Ieri mattina mi sono svegliato e ho pensato: a ben vedere, la vera antitesi non è tra virtuale e reale, ma tra digitale e analogico.
In primis perché il virtuale appartiene al dominio del reale quanto la realtà doc (non a caso, più correttamente dovremmo parlare di “realtà virtuale”) e infatti, come ben sappiamo, tutto ciò che il nostro cervello percepisce o immagina è parte integrante della nostra vita-realtà quotidiana. Pertanto, sottovalutarne l’impatto sulla società umana relegandolo nel limbo del non-reale costituisce un errore marchiano (subdolamente caldeggiato dai “padroni del discorso”).
Per contro, quella tra digitale e analogico esprime una vera antitesi che spesso facciamo fatica a mentalizzare e che è invece illuminante per cogliere i disagi del nostro attuale funzionamento sociale.
Partiamo dal definire i termini della questione.

Analogico: “proprio dell’analogia, che si fonda sull’analogia, ottenuto o formato per analogia”.
Andiamo dunque a consultare la voce “analogia”.
Analogia: “il rapporto che la mente coglie fra due o più cose che hanno, nella loro costituzione, nel loro comportamento, nei loro processi, qualche tratto comune; da cui il Ragionamento per analogia, ovvero l’operazione mentale consistente nell’identificare in un essere ciò che si è osservato in un essere simile”.
Digitale: “qualifica che, in contrapposizione ad analogico, si dà ad apparecchi e dispositivi che trattano grandezze sotto forma numerica, cioè che convertono i loro valori in numeri di un idoneo sistema di numerazione (di norma quello binario, oppure sistemi derivati da questo)”
In sostanza, tirando le somme, da un punto di vista umano, il passaggio da analogico a digitale abolisce il processo mentale mediante il quale riconosco l’esistenza di un altro essere simile a me, ovvero ostacola l’atto di identificarmi/immedesimarmi in un altro essere umano.
Mica brustolini…

L’interazione sociale avviene in una realtà inter-soggettiva che è elettivamente analogica: è necessario che l’essere umano immagini e cerchi di comprendere i processi mentali/psichici di altri esseri umani, ciò equivale a dire che la vita sociale richiede un funzionamento empatico.
Per contro, i surrogati digitali della società umana (i cosiddetti “social network”) sono strutturati in modo da inibire le relazioni analogiche in favore di un auto-appagamento ricorsivo: il mondo digitale è ego-centrico, ovvero è strutturalmente narcisista. Il singolo individuo è incentivato a fare di se stesso il centro esclusivo e preminente del proprio interesse, nonché l’oggetto di una compiaciuta ammirazione, mentre diventa superfluo il mentalizzare/immaginare l’esistenza di altri esseri umani, destrutturati a semplici dispenser di plauso.
In un certo senso, lo stato mentale dell’homo digitalis è simile a quello del Poeta: non scrive per comunicare con l’altro, ma per appagare un suo bisogno, in pratica la Poesia come atto fine a se stesso (ed ecco spiegato il perché ci siano più Poeti e Poesie nel mondo digitale che poeti e poesie in quello analogico).
Dunque, l’homo digitalis si è estesamente affrancato dalla necessità di chiedersi “chi legge?”.
Non si domanda più se esistano altre forme di vita umana all’altro capo della connessione. Non si chiede se l’altro internauta sia simpatico, se sorrida strizzando l’angolo degli occhi, se parli piano a voce bassa o a macchinetta, se odori di sudore o profumi, se scriva perché è triste, o mentre piange, se legga in silenzio, se sappia fare una capriola, se abbia già bevuto il caffè, se lo beva amaro, se faccia fatica ad arrivare a fine mese, se sappia ascoltare o ti interrompa per parlarti sopra appena può, se sappia parlare con gli occhi… e così via.

Gli schermi del cellulare e del computer sono specchi e la proiezione di se stessi nello schermo implica che lo specchio sia dedicato unicamente a sé. Immagini ulteriori riferite ad altri esseri umani disturbano l’immagine esattamente come accade quando abbiamo due proiezioni sovrapposte… ma per fortuna, nel mondo digitale, un mondo di assoluta connessione h 24 (eh, buffo no?), un mondo dove arrivo alle finestre di tutti, ecco, in questo mondo nessuno, ripeto nessuno può interrompermi!
Posso cancellare tutti i nessuno che mi impallano lo specchio e continuare a pettinarmi: basta silenziarli/bloccarli con un click. Oppure posso dire “mi piace” semplicemente cliccando il tasto predisposto e attendere di essere gratificato, come contropartita, da milioni di “mi piace” in calce ai miei post.
Ed ecco l’estinzione graduale dei siti comunitari (a favore dei singoli blog) e poi dei singoli blog (a favore dei social network, perché dove c’è richiesta c’è pubblicità-mercato, e vice versa). Parimenti, ecco l’estinzione graduale dei commenti lunghi o articolati: troppo disturbanti/distraenti, troppo time-consuming e talvolta addirittura deleteri perché troppo *appaganti* (un cliente appagato non sarà mai un bravo consumatore: l’utente/cliente deve postare/consumare in modo frenetico e restare comunque insoddisfatto nel profondo, come il tossicodipendente doc).
Molto meglio digitalizzare il segnale in senso binario: dualismo bianco/nero, bene/male, giusto/sbagliato, piace-sì, piace-no… o, ancora meglio, perché non la sola monorotaia del piace-sì con tanto di faccine, like, avatar o icone similari? Da un lato chi commenta non perde tempo a condividere riflessioni e a confrontarsi con l’altro (sottraendo tempo a se stesso e stimolando pericolosamente il ragionamento analogico e l’autocritica) e chi riceve il commento non viene distratto dalla scoperta dell’esistenza di altri esseri umani (sottraendo tempo a se stesso).
Eh, è davvero un tesoretto tutta questa fatica cerebrale risparmiata. Eppoi, ovviamente, come cantavano i Digitillimani “el pueblo, desunido, siempre serà vencido”.
Siamo bambini fortunati che vivono in un’epoca fortunata: tutto questo tempo risparmiato è una ricchezza che possiamo mettere a frutto investendo in azioni innocue e ricorsive, visti anche gli attuali alti tassi di interesse di sé.
E’ tutto così bello.
E’ tutto così bello, ammesso e non concesso che il suddetto tempo
sia esistente
e che alla fine
non disesistiamo pure noi
Temibili (e amabili) le tue geniali analisi Malos e la tua ironia… grazie
“Eh, è davvero un tesoretto tutta questa fatica cerebrale risparmiata. Eppoi, ovviamente, come cantavano i Digitillimani “el pueblo, desunido, siempre serà vencido”.”
Speriamo di rimanere capaci di dilapidare il tesoretto periodiamente, in modo da rimanere tutti un po’ più ricchi
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E’ un invito a nozze il tuo post, per me vecchio informatico, partiamo dal virtuale: la simulazione di una realtà che non ha consistenza fisica, e di ciò normalmente ne siamo del tutto coscienti, se non lo fossimo sarebbe un’allucinazione, l’inizio di una patologia.
Ha una funzione positiva, possiamo usarla nella progettazione simulando delle condizioni del mondo reale senza bisogno di sperimentare sulle “cose”, nella didattica ad esempio col simulatore di volo, nella medicina, etc.
Ha anche una funzione ludica, con i videogiochi, ma può arrivare anche all’eccesso, qualche anno fa sentivo parlare di “second life”, ne ho solo sentito parlare, offrirebbe di simulare la vita in un luogo virtuale. Cose di questo tipo se prendono troppo la mano possono però sviluppare un’incomprensione del mondo reale. Come dici tu il cervello la percepisce come parte integrante della vita, però una torta virtuale non la posso mangiare.
Per quanto riguarda l’analogico e il digitale, mi sembra che tu usi “digitale” come termine dal senso tecnologico, e “analogico” invece come “categoria dello spirito” .
Voglio dire, analogico in senso tecnologico si dice di un dispositivo o un sistema che in ingresso ha un segnale nella sua forma naturale (come nel tuo schema). Il telefono e la televisione sono nati come dispositivi analogici, anche il regolo calcolatore che usavo i primi anni di università, quando non c’erano le calcolatrici è analogico (esiste anche il calcolatore analogico, ne avevamo uno all’università, l’analogia significa analogia delle equazioni che descrivono il fenomeno che voglio calcolare, sia idraulica o astrofisica, o altro, se imposto gli amplificatori operazionali del calcolatore a descrivere quell’equazione, trovo immediatamente la funzione soluzione).
Poi il telefono e il televisore sono diventati dispositivi digitali, perché così hanno delle funzioni in più.
Ma dal punto di vista umano non è cambiato il loro uso.
Non è che se vedevo la televisione analogica il rapporto umano era qualitativamente diverso
dal televisore odierno. Lo stesso dicasi delle telefonate.
Dal punto di vista delle categorie dello spirito invece per me analogico vuol dire senza computer, digitale con il computer, e così seguo il tuo ragionamento.
Per quanto riguarda le conclusioni sono completamente d’accordo con te,
voglio aggiungere alcune osservazioni, l’autoappagamento avviene anche perché le cose appaiono troppo facili, e questo secondo me è il problema principale, uno può scrivere quello che vuole e viene pubblicato, poesie e racconti andrebbe anche bene, ma l’insieme delle sciocchezze è più vasto e le sovrasta. Perciò uno si crede un grande autore, non ha più bisogno di siti comunitari perché gli altri devono solo dire che mi piace, ma in realtà ha in mano solo una torta virtuale. Cinquant’anni fa ero un ragazzo già appassionato di poesia in un paese di provincia, era difficile, non c’era nessuno con cui condividere l’interesse, avevo tanti amici , ma trovavo qualcuno con cui discutere di poesia, solo girando nei festival dell’unità due o tre volte all’anno, in fondo era un’attività autoerotica, se inviavi qualcosa a una rivista neanche ti rispondevano (voglio dire che mi considero un appassionato ma un dilettante, mica un poeta).
Il digitale ha spalancato le porte, questo è positivo, ma ha anche le sue negatività, una seconda sta nel fatto che non è più necessario lavorare per mantenere una comunità virtuale. Quando da giovane facevo parte di un circolo arci, dovevamo sempre vederci, discutere, lavorare per portarlo avanti e mantenerlo in vita.
Nel digitale ci pensa la piattaforma, che quando chiude sparisce tutto il piccolo mondo.
L’ultima cosa riguarda il rapporto asincrono delle comunicazione nel digitale, mail msg sono velocissimi ma asincroni, uno risponde quando può o quando vuole, non è come un dialogo a voce durante il quale devo adattarmi a capire e rispondere seguendo anche le parole dell’altro. Questo forse rende tutto più freddo, però in effetti ripensandoci, un discorso articolato deve essere scritto da soli, in modo asincrono, ci vuole un po’ di tempo, chissà se si può rendere virtuale anche il suddetto tempo
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“In sostanza, tirando le somme, da un punto di vista umano, il passaggio da analogico a digitale abolisce il processo mentale mediante il quale riconosco l’esistenza di un altro essere simile a me, ovvero ostacola l’atto di identificarmi/immedesimarmi in un altro essere umano.”
mm
Caro malos, quanta verità! E tuttavia l’egocentrismo del digitale non è solo del Poeta. E’ forse diverso con la fiction? Se Barthes dava per morto l’autore nei gloriosi 60, adesso lo scrittore non è neanche più cadavere in decomposizione ma qualcosa, per comodità definito con breve acronimo, AI, che ci ha di fatto già catapultato in un mondo altro, distopico come nei racconti di Asimov o Dick. Potrei anche per comodità e sedentarietà chiedere al chatbot: “scusami, potresti scrivermi una risposta a questo bel testo di malos? ” Naturalmente non ho nessun chatbot, sono a mio modo un cavernicolo. L’argomento tuttavia mi interessa assai. Quello che mi spaventa è che insegnare non sarà un reciproco comunicare, ma, simply, l’assolvimento di un un servizio.
Così come “l’homo digitalis si è estesamente affrancato dalla necessità di chiedersi chi legge?”, il nuovo homo “educator” potrà, e forse già lo fa, non chiedersi cosa lo studente ha scritto, “se scrive perché è triste, o mentre piange, se legge in silenzio, se sa fare una capriola”, come dici. Sarà (e già lo fa) un software a ideare i compiti e a correggerli, che forse studenti più scaltri e svegli troveranno (trovano) il modo di farseli fare da una app più o meno legale. Insomma, siamo messi male. Ciò che ci rimane è provare ad educare, noi per primi, a un rapporto critico con l’AI.
Per quanto riguarda gli Intillimani mi viene da piangere al loro pensiero, come può succedere agli androidi quando pensano alle pecore elettriche. Intanto in Cina spopolano canzoni (deprimenti) del tipo
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@Doris: grazie per le tue parole. speriamo (anche se al massimo diventeremo tutti un po’ meno poveri)…
@Giancarlo: è sempre un piacere incontrarti in calce a un post. soltanto in incipit ho “dissonato” un po’ circa l’affermazione sulle “realtà che non hanno consistenza fisica”. non è un assurdo intrinseco? ohi, cos’è che *percepisci* mediante i sensi se non una realtà *fisica*, virtuale o no che sia? mmm… non solo qualunque cosa tu sia in grado di vedere – torta virtuale compresa – possiede consistenza fisica (fotoni con associati campi elettrici magnetici), ma possiede “consistenza fisica” persino ciò che non possiamo vedere (spettro della radiazione elettromagnetica al di fuori del visibile).
per il resto, d’accordissimo sul fatto che uno strumento possa avere molteplici e diverse funzioni (positive o negative esprime già un giudizio morale), vieppiù ribadisco, come scrissi in varie occasioni in altri fertili scambi di idee, che va sempre tenuto ben presente che più uno strumento è complesso più richiede un “adattamento funzionale” a chi lo usa (in tal senso si giunge all’assurdo che invece di usare uno strumento per modificare il mondo, prevale la funzione inversa, ovvero lo strumento modifica l’uomo e il modo in cui l’uomo percepisce il mondo).
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un passaggio intrigante è quello in cui scrivi “poi il telefono e il televisore sono diventati dispositivi digitali, perché così hanno delle funzioni in più”, affermazione che presuppone che per contro NON abbiano nessuna funzione in meno! ne siamo sicuri? più tautologicamente – e fedelmente – uno strumento analogico diventa digitale quando non è più analogico, ovvero quando NON puoi più vedere col tuo televisore una trasmissione con la nebbiolina (o la vedi o non la vedi). sono sicuro che puoi intuire le implicazioni modali sia specifiche (grandezza continua/infinita vs discontinua/finita), che in senso lato.
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dopodiché scrivi “Ma dal punto di vista umano non è cambiato il loro uso.” mmmm, non so… non ti sembra che ci sia una lieve differenza nell’uso (e nel potere “intrusivo”) tra un Minerva dieci pollici in bianco e nero e un LG C2-OLED 77 pollici, processore Alpha a9 Gen 5 e suono virtual surround a 7.1.2 canali con webOS 22 per tutte le piattaforme streaming personalizzabile mediante profili specifici… oppure tra un telefono a cornetta con disco combinatore corrispondente alla cifra e un i-Phone smart con display super-retina, dolby vision 4K 30 fps, chip A15 bionic con GPU 5core e due miliardi di app.
“voglio dire che mi considero un appassionato ma un dilettante, mica un poeta” beh, l’importante è che non ti consideri un Poeta: chi è convinto di possedere la Verità è intrinsecamente pericoloso. per contro poeti, santi e navigatori noi italiani lo siamo un po’ tutti, per fortuna.
grazie e un abbraccio fortefortissimo, fratello
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@Abele: eh, ti dirò le AI (maiuscole, ergo depositarie della Verità) non mi preoccupano più di tanto in quanto tali, o almeno, non molto di più dei meccanismi della mente umana di cui costituiscono un inevitabile riflesso. nell’arco della storia dell’umanità, abbiamo attribuito a sciamani, guru, dei, divinità, televisioni, e scienziati il titolo di fonti della Verità (“Io sono la Via, la Verità e la Vita” troneggia nel “libro di testo” della religione più diffusa del pianeta, dopo il Narcisanesimo). adesso tocca alle AI: cosa potrà mai andare storto? peggio delle crociate? delle guerre sante o della pulizia etnica? non credo…
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circa il lavoro dell’insegnante, come quello del genitore (educatori entrambi, no?), l’ho sempre reputato una forma d’arte, il cui prodotto finale (l’opera d’arte) è per l’appunto un germoglio di pensiero critico. la televisione e il dr Google (“l’ha detto la tv”, “l’ho letto su internet”) già possiedono una potente funzione “oracolante” capace di inibire il pensiero critico.
forse però non è ancora questo il punto: sarò monotono, ma torno sempre al lavoro (su cui è fondata la nostra costituzione)… allora la domanda che d’un tratto mi sorge spontanea è: nel conflitto di classe tra capitale (finanziario o meno) e lavoro, quale parte della barricata difendono le AI? in altre parole, chi è il proprietario delle AI? tu? io? noi? naaaa… gli stessi “padroni del discorso” che già controllano stampa, televisioni e ueb.
un grazie di cuore anche a te, ovviamente, non solo per esserci, ma anche per gli spunti obliqui che mi hai dato (su cui continuerò a riflettere).
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Forse siamo adescati dall l’analogico che corrisponde anche al reale, al nostro modo di pensare per immagini sequenziali e poi senza che ce ne accorgiamo rimaniamo intrappolati nel digitale, numerico e matematico. Non so se questo passaggio abolisca l’umano. In ogni caso, sembra che sia in atto una vera mutazione genetica a causa del massiccio uso di internet.
Sicuramente, un’area del cervello presa in causa è quella dell’empatia, anche se non possiamo incolpare esclusivamente il digitale. Spesso, pure io in passato, mi sono chiesta chi erano quelle persone che usano (o usavano) i siti di scrittura per proporre soprattutto poesia – a scrivere tre pensierini messi in croce ci riescono tutti, sostenere la scrittura per pagine tecnicamente richiede più mezzi. La maggior parte di questi pubblica (scrivere è un’altra cosa) per sentirsi gratificato, riconosciuto e apprezzato. Queste persone non sono minimamente interessate alla scrittura come forma di espressione artistica o di crescita personale, sono solo interessate alla forma social interattiva che questi siti propongono. I siti di scrittura come una sorta di tinder ante-litteram.
Poi ho pensato anche alle persone malate, disabili, costrette per la maggior parte del tempo alla solitudine e che con questo mezzo possono interagire con più persone, oppure agli emotivamente fragili che hanno i loro tempi e modi e che possono trovare uno spazio all’interno di questi siti, scambiare due parole di conforto sulle chat. Comunque la riflessione è più che corretta. I want to be a machine, cantavano gli Ultravox, and the machine wants to be human (aggiungo io). Questo desiderio di essere perfetti, massimamente efficienti e anche altamente sensibili, forse non si concilia bene con la nostra finitudine. Grazie, il testo si presta a infinite riflessioni (soprattutto filosofiche).
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