
MARINELLA, MA CHI TE LO FA FARE?
“Datemi del sugo
(Che cosa ne vuoi fare?)
Mi voglio sbrodolare
(Che cosa vuoi creare?)
Vi voglio anche stupire
Mi voglio proprio rovinare
Voglio scrivere sui muri
Degli slogan culinari:
“Mettete dei cavolfiori nei vostri cannoni”
“La rivoluzione si fa col minestrone”
“Lotta dura senza la verdura”
“Il potere alla Buitoni”
“Più sale e meno pepe”
“Più ragù meno TV”
(Marinella – Datemi del sugo)
Marinella, non quella cantata da Fabrizio De Andrè nella sua famosa hit, ma la cantante pop trash di Ma chi te lo fa fare: chi se la ricorda? Credo ben pochi. Certamente non la ricordavo io, se non mi fossi imbattuto in questo simpatico e stralunato folletto navigando in rete. Fra la fine degli Anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, infilò due non memorabili partecipazioni al Festival di Sanremo con Autunno, cadono le Pagine Gialle, nel 1979, e Ma lascia stare, ma chi te lo fa fare, nel 1981. Quest’ultima canzone diede il titolo al suo primo e unico album, una delle pietre miliari della musica trash italiana. E tuttavia, quando uscì, Marinella non fu del tutto disprezzata dalla critica ma anzi il suo pop demenziale venne accostato a quello dei più famosi colleghi Pandemonium. Marinella si prendeva poco sul serio, sul palco di Sanremo si presentò con quattro figuranti che ballavano, con una scopa di saggina, con l’aria di quella che è capitata lì per caso, e affrontando nelle sue canzoni temi anche seri con un imprinting disimpegnato, quasi comico. Le canzoni contenute nel suo ellepi, come si definivano allora i dischi a 33 giri (dall’abbreviazione di long playng) erano: Ma chi te lo fa fare; Su con la vita; Ciao, come spero di te; Maria, butta la pasta; Ma l’amore mio non muore; Autunno, cadono le Pagine Gialle; Depressive Rock; Datemi del sugo; Mi è scaduto il libretto della Mutua; Cosa avete da ridere. C’è da ridere, o meglio da sorridere, ad ascoltare oggi quelle canzoni a metà strada fra lo Zecchino d’oro e gli Skiantos.
Canticchiava con una voce simile a quella di Sbirulino-Sandra Mondaini che in quegli anni mieteva un successo ben più consistente presso il pubblico infantile. In effetti, al pubblico dei bambini una strizzata d’occhio non fu disdegnata da Marinella, la cantante, non la cantata. Era il pubblico dei bambini che in quegli anni di reflusso, di sbraco musicale, poteva assicurare i più lauti profitti, come proprio i Pandemonium, fra i tanti altri, sapevano bene, avendo inciso le fortunate sigle di Mazinga Z, Astroganga, La piccola Lulù. In rete si favoleggia che Marinella, non quella bella, si trovò sul punto di firmare un contratto con la nascente Fininvest per una serie di sigle di cartoni animati che sarebbero stati trasmessi da Italia Uno, ma perdette l’occasione, invece acciuffata da Cristina D’Avena. Sicuramente il 7/30 di Marinella sarebbe lievitato ma l’artista avrebbe perso quella funambolica follia che invece conservò intatta. Nel 1985 incide Colazione d’amore. Il ruolo di show girl le stava troppo stretto e quello della cantante pop melodica troppo largo. Come l’asino di Buridano, nell’indecisione, Marinella, la cantante non l’annegata, si ritirò dalla scena musicale che non l’aveva meritata. E pensare che la donna è stata la moglie di Roberto Ferri (1947-2022), un raffinato cantautore fra i più colti del panorama italiano che collaborò lungamente con Fabrizio De Andrè. Marinella però perse l’occasione di abbracciare la canzone impegnata, mettendosi all’ombra del marito. Ma forse, più che perdere le occasioni, soggiacendo alla avversa fortuna, Marinella di diventare una Cristina D’Avena o una Fiorella Mannoia, non aveva proprio voglia né l’ispirazione. Quando queste occasioni le si sono presentate, davanti a tutte le pressioni dei discografici, deve aver detto a sé stessa, come nella sua più nota canzone: Ma lascia stare, ma chi te lo fa fare?. Marinella è nella top ten di una speciale categoria di meteore, quelle del “nun me coddha”, dialetto salentino per “non ho voglia di fare un c…”.
PAOLO VINCENTI