Yuleisy Cruz Lezcano, Ritrovare se stessi: camminare verso l’unità oltre la frammentazione

Statua di Spinoza_Amsterdam

Ritrovare se stessi: camminare verso l’unità oltre la frammentazione

di Yuleisy Cruz Lezcano

Viviamo immersi in un contesto che ci spinge senza tregua a differenziarci, a contrapporci gli uni agli altri, a separarci dal resto del mondo e a disprezzarci reciprocamente. Ogni gesto, ogni parola, sembra valutata in termini di visibilità, utilità o rendimento, come se l’esistenza fosse una mera somma di prestazioni. In questa costante frammentazione, dimentichiamo che ogni vita è intrecciata in una rete di relazioni, quel tessuto condiviso che sostiene il nostro esistere e rende possibile la comunità. La dispersione ci allontana da noi stessi quanto dagli altri, e l’attenzione si riduce a un consumo incessante di stimoli, più che a una pratica di ascolto e contemplazione.

Riconquistare la nostra esperienza di unità significa tornare a una forma di attenzione che non separa né contrappone, che non misura le relazioni in termini di vantaggio o prestigio, ma significa imparare a guardare dall’unità, dalla non dualità, a pensare al di là del contenuto ristretto dell’“io” frammentato, delle frustrazioni quotidiane e delle piccole guerre simboliche che occupano lo spazio dei nostri giorni. È un invito a confrontarci con qualcosa di più ampio, con un orizzonte che supera la contingenza immediata e ci ricorda che siamo parte di un Tutto, non entità isolate.

La filosofia di Baruch Spinoza (1632 -1677) fornisce strumenti essenziali per comprendere questo cammino. Per il filosofo olandese, la libertà non consiste nel fare ciò che ci passa per la testa, ma nel conoscere le cause dei nostri desideri, nel riconoscere i legami che ci uniscono agli altri e alla natura, e nel vivere secondo ragione. La vera beatitudine nasce dall’intelligenza dell’unità: comprendere che nulla è separato, che ogni azione, ogni relazione, ogni evento, ha radici e conseguenze che si intrecciano in un ordine più grande. Riconoscere questa rete significa uscire dal circuito della polarizzazione, smettere di alimentare contrapposizioni sterili e coltivare invece la comprensione delle connessioni profonde che ci legano gli uni agli altri.

In questo percorso, la contemplazione diventa pratica quotidiana. Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di esercitare uno sguardo che non giudica secondo utilità o rendimento, che non riduce la vita a uno scambio di vantaggi. È uno spazio di sospensione in cui cuore e mente si aprono al ritmo sottile delle relazioni, al battito dell’unità che pulsa al di sotto della dispersione. È un respiro lento, un ascolto profondo, che permette di percepire l’altro non come ostacolo o rivale, ma come parte del medesimo tessuto vitale.

Ritornare a noi stessi significa recuperare la consapevolezza di essere interdipendenti, di vivere in un mondo che non è separato, di fare esperienza di una connessione che è la vera misura della vita. Non è un ritorno nostalgico al passato, ma un atto di coraggio: scegliere di guardare oltre il frastuono della frammentazione e dell’individualismo, per imparare di nuovo a pensare dall’unità, a vivere nella rete di relazioni che ci definisce e ci sostiene. Solo così la parola, il gesto, la presenza, possono smettere di essere strumenti di sopraffazione e tornare a essere veicoli di cura, attenzione e riconoscimento. Tornare al cammino verso noi stessi significa tornare alla comunità: un movimento che parte dall’interno ma che riverbera nell’esterno, trasformando la realtà in un luogo abitabile, dove la vita non si misura più in frammenti separati, ma in connessioni vissute e riconosciute.

La gioia, quel battito sottile e continuo dell’esistenza, non è un lusso né un dettaglio accessorio della vita. È qualcosa da rivendicare, una realtà che spesso si nasconde sotto il peso della frammentazione, della competizione e della polarizzazione che attraversano la società contemporanea. Viviamo immersi in una rete di relazioni che ci spinge a separare, distinguere, giudicare, a disgregarci dagli altri e da noi stessi. In questo contesto, il battito della vita rischia di diventare un rumore di fondo, facilmente ignorato, se non addirittura soffocato.

La filosofia di Spinoza offre un orizzonte per pensare la gioia come esperienza di unità. La vita buona non è la somma di soddisfazioni isolate, ma il riconoscimento delle connessioni essenziali che ci legano al Tutto. La gioia nasce dalla comprensione delle cause dei nostri desideri, dal sentirsi parte di un ordine più grande, dove ogni evento, ogni incontro, ogni relazione non è separato ma intrecciato con tutto ciò che esiste. È la percezione di quella non dualità che abbatte le barriere tra soggetto e mondo, tra io e tu, tra interno ed esterno.

La molteplicità, così evidente nella vita quotidiana, non è che un’apparenza. Ci illude di vedere separazioni, conflitti, opposizioni, ma sotto la superficie pulsa un unico ritmo, un battito condiviso che unisce tutto. La gioia autentica si manifesta quando smettiamo di inseguire illusioni di separazione e ci apriamo alla percezione di questa unità fondamentale. In questo senso, ogni esperienza di riconoscimento reciproco, ogni atto di attenzione profonda e contemplativa, diventa un gesto politico e morale: un modo per riaffermare la vita contro la frammentazione e l’indifferenza.

Riconquistare la gioia significa riappropriarsi del tempo interiore, della capacità di respirare senza fretta, di ascoltare e di lasciarsi attraversare dalle connessioni invisibili che ci legano agli altri. Significa vedere la molteplicità non come fonte di conflitto, ma come espressione della ricchezza di un Tutto unitario. È un esercizio di resistenza culturale e spirituale: resistere alla logica della separazione e delle gerarchie, per tornare a un linguaggio della cura, della relazione, della presenza.

In un mondo che misura tutto in utilità e rendimento, la gioia diventa un atto di ribellione. È il battito dell’esistenza che reclama il suo spazio, il suo riconoscimento, il suo valore. E, come insegna Spinoza, non è qualcosa di estraneo alla vita, ma la vita stessa che si manifesta nella sua pienezza. La vera libertà consiste nel sentire questa pienezza, nel lasciar emergere la gioia come segno della nostra connessione con il Tutto, nella consapevolezza che ogni frammento, ogni relazione, ogni parola è parte di un unico respiro universale e tale proposito ho scritto qualche pensiero:

Sette le spade forgiate per trafiggere
nuvole di fumo che avvolgono il cuore,
chi non sa di sé e tenta di dire per gli altri,
non sa in quale enigma si dibatte,
né in quale culla di speranza trasforma
il suo abbaio da cane.

L’osso che strangola il corpo della vita
giace nascosto tra le radici dell’anima,
ma sotto la superficie pulsa un unico respiro,
un battito che unisce ciò che appare separato.


Una risposta a "Yuleisy Cruz Lezcano, Ritrovare se stessi: camminare verso l’unità oltre la frammentazione"

  1. questo articolo di Yuleisy Cruz Lezcano, per motivi evidenti, mi è piaciuto moltissimo.

    el pueblo, unido, jamás será vencido…

    : ))

    Spinoza è un filosofo da riscoprire, non tanto per il suo “monismo panteistico” quanto per il suo “comunitarismo democratico” in base al quale il saggio/colto/letterato deve vivere nella comunità e operare per il bene della comunità stessa. contariamente ad Hobbes, col suo famoso (infame) “homo homini lupus“, Spinoza afferma che l’uomo è un animale sociale e che “homo homini Deus“, ovvero che “l’uomo è Dio per l’uomo”.

    volente o nolente, Spinoza è un proto-socialista, convinto che la realizzazione massima dell’individuo avvenga nella società, ovvero che l’utilità individuale massima si possa raggiungere solo attraverso l’utile collettivo.

    riscopriamo dunque il concetto della “gioia come esperienza di unità“, antidoto potente all’individualismo sfrenato, figlio del matrimonio-mercimonio (sotto l’egida del grande capitale) tra liberalismo economico e libertinismo consumistico…

    ps: il “pensiero” poetico finale ha un ottimo respiro. nella seconda strofa, mi inceppa leggermente il penultimo verso (forse con “pelle” al posto di “la superficie” scorre più umano, maveditù, ofcòrs)

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