Come dev’essere il contadino moderno, 2.0, che usa il tablet e ha un blog? Esattamente come quello del passato: immerso nei ritmi ancestrali della natura, rispettoso dei suoi cicli. Sintesi della memoria dei popoli nel suo dna ma, come direbbe Bertoli “lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.
Ne è convinta la scrittrice britannica Jojo Tulloh, che a Londra ha appena presentato il libro “The Modern Peasant” (Il moderno coltivatore, nella foto la cover), edito da Chatto & Windus, riprendendo un libro di successo degli anni Ottanta della scrittrice Patience Gray, “Honey from a Weed” (Miele dalle erbacce). Scritto nel Salento, alla masseria “Spigolizzi”, dove ha vissuto oltre 30 anni con lo scultore Norman Mommens.
Nell’autunno scorso, col fotografo Jason Lowe, Jojo era stata in visita proprio nella masseria situata fra Salve e Presicce, nel Leccese, ospite di Nicolas Gray, figlio di Mommens, e la giornalista Maggie Armstrong, sulle tracce di Patience, che considera la sua “maestra” spirituale. Ecco le sue impressioni sulla gente del Salento, la natura, la cultura.
Domanda: Quale misteriosa, ancestrale energia l’ha portata in una terra antica, colma di bellezza e tesori d’arte, abitata dai misteriosi Messapi?
Risposta: “Avevo letto e amato il libro di Patience Gray, Honey from a Weed, e ho sempre sentito una grande voglia di visitare la casa dove lei viveva con Norman sulla collina pietrosa. Lei ha descritto il luogo come un posto magico ed io ho voluto vederlo per me stessa. Di più, il libro mi ha spinto a chiedere come la gente può incorporare vecchi modi di fare le cose nella vita moderna ai fini di dare più significato alla vita. A Londra per caso ho rincontrato Katerina, nipote di Patience, e così ho potuto mettermi in contatto con Nick e Maggie e visitarli”.
D. Che cosa sapeva del Salento e qual è stata la prima impressione della natura e la gente che lo abita?
R. “Non sapevo molto di più oltre ciò che ho letto nel libro di Patience: che era una vecchia terra abitata da molti popoli diversi dalla notte dei tempi e che era molto bella e in parte ancora incontaminata. Mi sono svegliata la prima mattina a Spigolizzi stupefatta/sbalordita dalla luce d’oro e la pace e serenità della collina. Abbiamo fatto una passeggiata all’alba e, salendo la scalinata a chiocciola di una pajara, abbiamo guardato sul mare fino all’orizzonte. Sembrava un miracolo che questo paesaggio antico sia potuto sopravvivere intatto e sarebbe bello che potrebbe rimanere per le generazioni future”.
D. E’ una terra colma di energia, di spiritualità millenaria: l’ha colta?
R. “Sì, molto. Sembra un paesaggio duro, che ha sostenuto la gente che lì ha vissuto. Quando mi sono ritrovata nella realtà di Honey from a Weed era un po’ come tornare indietro nel tempo, ma mi ha fatto riflettere sul mio modo di vita e, in particolare, come procuro io il cibo. La vita moderna ha molte convenienze, ma abbiamo bisogno di preservare il passato e in particolare i luoghi selvaggi e antichi. Una volta distrutti dallo sviluppo non possono essere recuperati”.
D. Sapeva della scelta estrema di Norman Mommens e Patience Gray, che qui vissero amati da tutti?
R. “Della loro scelta di vivere così mi ha accennato la lettura del libro di Patience. Allo stesso tempo sono stata impressionata, addirittura meravigliata, dalla profondità della sua conoscenza, dalla sue amplissime letture, e anche dal suo talento per la narrazione. Le sue descrizioni di una vita vissuta nella consapevolezza dei tempi passati sono avvincenti come qualsiasi romanzo”.
D. La condivide?
R. “Non sono sicura di essere così forte come loro! Detto ciò, c’è molto nel loro modo di vita che mi attira. Forse la cosa più incredibile per me è come Patience ha potuto precipitarsi da una vita a Londra a una vita tutt’altra con Norman. Ho sentito nella masseria la forza della loro vita insieme nonostante che entrambi siano scomparsi. Ammiro molto come hanno combinato l’agricoltura e la creatività artistica. Mi sembra un buon equilibrio. Quando altri prendono scelte molte diverse da come noi viviamo, induce una valutazione della tua vita che può essere solo una buona cosa. Ora, più che mai, dobbiamo essere consapevoli dell’impatto delle nostre scelte”.
D. Pensa che cercavano il loro Aleph e che vivendo senza i feticci della modernità l’avessero trovato qui?
R. “Nonostante non mi spieghi come abbia potuto vivere una vita così rigorosa, la purezza di un’esistenza senza la confusione della modernità è molto attraente. Sembra che togliendo la roba eccessiva ha dato a loro il tempo di concentrarsi sulle cose veramente importanti: la creatività artistica, la scrittura e il loro rapporto. Hanno potuto vivere in un posto isolato, senza mai essere isolati – l’opposto dell’esperienza di tanti che vivono in una grande città”.
D. A Spigolizzi le hanno insegnato a riconoscere, cucinare e mangiare le erbe spontanee che per secoli ci hanno sfamati: come le ha trovate?
R. “Siamo andati sulla collina per raccogliere le cicorie selvatiche per accompagnare un piatto di fave e pancetta. Abbiamo raccolto le mele cotogne dal giardino. Qualche pianta selvatica commestibile già la conoscevo dal mio orto popolare a Londra; altre Nick e Maggie me l’hanno indicate. Mi piace mangiare il cibo cercato nella natura o dal proprio orto perché ha molto più sapore. Di più, Patience attribuisce a queste piante tante qualità curative; così ci si sente virtuosi e rinforzati mangiandole”.
D. Perché ha inserito nel suo libro alcune ricette tratte da quello di Patience? Come le la scelte?
R. “Abbiamo cucinato con gli ingredienti di stagione. Era l’inizio di novembre. Siamo andati al mercato e abbiamo comprato punterelle e mazzetti di piccoli peperoncini tondi rossi. A Salve abbiamo visitato una panettiera al lavoro con l’antico forno tradizionale. Abbiamo cucinato grosse mele cotogne gialle dal giardino per preparare la cotognata e comprato minuscole seppie al mercato del pesce. Abbiamo utilizzato i vecchi treppiedi anneriti di Patience per grigliare una palamita intera nel camino. Abbiamo cucinato cosa c’era sotto mano e cosa sembrava più gustoso. Il Salento è fortunato perché ci sono sempre contadini che coltivano e preparano il cibo nel modo tradizionale. Ci auguriamo che continui così a lungo. In Gran Bretagna abbiamo dovuto riforgiare la catena rotta tra produttore e consumatore”.
D. Di cosa parla il suo libro?
R. “Chi abita in città sta rivendicando i mezzi di produzione del cibo per se stesso. Aprono nuove imprese artigianali: birrai, panificatori, macellai, caseifici. Chi cucina in casa scopre la soddisfazione di imparare come fare le cose per se stesso e integrare questi compiti nella vita quotidiana. Questo libro racconta i miei incontri con questi artigiani esperti e cosa ho imparato da loro. Ci sono ricette e consigli per chi vuol tentare di fare il pane, il formaggio, le conserve, chutney e marmellate da soli. Veramente è stato un tentativo di catturare un po’ dell’emozione/gioia stimolata da questo nuovo tipo di produttore. Voglio focalizzare l’attenzione sull’importanza del cibo, ispirata dal libro di Patience che ha sempre ricercato la conoscenza antica degli altri. Questa citazione di Patience lo spiega in modo più eloquente: “Far crescere il cibo dalla terra da solo mi ha sempre interessato: anche l’appetito. La bontà e la virtù curativa di un pasto dipendono dalla passione col quale è stato immaginato, cucinato e mangiato. Mi è sembrato giusto mostrare qualcosa di una vita che genera questo elemento indispensabile in un tempo in cui la denutrizione tormenta anche i più benestanti”.
Caro Abele,
ho conosciuto e frequentato Patience Gray e il suo compagno, il famoso scultore Nprman Mommens ( suoi lavori sono esposti nella Whitechapel Art Gallery a Londra e fanno parte di collezioni private di cittadini di tutto il mondo: francesi, inglesi, americani, svizzeri, danesi, tedeschi, belgi, australiani ,ecc)
verso la fine del 1993, esattamente vent’anni fa, grazie ad un professore di inglese di Taviano ( di cui non ricordo il nome) e al prof. Nocita, allora preside di una scuola Media di Gallipoli.
La prima volta ci incontrammo a Spigolizzi, nei pressi di Presicce, terra del capo , nella Masseria dove viveva la coppia inglese-fiamminga ( lui era per metà belga e metà inglese) ; sembrava d’essere quasi sull’isola di Pasqua. Infatti, la campagna d’intorno era disseminata di grandi statue in pietra , che richiamavano alla mente opere precolombiane , ma ce ne erano anche altre di stampo classico , che ricordavano le opere dei greci e dei romani. Sembrava che Norman, uomo già anziano ( a quell’epoca avrà avuto settantacinque anni) ,ma ancora integro , imponente, bello e monolitico come una cattedrale antica , fosse venuto nel Salento come approdo ultimo a una terra edenica, definitiva, un terra fatta di silenzi, un luogo dell’anima , la sua Itaca. Era molto ritroso a parlare di sè e della sua arte , al contrario di Patience ( che aveva già scritto un libro – tradotto in italiano – il cui titolo era pressappoco “Una passeggiata in bicicletta nel Salento”) , molto più aperta e disponibile . Proprio grazie alla complicità di lei e ad un evidente “empatia” , riuscii a convincerlo a fare un intervista alla Radio ( alla Televisione non volle mai apparire) , di cui forse conservo traccia ( lo spero vivamente) in qualcuno dei migliaia di file dimenticati. Parlammo una ventina di minuti in italiano , e mi sembrò contento ( non era molto espansivo, era difficile intuirne gli umori). Alla sera Patience e lui furono miei ospiti all’Associazione Marinai d’Italia di Gallipoli ( un pasto frugale, a base di pesce povero) e stavolta sì, mescolati ai vecchi marinai che si facevano una birra dietro l’altra, mi parvero entrambi allegri e soddisfatti, tant’è che Patience ( una fervente ammiratrice di Sciascia) mi scrisse una lettera in uno stentato italiano che conservo tuttora da qualche parte, con cui mi ringraziava e sperava che ci fossero in seguito altre serate consimili. Norman – disse – era dieci anni che non si spostava dalla Masseria.
Tornai a trovarli un paio di volte ancora, ma forse abusai della loro ospitalità e pazienza ( un giorno vi portai l’ Ammiraglio De Michele, che forse era troppo cameratesco ed esuberante , forse anche un tantinello aggressivo per i loro gusti) e allora Norman mi disse papale papale che lui s’era ritirato in quella Masseria per lavorare. Non aveva tempo per le chiacchiere.
Ma Patience cercò di riallacciare i rapporti con me e mi telefonò più volte, affinché tornassi a trovarli
A questo punto non ti so dire perché non andai ( forse Norman se ne era andato, o addirittura era morto, Patience aveva lasciato la Masseria…insomma non ne ho più memoria, fattostà che non ci siamo più veduti, e ciò mi dispiacque moltissimo).
L’anno dopo feci pubblicare un’antologia artistico-letteraria dal titolo LA ZATTERA, giugno 1994,
Edizioni l’uomo e il mare, con la foto di copertina che riproduceva la famosa Zattera della Medusa di Gericault, in cui c’erano le immagini di alcune sue sculture e una breve nota biografica.
Vorrei sapere da Francesco Greco , se ne è a conoscenza, come spero, il seguito di questa vicenda che ho narrato. Una cosa è certa: sia Norman che Patience mi sono rimasti nel cuore e il titolo del post mi sembra molto azzeccato. Dimmi, Francesco, (se lo puoi) che ne fu di questi benefattori dello spirito umano, questi amici salentini d’elezione che fecero di un pianoro (la serra di Spigolizzi) sconosciuto , uno scenario dell’arte e un altare della cultura, “sovrappiù” su cui +edificata la nostra civiltà.
Grazie.
Un abbraccio
Augusto
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Augusto… Bella storia l’Ammirale e il Guardiano del Faro! Il seguito: http://theitaliantranslator.wordpress.com/2010/12/12/remembering-norman-and-patience-2/
Nicolas Gray, Masseria Spigolizzi, spigolizzi@libero.it
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Carissimo Augusto, grazie per questo tuo ricordo/omaggio a una coppia per me mitica e che, purtroppo, non ho mai avuto modo di conoscere. Aspettiamo quindi Francesco per un aggiornamento. So anche che Marilena Cataldini ne parla in un suo bellissimo libro dedicato agli artisti stranieri che hanno vissuto o vivono nel Salento. Le chiedero’ se e’ possibile postarne un estratto.
Un abbraccio e a presto – Abele
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Caro Nicolas , grazie al tuo link ho potuto recuperare le memorie perdute , conoscere gli ultimi anni di vita dei tuoi genitori , e ritrovare un caro amico come Aldo Magagnino; era lui il professore di inglese di cui non ricordavo il nome, che mi ha risposto privatamente, e ha aggiunto tanti altri particolari a quel periodo di vent’anni fa. Tra l’altro partecipò alla parca cena che consumammo dai Marinai d’Italia e
ci fu anche una sorta d’intrattenimento musicale, tutto marinaresco. Dice che non ha mai potuto ascoltare la cassetta dell’intervista, che io ho conservato a lungo, ma ora onestamente non so che fine abbia fatto. Forse dovremmo chiederlo alla Radio ( se ancora esiste) o a chi allora la gestiva ( era il figlio del bar sito sulla Banchina Lido del porto Mercantile di Gallipoli, su cui io avevo ambientato una delle mie commedie, peraltro mai rappresentate dal titolo: Banchina Lido. Ma vorrei trovare il testo dell’intervista, perché da qualche parte certamente l’ho conservato. Da quel che mi sembra di aver capito ci sei tu ,ora, alla Masseria Spigolizzi. Chissà magari potremmo aver il modo di incontrarci, prima o poi.
Tieni conto che Abele ( ideatore e gestore di questo blog).tra poco si troverà nel Salento e – chissà – magari potrebbe anche trovare il tempo per visitare la mitica masseria di Norman e Patience.
Un caro saluto.
Augusto
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Caro Nicolas e caro Augusto mi piacerebbe moltissimo visitare Spigolizzi. Come dicevo in un mio commento precedente ho sempre sentito parlare della mitica coppia degli “Inglesi” e delle statue di Norman e sara’ senz’altro una grande esperienza per me. Tra l’altro, visto che ora in Inghilterra ci vivo e sono anche sposato a una inglese, da un punto di vista squisitamente personale ho delle ragioni in piu’ per venire;) Scrivero’ molto presto a Nicolas, mentre, nel frattempo, grazie ad Augusto, ho avuto modo di mettermi in contatto con Aldo Magagnino, che spero di poter presto conoscere e di cui ho appena proposto il link al suo bellissimo ricordo di Norman e Patience.
Abele
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