La rivoluzione degli eucalipti – di Nina Maroccolo – lettura di Gian Piero Stefanoni

L’eredità botanica come paradigma della memoria

e dell’eredità stessa della terra

(Nina Maroccolo, artista a tutto tondo)

La lettura del mondo nella partecipazione e nella condivisione all’interno di un insieme soprattutto ora ferito, smarrito e per ciò diviso che è alla base di ogni interrogazione ed espressione artistica ha ancora motivo, e richiamo nel senso dell’umano nel rapporto d’origine con ciò che lo comprende, lo nutre e lo investe? Oppure, smussati da una natura pensata e vissuta in una dimensione altra e parallela dalla nostra, non resta che il racconto a tratti schizoide di un io smarcato, che non riesce più ad apprendersi nel regresso delle sue coazioni, e delle sue compensazioni allora slegato e senza fonte di fronte alle proprie reali aspirazioni?

Una domanda non oziosa ma urgente che il tempo di pandemia con violenta franchezza ci rigetta in tutta la spoglia condizione di mortalità e di limite cui anche noi, donne ed uomini tutti – forse dimenticandocene – apparteniamo. A fronte di tante coperture, di tanta velocità di compressione, la natura non ha cessato però i suoi inviti a ripensarla e a ripensarci nella semplice equazione di un riconoscimento che vale il nostro riconoscimento, a partire dall’abbandono al necessario mutamento e al conseguente rifiorire di una fibra che avviene anche per sapiente lentezza nella cura e nell’accompagnamento del proprio margine.

Lo sa bene Nina Maroccolo, artista a tutto tondo, poliedrica perché autentica e senza infingimenti nello scavo delle interiorità ferite cui una sola voce, ed una sola veste evidentemente non basta nella comunicazione di luoghi, anime e storie accese, ed appese al proprio reminiscente presente. Toscana, classe 1966, addestrata entro una formazione d’arte che le viene dallo studio presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e inseguita ora nella musica oltre che come mezzosoprano nel coro a ottovoci della Cattedrale di Santa Maria del Fiore soprattutto come membro fondatore del gruppo sperimentale degli “Atem” ora in una continua esplorazione anche teatrale, e d’attrice, nonché di scrittura tra testi di poesia, romanzi e racconti, ha infatti nell’esercizio, nella dinamica performativa la chiave di proposizione, delle sue riproposizioni.

Sotto questa luce va inteso così anche questo lavoro, La Rivoluzione degli Eucalipti, sunto e approdo di una esistenza intesa sempre dalla sua parte lesa. Libro d’arte nell’accezione ampia delle sue ri-scritture, dalla riflessione fotografica alle evidenze filosofiche e liriche delle composizioni e delle ricomposizioni tra teatro e scultura, di poesia ritracciata nella memoria ancestrale di una umanità al contrario immemore, di poemi allora tra devozione e resa, ci restituisce il dono di un ascolto nell’audacia di una sua re-iscrizione, o almeno del suo tentativo, nello sguardo, in ciò che lo trascende e ci trascende all’interno di quell’universo Natura da sempre indagato tra simbologie e metamorfosi.

Non a caso progetto negli eventi legati all’Earth Day 2021 (qui ricordato nel testo in una lettera a John Fitzgerald Kennedy nell’origine della sua fondazione, 1970, grazie alle Nazioni Unite su spinta degli interventi necessari derivanti delle problematiche dell’ecosistema), la domanda di rimando dal detto masai di una terra imprestata dai figli è se davvero noi siamo il sogno che sogniamo entro una memoria come detto ancestrale, o piuttosto, in ciò che ci definisce nel ricordo, violata creaturalità nella sacralità di una terra dispersa a cui solo i bambini forse nel principio che genera speranza potrebbero dare salvezza.

Centro, luogo, fonte d’ispirazione e d’osservazione da cui tutto il lavoro diparte in un’anima educatasi appunto fin dall’infanzia ad una attenzione alle ferite di un pianeta i cui valori nella linfa spesso si nascondono nell’invisibile, e dunque nel silenzio, è l’albero nella coscienza di una vita a cui dare salvezza come già in quel primo albero “secco, senza foglie e senza germogli”, da cui appoggiandosi (come cantato ne “I piedini tra i petali”) lei stessa ragazzina ebbe coscienza dell’universo e di sé nella consegna entro un fiorire che viene dall’accompagnare e dall’accompagnarsi. Veglia allora, e custodia anche dalle piccole morti, da quegli scarti in cui forse è anche il valore nel nutrimento che di sé ha ogni elemento nella nudità di un ricominciamento che viene dall’affidamento.

Lezione prima questa, in un’epoca di catechesi al contrario, di un pensarsi e di un perdersi nella tentazione di una perfezione impossibile, che ha la sua spinta nella paziente osservazione a Roma del bosco degli Eucalipti del Santuario dei monaci trappisti delle Tre Fontane (qui dove tra l’altro Thomas Merton ebbe la chiamata alla vocazione). L’eucalipto, l’albero più piantato della terra, nella sua maestà e nella memoria della sua eredità botanica come paradigma della memoria e dell’eredità stessa della terra, entro cui la Maroccolo ritornando indietro sa risalire, dal ricordo delle foreste fossili fino alle lotte dal Brasile all’Australia contro le devastazione per profitto del territorio.

Nella storia dell’eucalipto, dalla preziosità delle sue proprietà (l’uso medicale in primis), nell’elenco di luoghi (l’Australia ancora dove la presenza è più forte), di uomini (come il geologo Melvyn John Lintern) che vi si sono dedicati, di animali (il Koala, che sull’eucalipto vive il 98% della vita nutrendosi solo delle sue foglie), ci viene restituita la testimonianza di una fede nella propria storia, nella propria forma, in grado di superare oltre agli attacchi degli uomini anche lunghi periodi di siccità , nell’amore quindi anche della perdita rinascendo anche dal disfarsi (“l’evoluzione è una ferita immedicabile. Necessaria”) in un infinito in cui è racchiusa tutta la nostra misericordia. E se il principio è quello di una devozione bambina, Nina ha saputo seguire e vivere ogni giorno “i loro cambiamenti, i linguaggi, un sentire straordinariamente rivelatorio”, compiendosi nell’intimità e nell’umiltà generosa del dimenticarsi e del riapprendersi insieme con loro in cui nell’empatia dei riti di passaggio la sua scrittura con gli alberi sarà quella della caratteristica propria e stessa del mutare.

Riti di passaggio che hanno fulcro in quello che è il vero centro dell’opera nelle geomantriche operazioni delle sue macerazioni, scarti vegetali nella deriva della materia, lasciata alle sue metamorfosi dunque “senza induzione umana”: seguite poi dalla nascita delle sostanze terapiche della registrazione dei vari passaggi di vita, tracce di fogliame, formazioni di muffe, sottili e stratificate, balsamo. Dischiusura di nuovi mondi da lei inseguiti in una conoscenza riportata nella realizzazione di quadri fotografici consentiti dal progresso in tempo lento dell’acqua stessa. Le immagini che ci vengono poste sotto agli occhi nel segno di una metamorfosi registrata in tutte le sue gradazioni sono degli elementi quelle delle infinite lotte tra resa e resistenza, tra il pervenire e il loro ricominciare, stratificazioni di organismi sfogliati nella vita interiore di un mistero che sembra nel richiamo dell’evocazione suggerirsi e suggerire nel perché, come evidenziato, di tutti gli organismi.

In questa complicità di creazione, o di ri-creazione cui l’osservatore è trascinato in una incisione come già stato osservato complice è anche la forza di questo lavoro, di queste immagini in cui alla memoria sembrano riapparire, riaffiorare tutte le spaccature di una esistenza anteriore, di glaciazioni del cuore e degli occhi, di evanescenti ritrovamenti di un sé smarrito, di un sé antenato raccontato come in una serie infinita di ex voto (in questo sì siamo assertivi con le domande di Nina), la cui istanza nello specchio in realtà porta a chiederci se esser noi in realtà della terra ancora, la dolente raccolta di fratture incomposte, di nuovo dunque nella richiesta indomita di grazia, strati, rotture, schegge a dire insieme, continuamente, i nostri lineamenti.

Così ciò che perviene e ci spinge in queste raffigurazioni ora vicine a tipizzazioni orientali nei suoi blu nei suoi rosa chiaro di lune fallite ora quasi agli esiti novecenteschi di un’ arte informale sembra suggerirci più che una geomanzia, o meglio non solo la rabdomantica geomanzia di una ricerca e di una osservazione altissima dai segni della terra, la genomanzia di una creazione (in cui è tutta la lettura e la traccia della terra) che dalle sue infinite cellule viene a raccontarci, nei distacchi, nelle tentazioni, nell’orografia delle sue fusioni, l’avventura di una esistenza cui si perviene nel suo eterno ricominciare dal freddo e dalla prova, dall’abbandono e nelle erosioni giacché, come ben ricordato da Vincenzo Notaro nelle presentazioni, “ciò che non si trasforma muore”.

Così, parallelamente, nel servizio dello sforzo, insieme il dettame va ad aprirsi e ad aprirci ad un affondo dello spirito e del corpo alle proprie veglie liberatorie nei vari stadi di lotta in cui via via la Maroccolo viene a raccoglierci, gli strati e gli scarti dell’uomo non più confusi entro un procedere di negazione per profitto (dura, e incisiva sempre l’accusa a un sistema economico di cancellazione) riportati ad una luce di riappropriazione che ritorna da un intendersi nella terra nella partecipata passione/compassione delle rispettive condizioni.

È infatti la compassione il motore che anima quest’autrice cui la scrittura come detto all’inizio si nutre di vocalità e tonalità diverse ed in cui allora al lavoro geomantico delle macerazioni vanno ad accompagnarsi ricomposizioni scultoree (vedi tutta l’opera del “Teatrino mistico” ad esempio, in composizioni anche tridimensionali, e in bassorilievo, con cortecce di pino, mute e foglie lanceolate di eucalipto ed in cui in quasi tutti i lavori sono stato utilizzati colori a olio e oro zecchino in polvere) e poemi oltre che piccole intense poesie, evocazioni, preghiere (sovente ricomposte anche in Mandala). Poemi soprattutto nel legame con quella compassione e quella ancestralità di conoscenza e di provenienza di cui sopra e nei cui abissi sono nascosti quei sogni e quelle profezie che ogni artista come spesso ricorda ha il dovere di attraversare e a cui lei va a legarsi nel richiamo ad un sapere bambino ripulito da ogni scoria adulta.

Sono i bambini la casta dei veri sapienti, qui nel riferimento d’incisione buddista del procedere e del ricominciare, che vediamo nel racconto, non meramente simbolico, riapprendersi educandoci dalle grotte delle Tre Fontane fino a Kailash nel Tibet lungo il sentiero dei pellegrini. Piccoli Buddha che ancora non sanno di esserlo, consapevoli da quell’ambiente della via dell’Eucalipto come la migliore per sfuggire l’apocalissi, assistiamo nei lasciti e nelle confessioni della mappa di memoria che vanno a costruire per la comprensione anche, insieme,  della presente e della futura ad un invischiarsi nella storia per riportarla sì a noi ma all’insegna della liberazione da quella malattia chiamata io. Perché sono loro a rispondere agli interrogativi dell’autrice sulla non cattiva risposta dell’uomo ancestrale di fronte ai demoni del mondo.

Forse, come nelle riflessioni sul senso stesso del proprio lavoro artistico, bisognerebbe avere il coraggio nel duello col male di abbracciare il pericolo, nella bellissima definizione di  “vivere se morire non basta”, e dunque tutto il coro d’eco di Natura, Bellezza, Grazia di creature fragili, di rarefazioni terrestri e potere, denaro, guerre, tutte le guerre. Soprattutto di avere la disperazione degli ultimi e dei diseredati, dei sofferenti cui l’artista vero sa offrire nel riconoscimento in ciò che è anche il corpo, lei dilatandosi nella conclusione del testo al dialogo con la parte aggredita di sé nella incisione e nella mutilazione recente per carcinoma al seno.

Così se nel doloroso incontro allo specchio l’invito è ad andare incontro all’altra Alessandra pronta ad accoglierla in quella “sinfonia del pane” in cui sono racchiuse –  pronte ad ardere – tutte le nostre minuscole galassie, la comprensione parte dal linguaggio stesso della mutilazione, da quello scarto in cui, come negli eucalipti, il corpo richiamato al proprio punto d’origine e smosso in quel “senso primordiale di Noi nella preghiera, nel silenzio, nel rapporto simbiotico con la Natura”, apprende la propria imperfetta e per questo salubre rinascenza proprio dal riplasmarsi della materia nella mancanza, in quella scultura della carne che dice d’ogni creatura il proprio inno di carità e fede, d’amore dunque nella partecipata universalità delle proprie fragili liturgie.

Poetica dei fragili poi in cui è iscritta quest’arte in tutta la preziosità delle sue miniature, di una mappa come abbiamo visto nelle stratificazioni di terre ed uomini nel patrimonio di un evocata e ancora partecipante presenza cui, a saperla leggere, ancora si offre e parla nella direzione di una reciproca salvezza nell’accoglienza “a rami aperti” di tutta la miseria, la disperazione, la sofferenza che chiede di essere ascoltata.

Per questo la riuscita etica ed estetica dell’opera che abbraccia dieci anni di lavorata riflessione mai scissa dai quei nodi centrali e non più eludibili che l’evento pandemico e il nuovo millennio hanno portato all’implosione ha nel carattere della performance, nella sua accezione di rete e allaccio di distribuzione delle voci nell’interrogazione di una totalità d’azione non più separabile coinvolta e portata alla luce, l’indicazione di un nuovo modo non solo di ripensare noi stessi e il modo di intenderci e di viverci ma anche quello del modo stesso dell’Arte di un concepirsi altrimenti destinato a fallire volte le spalle agli uomini.

Sforzo e dono nella consapevolezza cui ci richiama cui non possiamo non esser grati ad una donna ed un’artista come la Maroccolo, che ha saputo offrirsi nel prezzo di una veglia, e di una bellezza, che ha saputo pagare anche per noi.

                                                                                                                                          Gian Piero Stefanoni

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[Nina Maroccolo, La rivoluzione degli eucalipti.
Disvelare edizioni, Casamarciano (Na), 2021]

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#LaRivoluzionedegliEucalipti di Nina Maroccolo sarà anche una mostra, che si terrà dal 14 maggio al 29 agosto 2021 alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale.
La mostra, a cura di Plinio Perilli, è promossa da Culture Roma, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e si svolge nell’ambito degli eventi per l’#EarthDay2021.
Alla Galleria d’Arte Moderna saranno esposte le opere fotografiche dell’artista e alcune installazioni: un’esplorazione intimamente legata alla natura offesa, ai temi dell’ambiente e dell’ecosistema mondiale, ma che affronta anche emergenze sociali e di forte denuncia civile: fino al tema del collasso cosmico. Nina Maroccolo ricostruisce un mondo naturale tramite il quale l’eucalipto diventa riferimento di una nuova epica rivoluzionaria basata sulle doti salvifiche della natura. Per la sua e nostra salvezza. (per maggiori informazioni e per scaricare il Press kit cliccare qui)
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NINA MAROCCOLO

NINA MAROCCOLO (Massa 1966)

È stata mezzo soprano nel coro della Cattedrale di Santa Maria del Fiore (Firenze); ha studiato Canto sacro e Canti per voce nuda. Poi, Decorazione pittorica e Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Firenze; Restauro su Carta a Palazzo Spinelli. Ha frequentato le botteghe dei mastri artigiani, vero fulcro per imparare discipline come l’arte dell’intaglio e dell’intarsio, restauri lignei, decorazione con oro in foglia e in polvere. Inoltre, studi ed esercizi sulle miniature. Vive e lavora a Roma dal 2004. Artista in continua esplorazione, scrittrice, performer teatrale, conduce una ricerca legata alla simbologia e alla metamorfosi stessa dell’universo Natura. Cerca l’unitarietà fra le arti partendo dalla scrittura. Tra le sue pubblicazioni: Il carro di sonagli (City Lights Italia 1999), Annelies Marie Frank (Empirìa 2004), Illacrimata (Tracce 2011), Animamadre (Tracce 2012), Malestremo – Sedici viaggi nell’Altrove (Tracce 2013).

Tra le sue pièces teatrali, interpretate e cantate, ricordiamo Annelies Marie Frank (dal suo libro omonimo), Teatro Vascello, Roma 2005. ME DEA, testo e regia di Marco Palladini. Con Giulia Perroni (Teatro Aleph, Roma 2014). Giunse lo raggio (Museo Etrusco di Villa Giulia, Roma 2015), tratto dal libro Illacrimata: Canto per voce nuda dell’omonimo poema ispirato all’altorilievo di Benedetto Antèlami “La Deposizione” (1178, Duomo di Parma).

Scrive Partiture musicali e visive: vere composizioni ispirate ad antichi spartiti tibetani, per sola voce, e al mondo della Natura.

-Partitura per ferro e terra è una composizione dedicata all’opera dello scultore Jaume Plensa  (Firenze 2002).

-Partiture vegetali per canto e theremin, sono state presentate in occasione della mostra fotograficaMacerazioni” (Firenze 2016, con Emiliano Pietrini).

-Partitura per onde marine e voce è invece una composizione la cui Prima Parte è presente nel libro d’arte La Rivoluzione degli Eucalipti (Disvelare Ed. 2021).

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GIAN PIERO STEFANONI nato a Roma nel 1967 ed ivi laureato in Lettere moderne, ha esordito nel 1999 con la raccolta  In suo corpo vivo (Arlem edizioni, Roma- prefazione di Mariella Bettarini) vincendo nello stesso anno, per la sezione poesia in lingua italiana, il premio internazionale di Thionville (Francia)  e nel 2001, per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Comune di Spoleto. Nel 2008 ha pubblicato Geografia del mattino e altre poesie (Gazebo , Firenze- prefazione di Plinio Perilli; premio “Le Nuvole-Peter Russell” e “Città di Venarotta”) a cui  son seguiti nel 2011 Roma delle distanze (Joker, Novi Ligure- quarta di copertina di Sandro Montalto; premio “Leandro Polverini” sezione poesia sociale) e gli ebooks  La stortura della ragione  ( Clepsydra, Milano- introduzione di Anila Resuli) e Quaderno di Grecia (Larecherche.it, Roma- introduzione di Roberto Maggiani). Nel 2014 ancora per i tipi della Gazebo è uscito Da questo mare (con postfazione di Franca Alaimo e includente l’omonimo poemetto uscito nel 2013 in ebook per LaRecherche.it unitamente al canto pasquale L’amore che ti manca edito nella sua prima versione per la cura delle Edizioni d’arte Musidora di Nina Maroccolo, ed ora presso la biblioteca della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma). Ancora in ebook è  La tua destra (LaRecherche.it, Roma 2015), come il saggio La terra che snida ai perdoni (LaRecherche.it, Roma, 2017) ed Il calciatore è un fingitore (LaRecherche.it, Roma, 2019-postfazione di Simone Cola). Sempre del 2019 sono Lunamajella (Cofine, Roma- prefazione di Anna Maria Curci) ed il diario di Terra Santa Al mût labben per la “Artcurel.blogspot.com” di Carlo Sarno per la cui cura, e sempre per “Artcurel”, nel 2020 è uscito Il dolore della casa, compianto per gli scomparsi per Covid . In ultimo, di nuovo su blog, “La poesia e lo spirito” di Don Fabrizio Centofanti, il poemetto Il tuo sacerdote (2020).

Presente in volumi antologici, tra i quali La poesia dell’esilio (Arlem, Roma 1998), Dai parchi letterari ai poeti contemporanei (Edizioni Arte Scrittura, Roma 2009), S’impalpiti materia-Omaggio a Manzù (Edizioni d’arte Musidora, Roma, 2011- fuori commercio, copia presso la Raccolta Manzù di Ardea), e L’evoluzione delle ultime forme poetiche (Kairòs, Napoli, 2013) suoi testi sono apparsi su diversi periodici specializzati e sono stati tradotti e pubblicati in greco, maltese, turco e spagnolo ( Argentina, Venezuela, Cile e Spagna- dove è antologizzato ne :Poetas siglo XXI°- Antologia de la poesia universal contemporaneas; edizione  a cura di Fernando Sapido Sanchez nel blog omonimo, Gran Canarie, 2011) oltre che in Francia e in Italia nel dialetto di aree romagnole, abruzzesi e sarde.

Già collaboratore con “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè”  e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni”. Dal 2013 sempre per la poesia è recensore di poesia per “LaRecherche.it”  e dal 2014 giurato del Premio “Il giardino di Babuk- Proust en Italie”.

Tra i riconoscimenti per l’inedito ama ricordare i premi “Via di Ripetta” e “Dario Bellezza” entrambi nel 1997 e l’ultimo, sempre per l’inedito e nella sezione poesia religiosa di “Arte in versi” nel 2021.


12 risposte a "La rivoluzione degli eucalipti – di Nina Maroccolo – lettura di Gian Piero Stefanoni"

  1. Ricordo Nina alle Tre Fontane, nel verde preghiera del bosco d’ eucalipti. Vi siamo andati spesso anni fa con Plinio.
    Terapia dell’ anima e preghiera delle mani per noi in fraterna amicizia e sodali di versi …
    Passi sinceri, etici di resistenza alla moda ecologica. e come oggi ho nostalgia di quei tempi pre covid e ricchi di affetti senza mascherine ,erano tempi di vicinanza e riflessione di vita reale e non mediatica. Ma l’apocalisse virale e rischi per l’uomo e per la natura erano certamente presenti ed inquietanti.
    Nina Maroccolo, la sorella in spirito, caparbia e dura, donna artista scrittrice, sempre sulla frontiera di un male estremo, non solo letterario, ma pure di tensione quotidiana alla vita in pericolo.. Ah per sentire dolcezza bisogna essere anche sinceri come lame d’ossidiana. Proposte di cambiamento e d’impegno sempre antiretoriche.
    Ecco il vero ritratto che nel cuore e negli anni ho elaborato conoscendo Nina.
    Perchè riferire qui foglie segrete d’amicizia?
    Ma questa per me è la genesi di quel capolavoro, che ora vede la luce, dopo tante e varie macerazioni d’arte e di vita, confluite e fiorite ora ne la Rivoluzione degli eucalipti, l’opera che ancora nuovi dice i pluri universi di Nina, le sue rivoluzioni creative, ben evidenziate sinesteticamente, anche dal saggio di Plinio Perilli,
    Ma ancora voglio tornare alla forza lirica dell’amicizia, alla corteccia di memoria del bosco delle Tre Fontane, in cui Nina si andava rivelando artista delle mani in fatica, felici e in fieri di emozioni, poi forse anche letterarie , ma in prima istanza sempre fogli di vita e cortecce da sagomare come raccoglitrice di antiche forme, che diverranno immagini e poi parole di racconti o di versi, avventure e riflessioni di molte scritture forti, trasgressive, forti nel loro essere VERITA’ in nome d’una umanità preda d’apocalissi.
    ecco perchè chiudo questa mia breve testimonianza di una genesi d’opera con folate di ricordi di Nina, nei pomeriggi domenicali alle Tre fontane, là dove tutta la rivoluzione degli eucalipti per me ha avuto inizio. e per lei è stato un rito di passaggio fondamentale.
    Là ho visto mani che avrebbero creato e scritto nel tempo capitoli e immagini di questo libro densissimo, vivo e profetico, messaggio, con molti simboli e d’amore per la Terra e l’uomo. Forse questo libro in sogno me lo figuro nato così.
    Lei tenace cercatrice di tracce di vita, anche nel fango dopo la pioggia o capace di cogliere apocalittica la sofferenza d’acqua, il … koala metropolitano d’un a pianta nell’arida estate Stupefatta dalla passione di dolore e d’ansia di rinascita d’ una corteccia d’eucalipto, vita che andava informata di energia creatrice e fragile dono di vento e terra al mandala della pace, al dio del bene universale, un vaccino ante litteram contro la disperazione nella forza della natura madre di vita. Ginestra che ammonisce anche un eucalipto è segno di modernità, che splende tra orrori e rovine di male intelligenze di tecno modernità.
    Libro antidoto.

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  2. caro Gian Piero, quante emozioni ci dà la tua lunga nota di lettura del gran libro di Nina!. essenziali trovo le tue considerazioni sul mantra delle metamorfosi così potenti sempre in Nina, artista totale, scrittrice.
    Ho molto apprezzato il passaggio sulla poetica dei fragili che qui riporto
    “Poetica dei fragili poi in cui è iscritta quest’arte in tutta la preziosità delle sue miniature, di una mappa come abbiamo visto nelle stratificazioni di terre ed uomini nel patrimonio di un evocata e ancora partecipante presenza cui, a saperla leggere, ancora si offre e parla nella direzione di una reciproca salvezza nell’accoglienza “a rami aperti” di tutta la miseria, la disperazione, la sofferenza che chiede di essere ascoltata”. Ecco, in questi frangenti, anche personali, sento forte questa urgenza, cosmica ed antropologica, relativa a “la sofferenza che deve sere ascoltata”. Viviamo oggi in questi tempi di isolamento e sordità egoista, che non vuole crescere nell’ascolto dell’altro!
    dl dolore degli altri, fa crescere tutti, noi in primis. Tale indifferenza all’ascolto ci impedisce spesso di vedere il pozzo di dolore di ciascuno e la corda per risalire alla luce.,
    Queste d altre tue osservazioni ci dicono molto dell’etica di Nina, della sua resistenza creatrice , attenta al must dell’ascolto, specie della sofferenza, universale. al suo sguardo di sacra visione dell’umano, di matrice orientale, che avverte l’ , orologio d’apocalissi del nostro presente omologato che non sente la forza di rinascita de la rivoluzione della natura , degli eucalipti , testimoni di un fare nella natura e non del vuoto ecologismo . Anche gli alberi sono stanchi del green a buon mercato!

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    1. Grazie Paolo per l’esattezza con cui hai saputo leggere lo spirito di questa mia nota ma soprattutto anche tu per come hai saputo immergerti nell’opera di Nina in quella poetica dei fragili dove è scritto ciò che siamo e da dove è possibile ripartire, sempre nel cerchio di quella comunanza che ci splende umani. Grazie ancora a Neobar e a Doris per avermi ospitato

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  3. Quello che mi ha più colpito è la frequentazione quotidiana del boschetto di eucalipti, come una pura pratica di meditazione, azzerata ogni teoria, ogni concatenazione di sillogismi, per una pura pratica della compassione, del puro esistere.

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  4. Caro Paolo grazie per la partecipata esatta rispondenza a quanto ho scritto su Nina e grazie soprattutto per la tua condivisa narrazione di amicizia in un cerchio che la dice lunga proprio a proposito di quella poetica dei fragili cui l’attenzione di Nina si riporta e ci riporta. Grazie ancora a tutto Neobar per avermi ospitato.

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  5. #LaRivoluzionedegliEucalipti di Nina Maroccolo sarà anche una mostra, che si terrà dal 14 maggio al 29 agosto 2021 alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale.
    La mostra, il suo lancio percorso,l’attenzione che vivi si sposta, l’attrazione.

    Mi ricordo quella mostra che fece mio nonno, l’unica. Aveva un carattere restio. Una vita da grande lavoratore, uno sguardo dritto e pennello fluido.

    Mi piacque, una sensazione di leggerezza che ancora ricordo mentre la soffitta piena e raccolta dava calore, caldo, nido e riparo.

    Quindi come se potessi venire – che mi piacerebbe molto – avverto la bellezza grande di questa mostra! E poi si ispira, a temi a me cari su cui presto uscirò, la natura il nostro appartenervi e il suo essere maestra….

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  6. Grazie per essere intervenuti su uno scritto così preciso e attento, che giunge dall’esplorazione individuale di un poeta e critico
    quale Gian Piero Stefanoni.
    Stefanoni ha percorso orme e storie, accudendo la memoria di tutti quei luoghi che possiamo conoscere solo abbandonandoli. Non esistono ancora mappature, briganti sono i sogni che spesso ci rubano la notte, poi il giorno, ma non la scienza poetica del midollo lungo il tratto dorsale. Ci attraversa quella linfa pura e vitale; come negli alberi e le altre forme viventi. Quanti viaggi, di ciò che siamo stati, per tornare ciò che si è.

    Credo che occorra una pienezza totale per accedere a ogni libertà rivelatoria. E molto coraggio, affinché Libertà sia davvero il nostro respiro, e non retorica.
    Grazie infinite Gian Piero per la lettura magistrale della Rivoluzione degli Eucalipti. C’è molto amore.
    L’amore innalza e non delude mai, tu sei così, io ti sento così.

    Grazie a Doris e ad Abele. A Monica Baldini, Locarno e Paolo Carlucci.

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