Patty Schneider: Al campo

Al Campo

Al campo era ancora tutto silenzioso quando Johanna si svegliò. Nel suo largo pigiama maschile, si diresse verso la finestra della roulotte e scostò la tendina verde sbiadito. Era ancora buio. Freddo… Si sfregò con le mani incrociando le braccia, si mosse verso la zona cucina. Accese il gas…ti prego fa’ che ci sia ancora caffè…Ne trovò giusto un cucchiaio. Sbadigliò mentre con la mano libera si riempiva la caffettiera. Riccardo era già partito…speriamo trovi lavoro oggi, anche solo un giardino, qualcosa al mercato…


– Spostati Johanna! – I suoi invadenti colleghi erano arrivati nella sala pausa della fabbrica. Quanti erano! Non fatemi del male! Le si erano seduti stretti stretti tutti intorno. Parlavano ad alta voce, ridevano.
 – Ehi Johanna, tu cosa ne pensi? – …a che vuoi che pensi… Distolse  lo sguardo, come se la calma fosse visibile e rintracciabile, in un angolo, in disparte.

E nella sua ricerca affannosa di tutt’altro, lo vide.  Vicino a lui non si era seduto nessuno. Il vuoto.

La fissava. Aveva occhi tondi, infossati.
Johanna non sentì più le voci. Erano state risucchiate da quello sguardo. Lo conosceva. Erano passati anni. La faccia sempre magra, emaciata. Fumava, con quelle sue lunghe dita magre. Soffiava il fumo e per un momento la scena si velava, i contorni sbiadivano, tremando leggermente.
Tra una boccata e l’altra, riuscì a vederlo, nitidamente.
 – Il cane è morto, lo vuoi vedere? – le chiese.” No”, fece lei con la testa.
 – Ha fatto una fine orribile. Squartato. Sì, non è un bello spettacolo.
 – Quando sei tornato?  

 Johanna cominciò a sentire la nausea che le saliva.
Il caffé era pronto. Prese una tazzina, dello zucchero. Accese il televisore sopra il tavolino e si accomodò su una seggiola.
Brooke! Non ti perdonerò mai! Esci dalla mia vita, mi hai fatto soffrire troppo.”

La porta della roulotte si aprì e Riccardo apparve portandosi dentro una fredda nebbiolina. Aveva la solita faccia un po’ molle, di un uomo ancora giovane, ma a cui la vita sembrava non riservare più nessuna opportunità.
Si sedette pure lui e senza togliersi la giacca si accese una sigaretta.
Stefanie, ormai ho deciso; io e Ridge faremo quella crociera.”
 – Al mercato non avevano bisogno, – disse Riccardo – forse domani.
Consuelo! Per favore, prepara  tutti i miei vestiti da sera, scarpe e gioielli

– Ho visto Marco, ieri – disse Johanna.
 – Ah sì? E dove l’avresti visto?
– Al lavoro. Durante la pausa. Ha detto che vuole portarmi via. Lontano da te. Che tu mi stai facendo del male. Credo che abbia ragione.
 – E poi? Che altro ti ha detto?
–  Niente. E’ stato via tanto tempo. Io non sapevo che dirgli. Ha parlato quasi solo lui. Oggi viene. Mi aspetta in fondo al campo. – Johanna si cercò una sigaretta, parlava con occhi bassi, con un filo di voce.
Signora Stefanie ma perché lei piange? La prego non piangi.
Ah Consuelo! Sono così addolorata! Ora Brooke ha deciso di partire con Ridge per quella
crociera. Non lo posso sopportare
.”
–  Com’era? – chiese ancora Riccardo.
–   L’ho trovato bene, era un po’ magro, forse, come sempre.
–  Oddio Johanna! – Riccardo cominciò a ridere di gusto e con rabbia, – la devi smettere con queste scemenze! – Picchiò il pugno sul tavolo.
Johanna cominciò a tremare.

Riccardo si alzò di scatto e andò verso i mobiletti della roulotte. Aprì tutti i cassetti, uno dopo l’altro. Frugava,  cercava furiosamente sotto i vestiti, sotto oggetti vari e infine, trovò.
 –  Questo è tuo, no? – Riccardo era alterato e porgeva a Johanna un vecchio album di fotografie in pelle.
Johanna faceva no no con la testa, non voleva vederlo.
 – Allora ti faccio vedere io! Per la miseria! E poi la finiamo con questi vaneggiamenti! Sai  cosa è questo? – Aprì l’album in una pagina precisa. Con il dito le indicava un articolo di giornale.
“Giovane muore in un incidente automobilistico cadendo in una scarpata”
 –  Adesso ti viene in mente eh? – Riccardo era fuori di sè. – L’hanno ritrovato che era tutto squartato, con gli occhi liquidi. Non ricordi?  
  –  Io l’ho visto ieri; è venuto a trovarmi al lavoro. – Johanna era calmissima. Aveva smesso di tremare e di piagnucolare. Guardò Riccardo dritto negli occhi e disse:

 – Me ne vado. Non ne posso più di questa vita, in questo stupido campo, in questa stupida roulotte, con un fallito come te. Marco mi aspetta, te l’ho detto. – Si alzò, con calma,  e uscì dalla roulotte. Il giorno si stava facendo più pieno. Sì.
 – Tu sei pazza! Pazza! Vattene! Che me ne faccio di una come te? – Riccardo lo disse ma sapeva che sarebbe tornata a breve.
Ecco, avrebbe preso la borsa  già preparata, appoggiata a fianco della roulotte, sarebbe andata in fondo al campo, in mezzo alle altre misere catapecchie e poi sarebbe tornata indietro.
–  Ciao! – Johanna vide Marco appoggiato al muro. L’ aspettava, le braccia incrociate, un  piede appoggiato contro il  muro. La sua posa di sempre. Sorrideva.
Johanna si diresse verso di lui. Era felice. Dopo tanti anni Marco era tornato. Le avrebbe raccontato tutto con calma.
Stava lasciando il campo alle spalle e si girò per un’ultima occhiata a quella vita maledetta e i suoi occhi si soffermarono su qualcosa che non aveva notato passando. A lato del cammino sterrato , disteso, c’era un cane. Morto. Sventrato.

Johanna si fermò di colpo, stava aprendo la bocca per cacciare un urlo. Marco la prese per un braccio, energico.

–  Ti avevo detto che non era un bello spettacolo! – La portò via.

Nella vecchia roulotte, echeggiava ancora la telenovela.


6 risposte a "Patty Schneider: Al campo"

  1. Lo spettro del fallimento, lo spettro Marco del suicidio, negli occhi del cane. Si ha uno straccio di lavoro ma si vive in roulotte ed è dura far finta di niente con i colleghi.
    Perché il bisogno di scrivere queste cose, di denunciare? Perché esistono.
    Il racconto fila via veloce ( forse troppi incisi della telenovela).
    Ciao

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  2. Un bel racconto, scritto in modo limpido e ben controllato. Forse una psicosi come fuga da una realtà precaria e fallimentare, forse un fantasma vero, circola l’aura di qualcosa di misterioso ma che nello stesso tempo è dentro una realtà che sembra scandita da quelle voci in corsivo che vengono da fuori, l’ho scoperto solo nell’ultima riga che era una telenovela, oltre il campo c’è una parodia della realtà, nel campo ci sono solo parole vuote.

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  3. trovare vera prosa è cosa rara su Neorbar
    ergo un abbraccio fraterno all’autrice, che ancora prova a comunicare viaggiando in direzione ostinata e contraria.
    : )
    parto da quello che meno mi ha convinto: il passato remoto (è una mia tara nonché un discorso lungo, che qui condenserò in bignami: non siamo inglesi, non siamo Alessandro Manzoni, viviamo nel presente, il presente ci vive, “il caffè è pronto” suona per forza più potente/evocativo d’un “il caffè era pronto”).
    ma torniamo al racconto, ottimo per come è abitato da esseri umani in quanto tali (poco cinematografici, molto ricchi di fisica corporeità) e per come è gestita la frammentazione della linea del tempo (analessi e prolessi torna a casa lessi, ovvero, quando l’uso dell’artifizio narrativo è ricchezza aggiunta al racconto e non onanismo letterario sulla pelle del lettore).
    il fulcro narrativo è l’urticante “la prego non piangi” tratto dalla telenovela: così come Consuelo fatica ad esprimersi correttamente, così il linguaggio fatica a tradurre correttamente il male totale di (joh)Anna. l’effetto comico che ne deriva è nel contempo straziante (e spiazzante) anche per l’antitesi tra il facoltoso contesto telenovélico e la povertà quasi assoluta di Anna.
    mentre il piano tattile è sviluppato appieno (il freddo, la nebbiolina etc), anche il piano olfattivo meriterebbe pari attenzione (chessò, qualcosa come “Frugava, cercava furiosamente sotto i vestiti, sotto oggetti vari, tra zaffi di muffa, e infine, trovò” o – ancora meglio – quando apre l’album alla pagina precisa, dalla carta esce “odore di erba bagnata” a riecheggiare la scarpata… non so, vedi tu).
    stona “con gli occhi liquidi” in bocca a Riccardo. molto meglio sarebbe lasciare gli occhi alle labbra di Anna (es: “L’hanno ritrovato che era tutto squartato!” “…con gli occhi liquidi.” “Vedi che ti ricordi!” “Ma io l’ho visto ieri! E’ venuto a trovarmi al lavoro (…)
    sperando di non essere risultato pedante, mi scuso se mi sono soffermato soprattutto su ciò che mi è parso migliorabile (avessi commentato solo “gran bel racconto, ottimi dialoghi”, avrei scritto il vero, me la sarei cavata con poco, ma sarei stato inutile…)
    ehm, ohi, in fondo non è detto che inutile non lo sia comunque – l’incomunicabilità muove il mondo – ma almeno ci proviamo, ok?).
    : ))

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  4. Ciao Bro, ti stimo proprio. 🙂 e in questo delizioso sito pare sia la regola. Vista la tua generosità è più che comprensibile e condivisibile. Sono tutti appunti molto interessanti i tuoi, e non so nemmeno se le mie poche righe li meritino. L’idea del presente è eccellente (sempre che non si confondano ancora di più le acque tra reale e irreale, passato e presente). Dovrei provare. Comunque, vero che oggi si tende all’autofiction con la scrittura in prima persona, ma, direi, il passato remoto con l’imperfetto sono sempre stati usati anche nella letteratura novecentesca italiana. Per gli occhi liquidi, guarda caso ho proprio qui con me Donna Tartt che mi suggerisce: “il corpo in fondo al burrone con il collo rotto” (ah lei è splendida) (ora penserete che vi scriva da una austera casa di cura svizzera per malattie nervose, ma non è così, sto benissimo e continuerò a mandarvi i miei raccontini…:-) Grazie Malos, un abbraccio

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