Antonio Sagredo – ELEGIA viola per ANNITA

                                 ELEGIA viola per ANNITA

Tracciava un cerchio che non quadrava degli universi

i confini, i pensieri musicali e le note razionali

accatastati nei cortili.

Il compasso della mia mente  era mutilato

agli angoli nel febbraio dei roghi e delle streghe,

e sorrise per i presagi a malincuore.

Non sapevo nulla di vessilli e marosi spenti!

In binario andamento e improvvisato avanzavano

danzando un violino, una chitarra e un flauto.

E partiamo verso Citera infine!, e lasciamo in disparte

il pianto a farsi pietra. Voltai le spalle al tramonto

ossuto che non riuscii a bere in una tazza…

nel suo fondo si dimenavano i sentieri dei lamenti

biforcuti, come lingue di rettili in fuga … 

gramigne e ortiche mi invitavano ai festini dei tormenti

prima delle ore antelucane…

il telefono nero non fu più muto alle radici

e  il colore del Nulla  nel quadro

chiuse un’epoca… schizzavo un ritratto

al pianto che occhi non aveva…

L’avanguardia delle lagrime spalancò il cancello

prima delle mani ingessate e distrasse il pennello

dalla sua arte ultraterrena, ma l’ostinazione

della candela alla fiamma fatua non era  visibile

e si sgonfiava il ventre giallastro, disidratato

come una vela in panne…

e non sai se respiro o sospiro è il mantice…

 –    e la marea che starnazza sulle lamie e deforma i volti

 –    e i fari che non sanno rallegrare le grida dei naufraghi

 –     e i cipressi che crollano come guerrieri lontani

dalle proprie ombre e, in ginocchio, sono gelosi

dello sguardo di putti alati…

un cristo invano si sbroda in lagrime tra le luminarie

e l’incenso per l’estrema unzione,

l’apocalissi dietro il vicolo s’accende una lanterna rossa,

e le ombre danzano, danzano e sono maschere.

Già il fardo dai binari è sulle spalle e ricolma fino

a luna piena il ventre di legno del bastimento.

La soglia come una lingua lavica dettava frasi latine,

il vento rabbioso latrava gelido sulle vetrate variopinte,

ma dalla latrina alla tomba il passo è ovale e lieve come neve

e i singhiozzi, in una chiesetta sconsacrata, fra le tue mani

come una culla una madonna fosforescente ho deposto.

Il volto era incurvato sulla chiavica

di mostri tufacei e angelici che la finzione

sapevano più della tragedia in atto sul nero legno

e aveva ragione, John, quando la fisica

era la meta d’ogni poeta

e che il piacere delle ossa liberate dall’anima

è imitare la carne primigenia e, sfatare sul palco

ogni inganno, sotto uno stendardo bianco

al vento, era un viaggio senza ritorno verso Citera.

Le  maschere non si somigliano più, gridò.

E strizzava a sangue il rosario e l’occhiolino

coi suoi denti untuosi la Morte murata

che non conosce amore gravido del Nulla.

E la Dama del boia ingravida e carezza

e finge il pianto dei  gradini in corsa,

e a scatti sorride l’umida dentiera

per una rotta serratura che s’inchiavarda,

come una marionetta sulla  scena.

Ed era sublime e dura quella, come Marcela nel suo tango,

ma l’ombra ricorda al corpo un tip tap sotto i lampioni.

E non era eterna quella Sorte infantile che cantai,

quando visitai intestini e aruspici dei sembianti

in sonno… luminosi vampiri mi restituirono gli occhi,

come se sulla scena i gesti e le parole dalla fossa  

dettassero mistiche visioni.

E la marina dove Annita mi portava vestito bene di domenica dal lontano suburbio cappuccino lungo  tutta l’Appia etilica e fetida… e Lucio era con noi… e coi trucioli ancora in tasca  discuteva coi portuali gravidi d’oriente e per i fardi  gonfio era  il ventre dei bastimenti

Quale sogno in vita è reale se la neve è davvero lieve

e ovale nel debutto?

E il montaggio degli arti nella tarlata rovina

delle quinte è caduto giù e pure la voce degli avanzi

reclama una vittoria di macerie e trucioli …

un solo passo avanti per l’occhio di bue e lo sfacelo

è dei trionfi dei legnosi suoni e delle gesta epicuree.

… e si risveglia e rifiorisce dalle ceneri del Nulla

una forma vaga di risurrezione…

umana mai sapremo, ma al nuovo giorno almeno

ci ridestiamo da defunti…

 …ci ridestiamo dalle ossa senza speranza…

una fatica del sangue l’erezione…

aveva ragione Thomas: nella Morte non c’è vita sessuale!

Nelle nerastre pozze di via dei Coronari miravo

le fameliche zoccole che vomitavano frasi latine, ancora! –

e celebrando i fasti dei ceri danzavano un bughi bughi…

e ancheggiando squittivano a squarciagola pure gli angeli

e i corali dalle strepitose finestre: Citera, Citera Citera!

Avevate ragione, Lazzaro, si risorge solo per finta,  altrimenti è terribile  il viaggio verso l’ignoto! Non esiste ritorno! Lazzaro, Io non ritornerò! Lazzaro, non ti arrendere, rientra, perDio! Avevate ragione, Lazzaro, si risorge solo per finta, non vi dirò nulla!”.

E dalle canne degli organi velati sgorgavano note scapigliate,

e luride variopinte lucciole, e sensuale era il frastuono

di un tango che rauco modulava le parole e gli occhi assordanti

di Carlos Gavito, il tanguero che balla il silenzio e la morte.   

                        

Divina e secolare Carmencita, il tango è un poesia triste che si balla.

… e non ti fare sedurre: non esiste ritorno!

Lazzaro, la vita che tu cerchi non la potrai trovare altrove.

E la marina dove Annita mi portava vestita bene di domenica dal lontano suburbio cappuccino lungo  tutta l’Appia etilica e fetida… e Lucio era con noi… e coi trucioli ancora in tasca  discuteva coi portuali gravidi d’oriente e per i fardi  gonfio era  il ventre dei bastimenti.  

La camera è l’esistenza ardente che con noi la sorte si divide.

Antonio Sagredo

Roma, 20-22 marzo 2021

Lettura dell’autore

Antonio Sagredo bambino con il padre Lucio e la madre Annita, passeggiata domenicale alla Marina di Brindisi (1948).

Annotazioni all’ ”Elegia viola per Annita”

                           dalla  prima strofa, e poi tutto segue:

“Tracciava un cerchio che non quadrava…”

(l’antichissima questione del cerchio entro un quadrato, e viceversa:

qui nel senso di una lotta materiale in cui una delle due figure non cede

all’altra una sorta di precedenza di non so quale genere)

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“i pensieri musicali e le note razionali \accatastati nei cortili.”

(e poiché non vi è chiarezza e distinzione… pensiero e fantasia, musica e ragione sono confusi e dunque accatastati, come cose inutili in un cortile qualsiasi).

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“Il compasso della mia mente…” 

(una coincidenza d’intenti; poi mi sono reso conto che era una prima avvertenza della presenza del poeta metafisico John Donne).

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“febbraio dei roghi e delle streghe…”

(-     La notte della Candelora è la notte in cui streghe e stregoni…

(-      Nel mese di febbraio furono arsi G. Bruno e G.C. Vanini, e altri.

(dal latino februare : purificare” o “un rimedio agli errori” per i romani era il mese dei rituali della purificazione)

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“In binario andamento e improvvisato avanzavano

danzando un violino, una chitarra e un flauto.”

(il tango è un genere musicale e un ballo. Basato su un tempo binario e proveniente dalla regione del Río de la Plata… in origine con tre strumenti: violino, chitarra e flauto. )

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E partiamo verso Citera, infine!…”

(Citera, l’isola greca….innanzitutto   Antoine Watteau col suo celeberrimo quadro ”Viaggio a Citera” mai compiuto, pare; e poi Baudelaire).

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“…il pianto a farsi pietra…”

(è il mito di Niobe che Zeus mutò in pietra)

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“Voltai le spalle al tramonto \ossuto che non riuscii a bere in una tazza”

(uso molto spesso la parafrasi perché mi dà la gioia della variazione\variante; qui è Emily Dickinson con la sua celeberrima poesia:

Portami il tramonto in una tazza
conta le anfore del mattino
le gocce di rugiada.

(lascio all’immaginazione del lettore il significato di “ossuto” e “non bere”)

(da come si dispone la sostanza, nel\dal fondo delle tazze e poi  si traggono gli aruspici… arte divinatoria e simili: “le lingue  dei rettili…”)

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È la volta di una altra poetessa americana, Sylvia Plath, con :

“…il telefono nero non fu più muto alle radici…”

(Dove il mio intervento si limita a  quel “non” che non c’è nel verso della Plath, e che significa: si attende comunque sia una risposta, anche dalle profondità oscure; una speranza?).

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“schizzavo un ritratto\ al pianto che occhi non aveva… “

(l’autore considera questo verso terribile, colmo di orrore).

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“L’avanguardia delle lagrime spalancò il cancello…”

(le lagrime precedono il corpo prima dell’entrata (cancello) al camposanto, perciò “avanguardia”… poi si avanza e si giunge all’intimità

del corpo ultraterreno… non si vede ancora  la fatua fiamma, ancora il ventre non sai se vivente (respiro) o puro fenomeno fisico-meccanico (mantice).

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(l’autore sente la gravezza della situazione e desidera distogliere lo sguardo, da qui: la marea, i fari, i guerrieri lontani. Segue una serie di flashback: la chiesetta con sul cielo i putti alati e l’immancabile cristo inutilmente sofferente (farsa\visione beniana) e l’incenso che tutto vela…

fuori la chiesetta il caos: maschere danzanti  e  i vicoli  “rossi” delle prostitute (Dino Campana).

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Già il fardo dai binari è sulle spalle e ricolma fino

a luna piena il ventre di legno del bastimento.

(L’occhio del poeta osserva la lontananza e intravede la marina di Brindisi.

Vede i portuali che portano sulle spalle i pesanti fardi (sacchi) fino a scaricarli nel ventre di un bastimento – e lavorano fino a notte, – a luna piena-… e parlano, cantano e accennano a passi di danza… la marina era traversata dai binari , e dai vagoni i portuali si caricavano i sacchi fino a …)

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L’autore gioca: luna con  fardo = lunfardo….

(e il lunfardo è un argot spagnolo utilizzato nelle città di Buenos Aires e Montevideo.

 Il suo utilizzo è molto frequente, specialmente nelle canzoni del ballo tipico.

Originariamente era un  gergo dei bassifondi di Buenos Aires (da internet)

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Da un verso di Apollinaire: il vento dettava frasi latine.

Vetrate variopinte sono le vetrate gotiche. Gotiche? : una stranezza!.

Sia la latrina (quella urbana di una volta) che la tomba hanno una forma più o meno ovoidale. Il resto della strofa racconta la mia reazione prima della piombatura.

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(E dopo la chiesetta, un altro spazio teatrale… una sorta di città  come p.e. Lecce non più col suo “barocchetto”, ma città metafisica, che ben più si adatta! Le colonne tortili una finzione nella finzione da annullare la tragedia, perché più dignità possiede il dramma… il legno nero) di castagno?) è il palco, da sempre… e qui si annidano putti, diavoli e amorini, angeli, ecc.)

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e aveva ragione, John, quando la fisica \era la meta d’ogni poeta

 questi versi svelano apertamente che qui si tratta di poesia metafisica e il nome del poeta diviene più che esplicito: John Donne. Segue una spiegazione e poi l’assurdità che: poiché non si partì mai verso Citera, come poteva essere “un viaggio senza ritorno” ?…

…e forse per questo che le  maschere non si somigliano più.

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segue…

(Qui si è in piena azione teatrale, o alla sua negazione, ma poiché bisogna scegliere… ma che cosa? – Credo invece che si entra in uno spazio – sala? da ballo?  in maschera? , non so – poiché le TRE Dame sono diverse ma si somigliano come appunto le maschere che non vogliono somigliarsi: la Morte, il Nulla e la Dama (femmina), quest’ultima dinoccolata al massimo grado (come dire: marionettata!) e antagonista della superba e passionale Marcela Duran, compagna di “Carlos Gavito, il tanguero che balla il silenzio e la morte” (come sarà scritto più avanti).

 La Marcela che è la Vita si oppone a tutto ciò che è funereo in questo poema… che dal tango passa disinvoltamente al bughi bughi e al tip tap: appare tutto grottesco e fuorviante, invece è il contrario)

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(perdurano l’atmosfera del teatro, la finzione, ecc., la fossa è qui intesa quella specificatamente attinente allo spazio teatrale.

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(Riaffiorano i ricordi d’infanzia: la passeggiata domenicale dalla periferia

del rione dei Capuccini (dalla chiesa dei…) percorrendo via Appia fino alla marina. — Qui cozzano due realtà: quella quotidiana e quella evanescente (lieve) della neve, effimera… – ovale è la conformazione quasi tipica di uno spazio teatrale (nei versi precedenti eguale a : tomba, a latrina);

 Qui disusato e in decadenza è il trionfo dell’incuranza: lo sfacelo!

L’occhio di bue, come è noto, è quella fascia di luce che illumina o l’attore o un particolare della scena, o altro).

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Dal totale sfacelo forse la speranza di “una forma vaga di risurrezione “:

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(Si risorge dalla polvere, dalle ossa, dalla cenere… non si sa (e ne parlo ma so bene che non è affatto così)… resta “la fatica del sangue” di cui disse Samuel Beckett circa l’asma di Marcel Proust, fatica del respirare come fatica del sangue, anche.

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senza speranza”, se Eliot desolatamente scrive” nella Morte non c’è vita sessuale”).

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(“Nelle nerastre pozze di via dei Coronari miravo…” … siamo a Roma

(1979-80) e abitavo in questa via; dal pozzo di luce interno miravo, dal secondo piano, i ratti… da prima del crepuscolo fino a notte fonda quella via, somigliava per frastuoni di varia natura, a quei carnevali romani descritti da T. A. Hoffmann. Il termine Citera, ripetuto, ha senso qui onomatopeico e somiglia al cra cra dei corvi.)

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(“Avevate ragione, Lazzaro…” , mia autocitazione dal poemetto Oriana, 2010).

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(E dalla carne..)

(… io stesso non so se la scena è in un luogo sacro o profano: tutto è confuso nel  cerebro del poeta, ma pure fuori dove le scenografie cambiano di continuo, e non sai se sacre o profane anch’esse. Forse gli organi sono stati messi all’esterno in una piazza attigua alla chiesa, e in questo spazio che il tanguero Carlos Gavito comincia a ballare).

– Con un organo la musica per un tango?!

“Divina e secolare Carmencita…), celeberrima ballerina di tango, superò i

100 anni d’età – esiste un video dove la si vede ballare un tango. 

Segue poi una altra mia autocitazione (Lazzaro), da SERENDIPITY, 2003).

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(“E la marina dove Annita..)…

Questa strofa viene ripetuta per la seconda volta, quasi a chiudere…

Questa volta è Annita a vestire bene.

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Noi e la camera (e l’esistenza che in essa vive ardentemente è tanto da divenire la stessa camera) ci dividiamo la sorte.

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                                                          finis

Antonio Sagredo (pseudonimo di Alberto Di Paola), è nato a Brindisi nel novembre del 1945; vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove  risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza.

La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia:  Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984,(pseud. Baio della Porta):  Leone Tolstoj – le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato»n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A.   Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).

Ho curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema :Tumuli di  Josef Kostohryz , pubblicato in «L’ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi:  Edison (in L’ozio,…., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L’ozio», 1988) di Vitězlav Nezval;  (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).

Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudčenkova, di Zbyněk Hejda, Ladislav Novák, di Jiří Kolař, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar Březina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo),  trad. A. Di Paola e K. Zoufalová. È in uscita, per Chelsea Editions di New York, Selected poems di Antonio Sagredo.


16 risposte a "Antonio Sagredo – ELEGIA viola per ANNITA"

  1. Un grande grazie ad Antonio Sagredo per questa imponente elegia dedicata alla madre Annita. Personalmente considero Sagredo uno dei nostri più grandi poeti, tutto ancora da scoprire (la sua nota bibliografica vi darà delle indicazioni; suoi lavori si trovano anche nei blog letterari L’Ombra delle parole e Poliscritture oltre che su Neobar). Per noi che amiamo il neobarocco, e a cui abbiamo intitolato il nostro blog, è parso necessario includere Sagredo nella pagina ‘Chi siamo’, tra gli artisti prediletti del neobarocco; non a caso insieme ad Angelo Maria Ripellino, che di Sagredo è stato maestro. Allievo di Ripellino ma non certo epigono. In realtà si tratta di due barocchi diversi, più dirompente e “sinfonico” quello di Sagredo, a differenza della sintesi di Ripellino – musica più da camera con le sue immagini di vita tenera e caduca e morte come incombenza cadaverica. Un barocco, quello di Sagredo, che si accanisce maggiormente nell’incavo e nello scavo – piega su piega come direbbe Deleuze; uno scandaglio votato a provocare e sommuovere, come nel suo amato Carmelo Bene, ma con tanta e più cercata umanità, come questa elegia dimostra.

    Grazie anche ad Antonio per le note al testo (la poesia non va spiegata ma saperne di più aiuta), per le foto che corredano il testo e per la registrazione della sua lettura!

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  2. Riceviamo e pubblichiamo il commento di Luigi Celi, poeta e saggista e organizzatore di eventi letterari:
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    Caro Antonio,
    La tua poesia (elegia) è bellissima. Lo sai che ti stimo come poeta,
    anche se non sempre condivido i contenuti dei tuoi testi. Questi versi
    che mi hai mandato sono stranianti per esasperata intima profonda
    lacerazione. Nascondono la sofferenza sotto un velo di bellezza, che è
    del linguaggio e per ciò che ne determina l’altissima qualità formale.
    Le immagini surreali non ingannano sulla loro vera origine, provenienza
    e natura. Parole e versi tragicamente luttuosi si accendono di nero nel
    giorno della lacerazione in cui la ferita edipico narcisistica si mostra
    nella pallida alba dei ricordi e delle primigenie esperienze. Resto
    sempre sorpreso del tuo linguaggio poetico che ripristina antichi
    stilemi maudit con il gusto di un sempre nuovo percorso di
    autoagnizione. Un caro saluto. Luigi

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  3. Riceviamo e pubblichiamo il commento del poeta aragonese Manuel M. Forega:
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    Querido Alberto:
    Leo el torrente emotivo de la ELEGÍA PER ANNITA y leo ese dolor escondido, no expreso, pero sí latente en cada palabra y en cada comparación literaria o histórica. Sin dejar de ser el Sagredo reconocible, tu elegía me hace pensar en lo que otro poeta (Phillip Larkin) decía acerca del dolor que no lo parece: “Existe otro dolor: el dolor del dolor”. Tu elegía ‘duele de dolor’ y es el mejor homenaje de amor que puede hacerse a quién se ha ido dejándote todo los años recogidos en la fundación de un poema que eleva su estatura vital y sus enseñanzas y deja en el hijo lo vivido y lo por vivir aún.
    Un abrazo grande, caro.
    M.

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  4. Una bella elegia che nello stesso tempo mi sembra anche un epicedio. Si sospende la ragione nei primi versi, col cerchio che non quadra e il compasso mutilato, si spalancano così le porte dell’inconscio. A Citera ci andava Baudelaire, non trovandovi che “il fantasma di Venere” e “un patibolo simbolico da cui pendeva la sua immagine”, questa Citera sembra invece cercare la vita anche nella morte,anche in quel patibolo, ma forse è un viaggio mancato. Tutti gli oggetti sembrano dotati di una vita animale, tutto pullula di vita, a volte colorata, più spesso una vita inferiore che per generazione spontanea sgorga da chissà quali scoli di sentine. In mezzo a questo si staglia un ricordo netto e luminoso, che ricompare nella chiusa, la passeggiata sull’Appia, un’immagine persistente che da sola illumina tutto il verminoso dell’esistere, perché tutto sembra nuovo, come i due vestiti.

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  5. Commento di LETIZIA LEONE, poetessa, saggista:

    —————————————
    Caro Antonio,

    mi dispiace molto per la grave perdita, purtroppo questo è un periodo funesto.
    I tuoi versi fastosi e potenti come sempre, quale migliore dedica e ricordo!

    Cari saluti, Letizia

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  6. Caro Alberto!

    Leggendo questa Tua straziante Elegia ho ricordato le parole di Gorkij in una sua lettera a Chodasevich: “I vostri versi An Mariechen sono belli e penetranti. Non so dire di più, ma aggiungerò soltanto che essi suscitano nell’anima il freddo sibilo della bufera di neve e nello stesso tempo sono irresistibilmente umani”. Ti abbraccio novello Orfeo che di nuovo ha perso la sua Euridice.

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  7. Riceviamo e pubblichiamo il commento di malos mannaja, nano, contadino e organizzatore di meeting internazionali sull’humus di lombrico:

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    potente l’immagine minuscola di “un cristo” che “invano si sbroda in lagrime tra le luminarie”. purtuttavia, per miei evidenti limiti, non credo che potrò mai amare il “neobaroccanesimo”: aggettivazioni ridondanti, anteposizioni d’aggettivo, artefattualità scenografica e teatrale (et Citera, et Citera et Citera)… sì, insomma, una “fatica del sangue l’erezione” di muraglie sì faste et magniloquenti, che a tratti assumono le forme architettoniche d’immense cattedrali consacrate all’autoecciterazione inter-letteraria.
    : )
    il tutto, sia chiaro, detto con il massimo rispetto per il lutto dell’autore e per il suo percorso poetico di elaborazione del suddetto lutto.

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  8. La città violata

    Ancora una volta sei sceso dalla scala di Giacobbe
    negando al celeste incornato un’assoluzione cardinale.
    Per una simulazione tutte le lacrime si sono ritirate,
    come un ghiacciaio nel suo eremo, sdegnato come un raccapriccio!

    Tutte le lacrime sono tornate… di nuovo non puoi più celebrare
    il cristallino, e la tua pace bovina dietro una quinta cartapestata.
    E hai ritoccato la vita di chi coi miei occhi il trucco è magistrale,
    perché non potesse il futuro declamare dalle meridiane alle clessidre.

    Hanno giocato al barocco, i filistei, non col salubre favonio,
    non puoi più mirare i balconi gonfi come seni matriarcali,
    gli ematomi dei vicoli avvinazzati, il chiacchiericcio
    dai portali stemmati al perlaceo smalto di leuca,
    le grigie cariatidi , e i lordi scrosci dei trivi.
    Città, dove ti ritrovo? È seccato il leccio, e uccisa è la lupa
    dalla ferrigna altalena… sono fuggito dalla tortura cattolica,
    non ho più voluto vedermi in croce o sul rogo!

    La sacra finzione e l’ostia avete barattato con la cecità di Orfeo!
    Di nuovo al ricordo hanno preferito la condanna di un miserere
    e a un sogno di tufo il pietoso conforto di una visione ballerina!
    Mi hanno tolto il mio passo e le mie strade,
    questi adoratori del restauro, questi professionisti delle novità!

    E presagire voglio almeno uno scacco al Canto,
    e non un suono hai predetto su una lettera miniata,
    non un capoverso che ha per stendardo il mio furore
    perché il sangue ha già dettato il suo ventriloquio
    e sentenze sparse come sterili chicchi sui patiboli,
    ma non sai che la memoria non ha progenie
    e desolato tu ancora mi sussurri la mia campana
    e la tua mano, che abbandonò l’oblio – e il tuo presente.

    antonio sagredo

    Maruggio/Campomarino, 6/9/13 agosto 2011

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  9. M. Martínez-Forega

    Leer Elegia per Anita es constatar la recurrencia a las características que perfilan tu obra toda desde que yo la conozco, y la conozco desde hace muchos años, y esas características me siguen pareciendo fundamentales: el pulso que se echa a la memoria sin perder de vista la coetaneidad del género. Me refiero a que cierto tono metapoético no deja escapar ni mucho menos el que las palabras signen con precisión las andanzas vitales. Si un punto referencial inequívoco sigue siendo —como Rilke decía— una patria púber en un paisaje delimitado y un ánimo incrustado en él pese a la distancia cronológica (que no vital), es también verdad y mérito el que esa proyección esté sustentada en la palabra y así lo manifiesta de nuevo tu Elegia. Resulta obvio decir esto, pero es que se ignoran tantas obviedades fundamentales que uno acaba por parecer un estúpido si no las cita de vez en cuando, cada vez más de vez en cuando. Digo que sustentada en la palabra porque se nota en seguida que ése es un elemento constructor para ti muy querido y, como tal, lo cuidas —lo mimas diría—. Naturalmente que, por mucho que Montale se empeñara con acierto en aseverar que “la poesía es forma, sólo forma” y por mucho que lo tomara sin decirlo de Mallarmé, más allá de la morfología ha de existir, creo yo, un axioma no dictado que atañe directamente al esqueleto de la poesía. Frente a la narración anecdótica; frente a la irracionalidad de la sintaxis; frente al desdén por el ritmo… Has acudido otra vez con osadía a entablar conversaciones con la tradición que ha sincronizado el pensamiento con el paso de la existencia. Al cabo, la existencia (eso que para Aristóteles y Nietzsche era tan querido) es lo que origina el conflicto y, si una forma de declinarlo —el conflicto— es la literatura, la poesía es el género que no olvida ningún nominativo ni ningún acusativo. Es aquí donde me parece ver el extraordinario acierto de toda tu obra y de toda tu Elegia. La penetración progresiva pero inexorable del agua del pensamiento precipitándose en los hontanares de la idea para surgir luego de sus subterráneos convertida en energético restituyente. Esas vitaminas se toman a lo largo del texto para Annita, aunque acontecen más cosas. Por ejemplo, el que la imagen asociada al concepto, gesto tan barroco y tan olvidado, tome carta de naturaleza tan arraigada como sobresaliente.
    Holan atestigua que “las cosas nacen del miedo”. El miedo que cala hasta los huesos en forma de crítica (pero de asunción) histórica —intrahistórica en la Elegia— me parece un testimonio de primer orden al que habría que prestar mucha atención, sobre todo porque denuncia una característica anudada a la franqueza; no otra que la disposición consciente a suprimir uno de nuestros tantos prejuicios. Hay otros asuntos como ése, el del miedo, al que la poesía no suele acercarse con sinceridad o lo hace, como habría dicho Bataille, tomando la vía oblicua, la vía de la neurosis (ahí tenemos el ejemplo de Nerval). Tú, sin embargo, lo citas, lo citas (por ejemplo en el presagio, en la osadía del viaje clásico y sus ignorados peligros) para que conste que la realidad del miedo a la Historia desaparezca de una vez por todas.
    Tomar, pues, Elegia per Annita como ejemplo de varios asuntos categóricos como la tradición del pensamiento que huye de las niñerías, la morfología cifrada en un lenguaje límpido, la asunción de formas escorciales (imágenes acústicas), el trasunto de los conflictos que adhieren a la vida una palabra tras otra dejando constancia de su experiencia y de su magnitud verbal, la revelación de lo que comúnmente escapa a la observación inatenta y su actualización en un léxico elegante, la reiterada visita a la memoria (yo creo que la MEMORIA histórica es por fin un hecho sustancial, inquebrantable de tu poesía, tema nuclear y necesario abordado siempre desde el profundo conocimiento y desde la crítica excelentemente intelectualizada)… son todos rasgos que te singularizan con una coherencia poco común, muy poco común.
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    Zaragoza, primi di aprile 2021

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  10. 03/04/2021 14:34, lucio mayoor tosi -grafico artista – ha scritto:

    Caro Antonio,
    non mi sorprende il diniego di Giorgio a pubblicare il poemetto; Il tema, irrimediabilmente elegiaco, e l’io, che certo per tuo diritto ostenti, verso cui Giorgio non ha pazienza alcuna per ascoltare. Io però noto che in ogni verso riesci a mantenerti distante dall’elegia– china sentimentale del discorso. – Trattare la morte con distacco, chissà se guardandola dall’alto, non è cosa semplice. In ogni caso, l’elegia è in assedio del testo. Inevitabile. Quanto detto vale anche per me. Anche se, entrandoci meglio, il chiarore di un sentimento lo sento e non mi dispiace.
    Secondo me sei poeta troppo vivace per poter scrivere di morte. È ancora presto per te.
    Né bastano i versi grevi della cerimonia funebre: quel silenzio manca. Perdonami se ora non entro nel merito del parere estetico. La forma a poemetto ti si addice, partiture teatrali sembrano scritte per essere immortalate. E io non dispongo del linguaggio della critica. Siamo lontani mille miglia dalla poesia kitchen. Capisci perché Giorgio?
    Comunque non male, è la tua poesia.
    Grazie per avermela mandata.

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  11. Giuseppe Panetta – poeta
    Il 24/03/2021

    Caro Sagredo,
    L’elegia per Annita, mi ha toccato.
    Mi ha toccato nel aver rivissuto il momento in cui mio padre morì, in questo verso: e non sai se respiro o sospiro è il mantice…
    Toglierei solo i tre puntini classici accademici, per rendere meno sospensione.
    o sempre pensato che tu in poesia sia un San Giovanni dell’Apocalisse. Però, invece di parlare di Dio, tu parli di te stesso. Un San Giovanni Apocalittico, piuttosto che dell’Apocalisse. Le maschere non si somigliano più, gridò.

    Mi piace la metafora di Lazzaro collegata all’impossibilità di rivedere l’amata (la madre) e dunque si mette in discussione che Lazzaro stesso sia potuto davvero ritornare dal regno dei morti.
    “Lazzaro, Io non ritornerò”.

    Una colluttazione con Dio, qualche spergiuro, e per arrivare alla tesi sospensiva della tesi stessa , “non vi dirò nulla!”.

    I ricordi dell’infanzia sono freschi, bagnati e trafficati.

    Poemetto dal metro irregolare, diretto.

    Un caro saluto

    Giuseppe Panetta

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  12. Luigi Celi, scrittore, saggista, organizzatore di eventi culturali a Roma
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    Caro Antonio,
    la tua poesia è bellissima. Lo sai che ti stimo come poeta, anche se non sempre condivido i contenuti dei tuoi testi. Questi versi che mi hai mandato sono stranianti per esasperata intima profonda lacerazione. Nascondono la sofferenza sotto un velo di bellezza, che è del linguaggio e per ciò che ne determina l’altissima qualità formale. Le immagini surreali non ingannano sulla loro vera origine, provenienza e natura. Parole e versi tragicamente luttuosi si accendono di nero nel giorno della lacerazione in cui la ferita edipico narcisistica si mostra nella pallida alba dei ricordi e delle primigenie esperienze. Resto sempre sorpreso del tuo linguaggio poetico che ripristina antichi stilemi maudit con il gusto di un sempre nuovo percorso di auto-agnizione. Un caro saluto. Luigi

    Il sab 20 mar 2021,

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  13. Steven Rachteb-Grieco poeta cosmopolita, saggista,
    esperto si poesia orientale

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    Caro Antonio,
    solo oggi ho potuto leggere l’elegia che hai scritto per tua madre.
    Complimenti! Sempre il tuo stile aspro e majakovskiano, come un pugno in faccia, ma ogni tanto una carezza …
    Le mie profonde condoglianze per la partenza di tua madre.
    Ha vissuto un vita lunghissima e sicuramente eroica, come una vera donna del Sud.
    Steven

    On Mon, 22 Mar 2021

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  14. Elena Grammann, poetessa, saggista,

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    Caro Antonio,
    quando la tua mail, ieri, mi ha raggiunto, stavo meditando su Elegia, che mi era già pervenuta ma senza mail di accompagnamento.
    Fin dalla prima lettura, Elegia mi è sembrata un testo splendido e arduo. Grazie dunque delle Note. Forse in me si è sviluppata abnormemente la parte razionale, e il grandioso sorgere di una figura dall’altra, la vorticante lanterna magica della tua poesia mi suscita ammirazione ma mi mozza anche il fiato, come se non riuscissi a tenerlo fino alla fine. Capisco che per il poeta le note siano una corvée, lo capisco bene, ma per il lettore (almeno per me) sono un momentaneo “prender aria quotidiana” che gli permette poi di tornare nell’etere sopralunare della poesia.

    Mi devo scusare se non ti ho risposto prima, intanto perché la lettura dell’Elegia ha richiesto un momento dedicato di tempo e calma; inoltre (e non era un freno da poco), come dicevo l’Elegia mi è giunta in un primo momento senza testo di accompagnamento; avevo intuito che Annita è tua madre, ma non ero sicura, e temevo di fare una gaffe sia facendoti le condoglianze che non facendotele.
    Te le porgo adesso, pur in ritardo. Indipendentemente dall’età, la morte di un genitore (in particolare della madre) è come il crollo di un muro di protezione. Il poeta reagisce tessendo un muro di parole…
    Attendo la pubblicazione si Poliscritture per un commento meditato.

    Ti ringrazio per l’offerta (generosa!) di mandarmi qualcosa per il blog. Al momento sto riflettendo sul futuro di quel blog, che era cominciato un po’ per caso e senza linea precisa. Ci ho sempre scritto solo io, a parte una volta un breve intervento di un altro. Se dovesse ospitare qualcosa di tuo, vista la differenza di livelli, dovrebbe essere degnamente e plausibilmente introdotto. Ci rifletto.

    Grazie di avermi inviato Elegia (in anteprima, per così dire!) e a presto su Poliscritture
    Elena

    Il giorno gio 1 apr 2021

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  15. Rossella Seller – Psichiatra – Poeta

    Caro Antonio,
    piccolo è il mio commento e mi dispiace per te e per la tua mamma. Questa perdita impone un bilancio e questi versi tuoi esprimono certo tutto il dolore dell’assenza, ma mi sembrano svelare anche la pienezza dell’esperienza condivisa con lei. In questa “Elegia” ci mostri gli innumerevoli scenari all’interno dei quali sei stato condotto dalla mano dolce e sapiente di lei ad esplorare le cangianti rappresentazioni della realtà. Così, verso dopo verso, il dolore forse può trasformarsi in consapevolezza dei doni ricevuti, in costruzione della identità filtrata ed elaborata attraverso i sensi materni per dire la tua gratitudine.

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  16. Questa è una poesia che sbaraglia l’immenso e farraginoso dilettantismo che affligge la poesia italiana di oggi.
    E’ una poesia che non ha paura di mostrare, di insegnare, come si scrive una poesia,
    Ma poi in tantissimi punti sale di colpo più in alto, supera la sua stessa consumata professionalità, e diventa pura armonia.
    Da essa si capisce che è ancora possibile scrivere. Basta sapere come farlo.
    Grazie mille per la lettura.

    “Voltai le spalle al tramonto

    ossuto che non riuscii a bere in una tazza…”

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