
“Esiste sempre un percorso. Ma, quasi mai, si riesce a fotografarlo dall’alto, come se si stesse in cima e fosse tutta in vista la strada compiuta. Perché si tratta di un percorso sghembo, fatto dì corsi e ricorsi, di volute e di pieghe. Così, è più facile che uno parli delle intenzioni che lo hanno mosso, piuttosto che delle tappe che ha toccato in successione. Del resto, avendo la consapevolezza dei limiti di questa prospettiva, che male c’è? Ecco, allora, il mio sogno di scrittore. La mira di un tempo e di adesso: togliere peso, il più che si possa, alla scrittura. Così ho cominciato, con qualche incertezza di progetto, e così sono andato continuando. Avendo dinanzi agli occhi quel gioco di pieni e di vuoti in cui è l’assenza maggiormente a contare. Che sogno sublime, quello di una pronuncia lieve e sfuggente. Che amabile inganno, giocato a se stessi e al lettore, portati su un ‘onda leggera dentro il dolore e l’impronunciabile dramma. Che audace licenza, l’aver celato nel tenue riflesso del luogo comune la più scandalosa effrazione.
I modelli, a volerli cercare, non mancano affatto. Mozart, Vivaldi e Rossini, tra i musicisti. Tra i poeti, a noi più vicini, Saba e Ungaretti, Penna e Caproni. Nel mezzo, Metastasio e i librettisti Da Ponte e Sterbini. Ma, poi, come rinunciare a Dante e a Leopardi, maestri nell’uso della “leggerezza” per parlare dei massimi sistemi?
Inseguire, ecco il punto, la grazia sottile: ciò che non è grave, che non è attirato dal basso, che sembra leggero e frivolo e non lo è, ciò che è immemore e non ha peso, ciò che vive in eterno e non dura che un attimo. Ed è una direzione, quella della leggerezza, che impone di andare avanti isolati. Senza aggregarsi. Rinunciando all’approvazione dei più, delle vestali del tempio e dei maestri à la page.
Del resto, che importa. “Come i protagonisti dei miti, delle favole e dei misteri, ogni poeta deve attraversare la prova della realtà e dell’angoscia, fino alla limpidezza della parola che lo libera, e libera anche il mondo dai suoi mostri irreali. E in questa coraggiosa traversata ogni poeta è un pioniere, perché il dramma della realtà non ha termini, ed è sempre un altro» (Elsa Morante).
Perciò, a maggior ragione, estendo al futuro il mio progetto di chiudere il fuoco nel cerchio della grazia. Senza violenti incendi, insomma, e senza ritorni di fiamma. Tessendo, neppure con troppa partecipazione del resto, l’elogio necessario della frivolezza, che è stata sempre la virtù dei grandi ingegni.
Per pronunciare davvero il sublime, penso che occorra partire dal calco, dall’orma, da una traccia sottile. Per una legge dell’inversamente proporzionale: quanto più basso è il tono, tanto più alto è l’effetto.
Non è che intenda, per carità, rinunciare alla «grandezza» delle cose. Ma trovo giusto rilevarla nella loro «piccolezza». E mi piace soffiarci dentro quell’arietta frizzante che fa, del castello di Atlante, l’attracco delle astronavi per il resto dell’universo.”
Paolo Ruffilli
La grazia sottile, leggera della verità (o dell’umiltà) nel lavoro dello scrittore? Mi viene in mente l’immagine del primo vento d’autunno, con i mulinelli di foglie. Senza peso, anche nel dolore della separazione dai rami, nella solitudine cui le costringe il vento.
“Per pronunciare davvero il sublime, penso che occorra partire dal calco, dall’orma, da una traccia sottile”: l’orma è l’autenticità della parola quando aderisce alla vita.
Lettura molto aprrezzata.
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La semplicità nell’esternare la propria inclinazione rende ancora più interessante e gradevole chi tale inclinazione possiede….complimenti!
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“Ecco, allora, il mio sogno di scrittore. La mira di un tempo e di adesso: togliere peso, il più che si possa, alla scrittura.”
Condivido totalmente, gusti musicali e poetici inclusi!
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