Giancarlo Locarno – Bùgar

G. Locarno_ nudo a sanguigna
Posso muovermi
non ho più bisogno di fanfare e tamburi di guerra
o di una manciata di lana nella mano del morto
a disposizione ho soltanto ricordi e manie
il niente intorno e la mondanità del mondo.

Te sociam studeo scribendis versibus esse
anche se la vecchiezza  insinua tra le cellule
l’intreccio della sua figura, ingavonata in credule onde d’aria.

Il clinamen volgeva a Silver Spring, c’era uno sceriffo grasso
le mamme  lo chiamavano per sgridare i ragazzini.
Ho pensato a lui quando partì il colpo 
e m’ abbassai d’istinto 
mi vedevo, solo, in quel vecchio cimitero con le croci attorniate da un cerchio      
di cemento, come nei vecchi fumetti di Eisner
circondato dalle  gang
invece era solo un uovo a spiaccicarsi sullo Stenton
quasi una ricevuta soprannaturale.

Un brivido e tutta la giovinezza
giù lungo la Guaranguala con la bicicletta di fiato in gola
quanti spazi di tempo passati sotto i pluviali vespertini
(una volta disegnammo a sanguigna una ricerca per la banca celeste
col registratore patrimoniale, sotto le pleiadi taglienti
passim qualche latinismo moccioso
e non per allettare l’audizione).

Escoutatz un povero barzabuc in bici disperso nel vento di marenca:

Vivi a lungo amore
nel ricordo di quel bacio che richiama una canzone dimenticata
le grandi parole che non si osano più dire stanno venendo a riscattarsi
sono ormai alla porta, in un crucifiggere errato nel buio dei sacri penetrali 
nell’infermità umanistica di un tramonto che non aveva eguali di colori e di foglie
latebre per il sonno dei tuoi occhi neri e il mio sguardo che si arma, girato dall’altra parte.

Nell’ombra l’aria è priva di luce
diventa un corpo che racchiuderà quei movimenti per sempre.

Manette le parole di aggressiva tenerezza 
storie di tela e canti di maggio
sul burbero organismo che dimenticando le leggi
si sveglia dal suo sonno bambino.

Rasato di fresco e vestito a festa
incatenato da intrecciati sguardi obliqui
depongo sulla luna la mia freddezza
un meccanismo futurista nell’inferno di Bosch.
Obbediente e ossequioso
in dimenticati angoli morti
come se ti avessi già ascoltato in altre vite
vorrei venire ancora a visitarti. 


Una risposta a "Giancarlo Locarno – Bùgar"

  1. davvero bello e in qualche modo pure cineticodinamico il verso “escoutatz un povero barzabuc in bici disperso nel vento di marenca”. nel complesso, la resa/trasposizione Poetica è elegante, con qualche aggettivo anteposto che m’ha suonato forse troppo enfatico-al-limitie-dell’artefattuale. insomma, Poesia ben scritta dal Poeta per se stesso, con numerosi accenni “nominali” che muoiono conchiusi nell’immaginario e/o nel vissuto del Poeta, senza riuscire a “emozionarmi” (mio limite, ovviamente, cuore in mano).
    chioso che resta – ahimé – irrisolta la domanda: se il Poeta non si “abbassa” a comunicare col popolo, perché pubblica? intendo, non è un “nudo a sanguigna” ciò che leggo, ma un elegante vestito di parole.
    : )
    (ps: se posso permettermi, toglierei il “come se” in chiusa, sia per mia nota allergia al come, sia per flusso più ampio e armonico di chiusa: “ti avessi già ascoltato in altre vite / vorrei venire ancora a visitarti”)

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