[…] È una felice melodia quella che sale dalle sue parole. Tutto risulta armonico, fluido, naturale. Anche i concetti meno immediati pare sappiano sciogliersi, attraverso consecuzioni e accostamenti che sembrano nati sì a nuovo ma in modo quasi atteso, come prosecuzione di un’elaborazione intuitiva, operata sul connubio dettato dall’esperienza fusa con la rivisitazione emotiva, alterandone l’evidente presenza a se stessa, dilatandone il significato, in modo da renderlo baluginio capace di rispondere alle interrogazioni più ampie dell’uomo… Doris E. Bragagnini
[…]…nella poetica di Patanè la ricerca della perfezione può essere identificata con il capire il profondo senso dell’assenza, di come il passato possa essere stato sviscerato ed essere “il qui e l’adesso” un modo completamente estraneo rispetto ad allora. Predominano in questa poetica le due figure principali, ovvero l’Io e l’Es freudiano, ovvero il principio della realtà e quello del piacere, sogno. L’incontro tra i due è difficile e provoca nel poeta uno scombussolamento e spesso questo ricorda al poeta il sacrificio… Anila Resuli
]…] Come forse si sarà già intuito, la poesia di Patanè Ferro si muove in perenne dicotomia, uno squarcio fra il sacro e il profano, fra il desiderio di volare e il prezzo che questo desiderio comporta: la solitudine, che tanto ha segnato il poeta, quanto ne ha resi sublimi i versi. C’è il canto della giovinezza e il disincanto della maturità, il sogno che spinge verso la Bellezza, il volo d’Icaro, la gloria e la disfatta umanità di chi non ha mancato di assaporare fino all’ultimo ogni attimo di vita vissuta… Daniela Cattani Rusich
In questi giorni ci ha lasciato prematuramente il poeta Sebastiano A. Patanè Ferro. Moltissimi i tributi in rete a un uomo che ha saputo distinguersi con la sua carica umana e la sua inestinguibile passione per la scrittura.
Vogliamo salutarlo ricordando alcune sue poesie da “Gli angoli (aprono i loro acuti per ingoiarci)”, ed. Smasher 2013
Le parole
Le parole, le più vere
muoiono nelle pozzanghere gelate del mattino
ma ho sempre un angelo
da posare piano la sera, nessun nucleo
e dodicimila traiettorie verso una sola vibrazione
Adesso, da sotto la curva dei muri,
posso solo attendere la marea
e non importa se spezzerà i cristalli
di tutte le buonanotte perché
solamente il soffitto sa del sacrificio
e la mia carne
# 7 dell’assenza
restano i girasoli a ricordarmi il giorno
affonda la chiglia nell’attesa ed è notte, solo notte
sull’argento degli ulivi sulle smanie di maggio
fin dentro i pluviali dove si nascondono le distanze
La bruma assale i marciapiedi e cerca fughe nei bidoni
fra crudeltà ingiustizie e decapitati esempi
mentre batte il tempo un giallo rarefatto
ed un bicchiere si apre ancora di veleno
Un nugolo di ore migra verso est
e tu di lato cerchi nei miei occhi chissà cosa
[era un tempo, una puntata]
era un tempo, una puntata
carta regalo lampada a muro microonde
sotto la finestra una via, una di quelle che portano vicino
appena dietro il cuore e da lì ti vedo ancora
e da lì ancora ti sento cantare (piano) quella canzone di Paoli
croce di carne tatuata su quella costola mancante
eri il giallo della stanza l’odore tutto la sferzata di vento
che apriva le mie braccia
e se penso ai volteggi alle risa e le grida soffocate
appiccicate ai muri…
brindo col mestolo al piano liquefatto di cui noi uniche molecole
resta ti dissi
# 11 dell’assenza
è necessario che mi rivolga a qualcuno per sapere di come
si apre una vertigine viola di parole glorificate poi nella frammentazione
è necessario che sappia dell’avvenimento post osservazione
di come soffrono tutte le ali costrette dietro le pieghe della norma
e di come poi si svolgono, vedi, senza neanche tanto clamore
Il senso di appartenenza si dissolve col medio grigio
e sembra che non resti nulla a comparare i numeri
Gli spigoli ormai binari… non fanno nemmeno parte del mio paesaggio
eppure da me partono e tornano come in un tour
attraverso il canyon di queste riflesse somiglianze
Se avessi il tempo in tasca direi – apriti sesamo –
e le stelle si disporrebbero diversamente, forse
come le mimose in un vaso ossia come le assenze attorno a me
Dirò che sono stato altrove ingannando ulteriormente i luoghi dove andrò domani
*
Sebastiano A. Patanè-Ferro, nasce a Catania nel 1953 sotto l’acquario di Febbraio. Fin da giovanissimo coltiva la passione delle lettere che comincerà a sviluppare con impegno negli anni ‘80 quando fonda il centro culturale e d’arte “Nuova Arcadia” salotto di poesia e sede di interessanti reading. Numerose le pubblicazioni in riviste e giornali del periodo, sia nazionali sia internazionali. Dopo un lungo periodo di fermo artistico, nel 1994 scrive, per innamoramento, e pubblica la raccolta poetica “Luna & dintorni”. Nel 2011 la Clepsydra Ed. pubblica, in e-book, le “poesie dell’assenza”. Nel Giugno 2013, esce con la silloge di poesie “gli angoli (aprono i loro acuti per ingoiarci)” datate 2010, introdotte da Anila Resuli e con copertina di Maria Korporal, per conto della Smasher Edizioni e, sempre per la Smasher, nel Febbraio 2014, il racconto “Ho incontrato un angelo”. Nel Giugno 2015, esce “Il pescatore di fiori” per i tipi di Onirica Edizioni, introdotto da Daniela Cattani Rusich. Scrive teatro e narrativa ed è presente in diverse antologie poetiche tra cui Metamotphosis (Versinvena), Fragmenta (Smasher), No job (Smasher), Il cielo di Lampedusa (Rayuela) Kronos (Onirica). Nel 2019, è terzo classificato, con il racconto breve “Uno soltanto” al “Festival dell’altrove – Premio Angione – città di Sassari”, e pubblicato in antologia per le Edizioni Nuove Grafiche Puddu.
L’ha ripubblicato su Largo del Rossoe ha commentato:
Il saluto di Doris Emilia Bragagnini al poeta Sebastiano A. Patanè-Ferro, recentemente scomparso.
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Una passione incommensurabile…
sì è fatto invisibile come i fiori della felce, eppure profuma i nostri passi per sempre
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è vero, sapeva essere invisibile, ma profumava buono
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Ora sento l’eco della tua voce e non rimane che desiderare di sentirti nel carisma di un’anima rara.
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… nel cuore sfumato d’arcobaleni
in ogni angolo di cielo-capovolto
trasudi beltà
verso l’altrove rifugio dell’anima
nell’infinito blu oltremare
profumi bontà
dal pentagramma di un pianoforte
melodie scordate da tempo
tocchi i nostri tasti
tu “Mastro”…
Giò Scifo
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