con Nina Maroccolo, sensibilissima all’Animamadre – e l’attenzione rivolta alle detenute, cioè al recluso “donna” (madre, moglie, figlia, amante, ladra, assassina, spacciatrice…) – abbiamo talvolta toccato un doloroso, ma pur magico vortice d’accelerazione, di ansia introiettata; e poi liberata. Abbiamo scritto – e poi letto, interpretato – una Medea contemporanea (e poliglotta) dove ogni detenuta dava nuova e strana voce all’eroina classica: una Medea fatta, assemblata di tante Medee…

  • Hai vinto premi prestigiosi quali l’Eugenio Montale, il Guido Gozzano e l’Alfonso Gatto: è più facile vincerli da esordienti o da poeti affermati? Sono uno strumento valido per farsi conoscere?

Ma sono molto cambiati, i premi, questi premi o premiucci, oggi da ieri, o peggio l’altroieri… Ecco, diciamolo, premi e premiucci… E questi ultimi, in verità, ci sono sempre stati: se li davano fra di loro, brigavano i sindaci, i giurati, i professori, gli assessori, i consiglieri… Mafiette e camarille direi comico-maldestre. Ma i premi veri, no – lì non ci arrivavi nemmeno. Perché arrivarci era già una laurea, la patente, la certificazione di uno “status”… Come dire: tu sei un poeta, non un versificatore… Ora invece l’impatto degli editori è troppo forte: e vince sempre l’editore di peso, vince il tizio più noto: magari è un giornalista, o un politico, un personaggio di peso, riciclato a far versi – così poi viene la RAI, ti gira un minutino sul premio, da mandare in onda in un tiggì della mezzanotte… Così la poesia continua ad essere un gioco d’élite, ma ora senza più nemmeno la qualità. Una volta, raggiungere la cinquina del Viareggio, era già una consacrazione. Ti stringevano la mano Natalino Sapegno, Carlo Muscetta, Cesare Garboli, Lucio Villari, Guglielmo Petroni… Oggi non credi più ai premi nemmeno quando te li danno, e ti fotografano con quegli inutili padelloni o piatti o coppe finto-oro in mano… Una poesia non più d’oro ma al massimo d’argento, argentone, silver-plate…

  • Associ all’attività di poeta quella di saggista e critico letterario, curatore di molti classici, antichi e moderni: quale di questi impegni senti più vicino alla tua indole?

Per paradosso, tutti insieme e allo stesso modo. Senza soluzione di continuità. Poeta quando faccio poesia – ma anche quando scrivo un saggio sulla poesia o su un poeta… Comunque anti-accademico: perché è l’Accademia, la fucina artefatta e pretenziosa, il bacillo di tutti i mali… Col nostro paese che ancora vive una cultura “manzoniana” (preciso: che Manzoni stigmatizzava, romanzò a dovere!): con l’Azzeccagarbugli burocrate delle idee che fa il vuoto, sposta l’intelligenza a privilegio… E poi c’è il vituperabile e azzimato latinorum dei preti, che mette tanto in difficoltà Renzo, coi suoi bravi capponi in mano… ma che però capisce e non ci sta… Oggi, magari, invece del latinorum c’è l’inglese: ma cosa cambia se invece di revisione (ovviamente, riduzione) di spesa, c’è e si dice la “spending review”?!… Per turbare e azzittire le vecchiette, l’omino della strada?… Conta, conterebbe semmai il “coraggio”: delle idee, della vita, delle scelte, anche dei versi… Ma “il coraggio” – ammette e confessa Don Abbondio – “uno non se lo può dare”… Coraggio, questo ci vorrebbe: e anche nell’arte, nella poesia! Ma non per “provocare” e colpire, e stupire il borghese, alla Maurizio Cattelan, coi bambolotti di plastica impiccati o il meteorite che schiaccia il Papa… Pensa invece al coraggio dei vecchi versi di Ungaretti o Montale… “Come questa pietra”… “Tra gli uomini che non si voltano”…

  • Com’è L’Amore visto dall’alto, titolo della tua prima raccolta poetica del 1989 che giunse finalista al Premio Viareggio?

“L’Amore è una Rosa bianca, il candido fiore metaforico: / un fiore che non esiste che nell’anima”… L’Amore era e sempre resta e resterà per me un comun denominatore – il cromosoma (o gamete, enzima, molecola…) al centro d’ogni possibile, svelata o rivelata mappa, perlustrazione viaggio o teogonia del genoma umano… Ma lì lo vivevo, lo rivivevo, dopo, come estraniato, stupefatto delle stesse gesta del mio cuore, cioè del nostro corpo quando davvero si fidanza, si congiunge all’anima… O viceversa: nulla cambia, se il confine si perde, s’illumina in fervore ogni attesa o travaglio, ogni semplice premio d’intensità. “Facile innamorarsi, difficile è essere, / innamorati. Sarebbe come fermare il tempo / al prima, dopo la vittoria rivivere l’inizio / della corsa”… Questo lo scrivevo (o meglio stampavo) nell’89, da cucciolo. Nel ’98 dei Petali in luce, da Peter Pan in perfetto volo e velocità di crociera, poetavo, terzinavo: “Amarsi. Dunque non più correre, né solo camminare… / Volare un peso. Fluttuare, librarsi! Se Amore è aria, / o mare aperto che fra le braccia chiudiamo, alati.”

  • Quali sono oggi, nell’epoca degli sms e di FB, gli accenti giusti per parlare d’amore (ricordo il titolo della tua ultima raccolta, Gli amanti in volo, Pagine, 2014)?

D’amore si parla, l’amore parla sempre nello stesso modo. A volte sta anche zitto – e lì prepara o dice le sue parole migliori… Ci sono ragazzi innamorati che oggi si scambiano messaggini bellissimi, sms poetici, se non poesie! Dove magari si saltano le vocali per far prima, e il ch diventa K – come nell’antica pronuncia latina, peraltro!… Ad FB credo poco (difatti non ci sono) perché vince la componente narcisa: è una vetrina, stai in vetrina, e allora finisce per essere come un red carpet dei poveri, la rivalsa della frustrazione. Non credo quasi a niente di ciò che viene detto o scritto, pubblicato, perché 10, 100 o 1000 persone ti dicano col pollicetto “recto” mi piace – o viceversa ti frustrino, ti critichino a pollice “verso” per attirare ancora più attenzione. Lo capì Nanni Moretti, già parecchi anni fa: in perfetta satira del modernismo, del buonismo, dell’agile pressappochismo che ci circonda… Beh, siamo in fondo rimasti fermi all’Ecce Bombo, con fulminee, e direi allora inopinate accelerazioni! “Esco, giro, vedo gente…”; “Mi si nota di più se ci vado, alla festa, o non ci vado?…”; “Dica qualcosa di sinistra!…”; “Ma come parla?! Le parole sono importanti!”… Poi c’è la Scuola a pezzi, la buona scuola – sic!, e sigh! – che oramai è come i “somari” di Pinocchio, messi per pubblico ludibrio dietro la lavagna, con le orecchie lunghe e il naso interminabile… Una retorica sociale ipocrita e ignorante – dove tanto alla fine se la cava solo il raccomandato, il rampollo potente di turno, con un mondo del lavoro polverizzato e asfissiato. Ecco, non avrei mai pensato che un giorno si potesse seriamente immaginare di fare una ricerca su Wikipedia, in cui perfino la mia voce, figurarsi, è zeppa d’errori!

  • Conduci in televisione un programma di poesia: tanti anni fa la TV era portatrice di grandi valori culturali, si proponevano grandi romanzi classici, si mettevano in onda rappresentazioni teatrali anche dialettali, esistevano programmi come L’approdo. Ritieni che la TV possa ancora oggi avere un alto ruolo educativo?

La TV ha sempre un ruolo educativo, una potenzialità enorme… Lo capì Pasolini, che diceva di voler abolire appunto la TV e la scuola dell’obbligo… Ma andava a dirlo, giustamente, in TV, nei programmi “generalizi” di Enzo Biagi… E “scandaloso” com’era (e illuminato come pochi, nel secondo ’900 che rincorreva, rimpiangeva La Religione del mio tempo), anzitutto “occupò” i mass-media: cioè fece cinema, teatro, interviste, cortometraggi, articoli di fondo sul “Corriere della Sera” (i meravigliosi, profetici Scritti corsari)… Usare i famigerati mass-media contestandoli: niente forse di più saggio e arguto. Passione e ideologia, contro chi non ci crede, facendo rientrare dalla finestra dello sguardo della sorpresa, della poesia, dell’ispirazione, ciò che esce dalla porta ufficiale della Realtà, della banalità quotidiana. Oggi la TV è le TV – ma è plurale inutile, perché il minestrone è sempre lo stesso. Perfino le pubblicità da un canale all’altro, l’avrai notato, le hanno tarate, sincronizzate in coincidenza, perché non si perdano. E il sonoro schizza più in alto. Nessuno deve poter fuggire al Leviathano o Moloch (o Grande Fratello), che insieme comanda e sorveglia… La società dei consumi è quella anche del pensiero unico: “globalizzazione” forever and ever… Nessuno più s’illude di cambiare il mondo… meno che mai i giovani… Si spera solo che il mercato regga, riprenda, sopraviva la crescita… Che l’indice PIL torni a salire… Insomma, inflazione nei mercati e deflazione in testa – smottamento di ogni cultura ereditata… In questo contesto triste e tristanzuolo, anche andare onestamente in TV, senza panacèe universali, a dir versi od ospitarli, carezzare sane illusioni d’intensità, non mi sembra poi il peccato più madornale.

  • Parlaci della sinestesia in arte.

In estrema sintesi – perché sarebbe un gran discorso a parte, provvido e affabulante! Ricordi le “Corrispondenze” di Baudelaire? È come entrare in un bosco (o comunque in un Tempio) dove tutte le percezioni sono esaltate, corroborate: i profumi, i colori e i suoni si rispondono“L’expansion des choses inifinies”, l’espansione delle cose infinite! Ci credo e ci crediamo. Curioso invece che anche per il dizionario – me lo faceva notare mio cognato, che è musicista – sinestesia resti ancora più o meno una “malattia”! Cioè il rimbaudiano “sregolamento dei sensi”, la simultaneità delle percezioni, evviva, ma sostanzialmente anche un deragliamento dalla sensorialità usuale: “una sensazione corrispondente a un dato senso viene associata a quella di un senso diverso (p.e. un certo suono induce la sensazione di un certo colore)”… “Dottore, è GRAVE?!”… A parte gli scherzi, sembrerebbe lo sballo, l’ebbrezza massima di un fuori di testa – e invece è, a parer mio, il fine naturale dell’arte: sconfinare di arte in arte, radiosi o umbratili quanto basta.

  • Tuo padre era sceneggiatore e regista, Ivo Perilli, tua madre attrice, Lia Corelli, e tua sorella attrice e doppiatrice, Valeria Perilli: quanto conta l’esempio famigliare nella formazione artistica? È un inizio da coltivare o un impedimento?

Conta, conta eccome. Scuola e Famiglia erano decisive, una volta. Scuola anche nel senso di socializzazione – e in questo senso la scuola pubblica, con tutto il rispetto di (alcune) buone strutture private, ti garantisce il massimo dell’efficacia – nel bene e nel male. Pensa cosa fu per me il ginnasio al “Mamiani” negli anni della contestazione, 1968-69… La Famiglia è insieme un privilegio e una prigione (Kafka lo sapeva: perché gli dettò l’incubo de La metamorfosi; e lo sfogo prono, dolente d’una Lettera al Padre che non ebbe in realtà mai il coraggio di fargli leggere). Mio padre, noto scrittore di cinema, amico di poeti e di artisti, mi mise in mano i libri importanti già a 7-8 anni. Dolce violenza, in fondo, costringere a sapere, al Sapere… E mi faceva, ahimè, il compunto e suadente Cicerone durante le proiezioni in TV dei classici del cinema (disciplina di cui fu maestro)… E mi portava nelle Mostre o nei Musei d’arte più formativi. Ma sono semi – attenzione – che devi poi impiantare tu nel tuo terreno o terriccio emotivo, e prenderli in consegna, innaffiarli a dovere. Giacché poi diventi tu, il giardiniere delle tue idee e nozioni. Spine, petali, frutti…Tutto a un certo punto serve, ma tutto dipende da te. Noi abbiamo i genitori che ci capitano – ma se sono buoni, bisogna anche meritarseli!

  • Il cinema non ti ha mai veramente tentato?

Sempre e comunque, anche quando vedo un bel film – e capisco perché è bello: o invece è brutto, e so perfettamente perché, cosa manca, dove la scommessa è andata persa. Da figlio di sceneggiatore – dopo aver recepito migliaia di ore di disquisizioni, so perfettamente cosa accadrà nella trama, a volte azzecco perfino le battute che i personaggi si scambiano o diranno. È un ricettario anche l’arte – ma comincia dall’artigianato, dal menu consueto, dal fare bene con quegli ingredienti. L’arte arriva da sé, è uno stato di Grazia, noi non lo decidiamo. Prepariamo però bene gli ingredienti. Medito sempre, prima o poi di scrivere un bel film, addirittura di girarlo… Intanto credo nella scrittura come arte totale (da Wagner a Spatola, a parte di scherzi); e so che perfino un verso, suona e canta, dipinge in noi e dentro gli altri, verso noi tutti, le sue parole…

  • Perché non hai un sito?

Perché io non essere “homo tecnologicus”… Me essere fermo a fratellanza pitecantropa… Ugh! Me ormai attempato “homo erectus” che ha trovato nel suo bosco strano oggetto di plastica, che giovani della mia tribù chiamare telefonino “scrauso” e ridono perché non fare foto o selfie ed essere più attempato di me, vecchio ragazzo del ’55 (l’anno, ridi pure, Faustina, di Gioventù bruciata – e di Ragazzi di vita)… Cosa fare io con sito? Chi contattare? Con chi io chattare? Me preferire cercare in bosco tutti I fiori del male, e le “Correspondaces” commestibili: Come echi lunghi che da lontano si fondono / in una tenebrosa e profonda unità / vasta quanto la notte e quanto la luce

  • Che cosa consigli ad un/a giovane che intraprende la strada della poesia?

Di non aspettarsi niente da Lei, ma se ci si crede, di darLe tutto. Esattamente come in Amore. A fondo perduto, per fortuna. Tempo Perduto che poi ritroveremo, in una goffa o magari fulgida Recherche… Si ama per amare, non per essere amati. Poesia non è mai un do ut des. Lo crede al massimo qualche fighetto o qualche squinzia in carriera, che s’improvvisano (mediocri) versificatori, incentivando il merchandising delle “pubbliche relazioni”.

  • Diceva Yves Bonnefoy, recentemente scomparso, che la poesia è necessaria per dare unità ad elementi disparati, a fatti incoerenti, a situazioni difficili, anzi tragiche, quali sono quelle che viviamo oggi. Tu che cosa ne pensi?

Sai, la poesia è tutto e il contrario di tutto. Inutile rincorrere formule o chimere, massime eterne ed adagi neoclassici, o impennate barocche, ermetismi neoplatonici o finitudini rinascimentali… Ti reciterò invece una mia terzina da Petali in luce, il libro che tanto piacque al povero Giuseppe Pontiggia: “Ma la poesia non ha un fine, aulico non resta tramite: / tutto il percorso all’anima, fa poesia, e vive in essa / anche l’assenza cruda, una riconquista di privazione.”…

(da: Fausta Genziana Le Piane, A colloquio con, 2017)

 

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Plinio Perilli (Roma, 7 giugno 1955) ha esordito come poeta nel 1982, pubblicando un poemetto sulla rivista “Alfabeta”, auspice Antonio Porta. La sua prima raccolta è del 1989, L’Amore visto dall’alto (Amadeus), finalista quell’anno al Premio Viareggio), ristampata nel 1996. Seguono i racconti in versi di Ragazze italiane (Sansoni, 1990, due edizioni, Premio B. Joppolo). Chiude una sorta di trilogia della Giovinezza con il volume Preghiere d’un laico (Amadeus, 1994), che vince vari premi internazionali: il Montale, il Gozzano e il Gatto. Petali in luce, una sorta di diario lirico condensato e sublimato in 365 “terzine”, è uscito nel 1998, presentato da Giuseppe Pontiggia (Amadeus). Recentissimo, il suo “canzoniere d’amore” Gli amanti in volo (Pagine, 2014), che comprende poesie e poemetti dal 1998 al 2013. Una raccolta antologica delle sue poesie, Promises of Love (Selected Poems), è stata tradotta in inglese da Carol Lettieri e Irene Marchegiani, ed editata a New York nel 2004 presso le Gradiva Publications della Stony Brook University. Nel 2011 il suo poemetto L’Aquila, sorvolandosi, dedicato al tragico evento del terremoto del 6 aprile 2009, ha vinto il Premio Internazionale Scanno per la Poesia. Come critico si occupa specialmente di convergenze multidisciplinari e sinestesie artistiche (Storia dell’arte italiana in poesia, Sansoni, 1990), nonché dell’insegnamento della poesia ai giovani e nelle scuole (La parola esteriore. I nuovi giovani e la letteratura, Tracce, 1993; Educare in poesia, A.V.E., 1994). Del 1998 è un grande studio antologico sul ‘900 italiano in rapporto all’idea di Natura (Melodie della Terra. Il sentimento cosmico nei poeti italiani del nostro secolo, Crocetti, 2ª edizione 2002). Collabora a numerose riviste e ha curato molti classici, antichi e moderni, dal “Canzoniere” di Petrarca alle liriche di Michelangelo, dai “Taccuini futuristi” di Boccioni alle poesie di Carlo Levi, dagli scritti di Svevo su Joyce a “Inventario privato” di Pagliarani e “Variazioni belliche” di Amelia Rosselli.  Un suo vasto e intrecciato repertorio sui rapporti fra il Cinema e tutte le altre arti: “Costruire lo sguardo”. Storia sinestetica del Cinema in 40 grandi registi (Mancosu Editore, 2009), ha reso finalmente omaggio a tutte le magiche corrispondenze e i più fantasiosi sodalizi espressivi, che intrecciano e irradiano, insieme, l’ispirazione e l’immaginario. A seguire, il volume di scritture e memorie testimoniali RomAmor (“Come eravamo 1968-2008”), edito nel 2010 presso le Edizioni del Giano, tutto dedicato al rapporto fra Roma come entità ed amalgama letterario, e i grandi numi tutelari della seconda metà del ’900, fino ai nostri ultimi anni: da Gadda a Moravia, da Flaiano a Pasolini, da Amelia Rosselli a Dario Bellezza, etc. Ha tenuto numerose conferenze, presentazioni e prolusioni presso le maggiori università italiane ed americane. photo Enzo Eric Toccaceli articoli inerenti tutti gli articoli  a neobar


7 risposte a "“Gli amanti in volo” di Plinio Perilli, riflessione di Monica Baldini con intervista all’autore di Fausta Genziana Le Piane"

  1. Auguri ancora tanti caro Plinio, di cuore….
    e perché la tua poesia scaturisce sempre da note di cuore ed è seme di vita che resta; esperienza vera di creazione e di sentimento. Coglie bene la Baldini con giovanile fervore il focus de Gli amanti in volo che è tappa decisiva e meditata , io lo so bene, del tuo lavoro di rievocazione antropologica e poetica di una lunga educazione sentimentale.
    Essa mi appare quanto più necessaria oggi , in tempi di furiosa virtualizzazione di vita, lavoro ed affetti vari ….
    sempre bello e etico il tuo raccontarti con entusiasmo e nostalgia della stagione letteraria e critica che hai attraversato con contatti e premi illustri. L’affresco di un tempo di ieri che dovremmo rinverdire con onesto amore alla poesia che mai va lasciata sola come tu hai detto in canto! Paolo Carlucci

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  2. Una pagina preziosa dedicata a Plinio Perilli, che vede insieme le ispirate e interessanti riflessioni di Monica Baldini e le domande dalla mira precisa di Fausta Genziana le Piane. Bello seguire il pensiero e la partecipazione di Monica, il suo addentrarsi con profondità tra i versi dell’autore e, a seguire, la possibilità di conoscerlo meglio grazie all’intervista di Fausta… in ogni dettagliata e sincera risposta, la possibilità di approfondire il suo personale caleidoscopico mondo, artistico e interiore. E’ stato un bel donarsi da parte sua, un permettere l’accorciarsi delle distanze da un autore, da un critico (e molto altro) perla rara nel panorama contemporaneo, che non frequenta i social e varie “camarille” (ho imparato una parola nuova!) e che dona inesausta attenzione e i propri approfondimenti con generosità e convinzione disinteressate …

    ** Che cosa consigli ad un/a giovane che intraprende la strada della poesia?

    Di non aspettarsi niente da Lei, ma se ci si crede, di darLe tutto. Esattamente come in Amore. A fondo perduto, per fortuna. Tempo Perduto che poi ritroveremo, in una goffa o magari fulgida Recherche… Si ama per amare, non per essere amati. Poesia non è mai un do ut des.**

    *
    p.s. oggi è il sette giugno… buon compleanno Plinio, cari Auguri!

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  3. Grazie Abele per aver pubblicato questa eccellente nota su Plinio Perilli, e sebbene lo conosco e apprezzo da diversi anni, c’è sempre tanto da scoprire e da imparare, grande è la sua preparazione, la sua cultura, la sua fine ironia critica. In questa interessante e profonda intervista, che ho apprezzato molto, c’è anche una sintesi della sua poetica di scrittura, di vita e della sua visione sulla sinestesia delle arti che tanto gli è cara, Plinio inoltre parla della sua formazione culturale e delle esperienze di impegno e “militanza sul campo” che riguardano i laboratori di scrittura poetica che coordina.
    Con capacità e serietà e con altrettanta passione, impegno e coerenza etica con cui conduce il laboratorio di poesia nel carcere di Rebibbia, Plinio scrive versi d’amore, un vero canzoniere d’amore il suo “Gli amanti in volo” – perché “forte come la morte è l’amore” – e lo fa attraverso una ricerca di luce e di sacralità. Ricordo quando in una partecipata presentazione del libro noi amici del laboratorio leggemmo una poesia e fu davvero un’esperienza condivisa ed emozionante.
    Complimenti a Fausta Genziana Le Piane per le stimolanti domande dell’intervista e all’acuta analisi di Monica Baldini sul libro. E ovviamente complimenti a Plinio per le cose belle che ha fatto e che continua a fare. E’ proprio vero, come afferma nella conclusione dell’intervista, che la poesia è tutto e il contrario di tutto.
    Ancora tanti auguri Plinio, e ancora tanti libri!
    Monica

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  4. Grazie a voi tutti, grazie di cuore e grazie a Plinio per la bellezza del suo lavoro, per la passione e l’umiltà che trasferisce, per la verità che testimonia amando profondamente la poesia e lo scrivere nella loro nudità e freschezza.

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  5. Grazie a Monica per questa bella lettura di una raccolta preziosa, luminosa, autentico e unico canzoniere d’Amore, giustamente con la a maiuscola. Un Amore che rimanda e ci ricongiunge con la nostra grande tradizione di lirica amorosa, che, insieme a slanci voli scintille accensioni/ascensioni, si fa riflessione sul valore di Amore e di Bellezza. Un omaggio sentito a un grande poeta nel giorno del suo genetliaco. Altrettanto illuminante l’intervista di Fausta, che permette di mettere a fuoco la poetica di Plinio e ci offre anche un interessante spaccato sul fare poesia.

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  6. premetto che mi fanno un po’ paura le parole astratte scritte con la maiuscola, e qui ne trovo molte: eh, sarà che sono nano, che le maiuscole son troppo alte e non ci arrivo (a scriverle e a pensarle), sarà che le paure non mi piace esorcizzarle (vedasi commento al dizionario leviano), ma tant’è.
    : ))
    or dunque, espletata la debita premessa, conscio vieppiù del fatto che (non son Poeta), mi focalizzerò sull’intervista, ok?
    : )
    bello nonché lapidario il passaggio dove Plinio afferma “il vero poeta mette il mondo al centro” (quanti poeti lo mettono davvero?), e significanti le “abrasioni mentali: umane, troppo umane…” (più carnalmente vive dell’Amore nel loro vortice magico di obliqua fragilità e ubiqua umanità). mesta la saggia considerazione sulla premiata ditta Poesia S.p.A. che “continua ad essere un gioco d’élite, ma ora senza più nemmeno qualità”.
    circa “il coraggio”, direi che Plinio ha ragione: sarebbe *auspicabile*, ma se per “il coraggio” intendiamo la stessa cosa (forza d’animo capace di scardinare il prodotto artistico in serie), è evidente che il coraggio rischia di essere mal visto dai mercati, che notoriamente temono le turbolenze (sia dal punto di vista politico che dal punto di vista artistico) giacché l’artante seriale è assai più collocabile a scaffale (id est più spendibile/remunerativo) dell’artista eterodosso. eh… non dimentichiamoci che ormai si nasce, si pascola e si viene macellati nell’ipermercato globale. ed ecco perché la componente narcisa *deve* vincere: si sta in “vetrina” (o sullo scafale di cui sopra) e i social network “finiscono per essere come un red carpet dei poveri” (mmm… qui sarei un po’ meno anglofilo e un po’ più cattivo: “oppio dei poveri” descrive meglio la questione)
    : )
    più oltre, mentre leggevo le parole di Plinio mi sono domandato: è ancora possibile, PPP docet, “usare i famigerati mass-media contestandoli”? non so… mica l’accesso è libero! nel 2020 financo la contestazione che abita i mass-media è ormai *consumistanziale* al Verbo del mercato: carne da macellophane in comode vaschette salva-freschezza. eh, eh… al posto dei servi della gleba abbiamo i servi della globa(lizzazione), cittadini di un non-paese cosmopolita dove ti concedono la nazionalità solo se superi l’esame di sociopatia individualista. inter-net sembrava l’unico strumento “democratico” di inter-azione inter-essante rimasto, ma è ormai ridotto a un inter nos, dopo che i social network hanno ricondotto all’ovile quasi tutte le pecorelle smarrite. e comunque, com’è evidente, “sconfinare di arte in arte” è un atto pericolosamente trasgressivo: si rischia di cadere giù dallo scaffale e come punizione lo store manager ordinerebbe l’immediata lapidazione con scatolette di tonno Matopeico, l’unico tonno che fa crack quando lo tagli con un grissino (e che fa sdeng quando lo prendi in fronte).
    : )))))
    ecco. aggiungo che leggendo “Me essere fermo a fratellanza pitecantropa… Ugh!” un moto d’affetto infinito ha rombato nel cuore del cranio del nano: caro Plinio ritieniti abbracciato così stretto da far scrocchiare due vertebre e tre coste.
    : )
    solo un’ultima deflessione. mentre leggevo “si ama per amare, non per essere amati” ho tradotto d’istinto (non essendo poeta) “si scrive per amare, non per essere amati”. mmm… un nucleo polposo importante, che fa il paio con “il vero poeta mette il mondo al centro” citato in precedenza. un approccio che pare in buona sintonia col prosatore e che invece spesso (a dire dei poeti in cui m’imbatto) non s’attaglia all’arte del poeta. concedimi ancora qualche secondo… immagina un’isola deserta con un naufrago e assumi che il naufrago sappia per dato certo che mai nessuno sbarcherà sull’isola (fino all’estinzione completa dell’umanità). immagina di essere quel naufrago. scriveresti lo stesso poesie? in teoria, in base al nucleo polposo di cui sopra, no. e infatti? e invece? chissà.
    un grazie di cuore a Roberta, a Fausta, oltre che a Plinio.
    (ps: se da “fratello pitecantropo” preferisci scrivere una mail: malosmannaja@libero.it o simone.sbrenna@libero.it)

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