Iolanda La Carrubba: Raccolta indifferenziata – Nota di Vanni Pierini

Fin dal titolo Iolanda La Carrubba solleva attese inconsuete, lasciando intravvedere una vocazione linguistica polisemica, usando una quantità assai variegata di tasti: l’ironia, l’autoironia, la sprezzatura come corazza preventiva, l’azione dello scrivere per consapevole gioco, che ha tuttavia come posta nientemeno che la vita è ’il Tutto’. Dalla immondizia al caos cosmico, la gestazione esistenziale e la postura cripto-titanica di Iolanda La Carrubba fa capire, a chi abbia l’orecchio giusto, che la sua scommessa artistica è inscindibile dal suo temperamento etico.

Tutti (o quasi) i testi poetici, che il volume inanella, in una scansione temporale legata ai giorni di una settimana tipo, ri-velano, questa scommessa più alta, ma vinta, cioè la costruzione di uno stile proprio, che attinge da un lato alla biografia mentale ed esistenziale dell’autrice, (mai mitizzata, nuda e realista); e, dall’altro, alla ricerca dell’acerbo Vero leopardiano.

E lo fa senza mai ‘descrivere’, (peccato mortale della poesia di maniera) senza abbellimenti e barocchismi, ma per necessità e onestà intellettuale. Vasto orizzonte, da far tremare i polsi.

Ma la poesia della La Carrubba vive interamente nella poesia italiana del Novecento, di tutto il Novecento, diluendone il lascito e gli aspri contenziosi che ne hanno costituito l’anima al tempo stesso tradizionale (lirico-classica) e sperimentale. I nomi che vengono in mente a mo’ di segnaletica a beneficio del futuro lettore, non sono pochi, in parte collidono addirittura, ma l’impavida onestà dell’autrice fa il miracolo di saltare gli steccati e passeggiare senza bisogno di calpestare le aiuole o di ergersi a novella Novella.

Ho avvertito echi (o meglio frequentazioni) di Marino Moretti, Sergio Corazzini, Annie Vivanti, Ada Negri, Sibilla Aléramo, Amalia Guglielminetti; ma anche di Aldo Palazzeschi, dei ‘collaudi futuristi’ di  FilippoTommaso Marinetti e della compagnia dei poeti a cavallo tra crepuscolarismo di fine secolo diciannovesimo e Nuove Avanguardie, alla ricerca della chiave magica per la rifondazione della poesia del nuovo secolo, come Nino Oxilia, morto troppo giovane, o la fantasia ‘scientifico-avanguardista’ della bottega dei  F.lli Bragaglia, di D’Annunzio e del Cinema.

Ma la suggestione maggiore, nella rilettura della raccolta, mi è venuta evocando il nome che presiede alla poesia del Novecento e che a prima vista è del tutto arbitrario tirare fuori. Alludo proprio a Eugenio Montale. Montale, già attivo nei primi anni venti del secolo, dalla fine della seconda guerra mondiale cambiò radicalmente stile: da classicista  realista crepuscolare e neoermetico, rispettoso del verso e della rima, a ‘moderno’; diffidente ma aperto alle avanguardie internazionali, al progressivo abbandono del verso per una ‘poesia di prosa’ postsimbolista e ermetica che supera i modelli leopardiani e pascoliani e rivolge l’attenzione ad altri lidi poetici (da Elliot a Saba, ecc., diffidando di altre avanguardie che rimettevano in corsa il realismo ‘politico’ in Italia e non solo).

Ebbene nei versi dell’autrice di “Raccolta indifferenziata” senza voler pretendere troppo, credo che il magistero di Montale, del ‘secondo’ Montale, abbia probabilmente avuto un ruolo non marginale nelle letture di formazione dell’autrice.

Ciò detto, mi resta solo, in ultima istanza, di esprimere il mio personale e opinabilissimo giudizio: questa raccolta l’ho letta volentieri e mi è piaciuta, catturandomi in progressione.  Si distingue dalla cosiddetta poesia femminile, ammesso e non concesso che questa definizione significhi qualcosa, e fonde un biografismo del sentimento, della ragione, del quotidiano insieme con gli interrogativi e le confessioni esistenziali che fanno di una creatura anche una persona. Iolanda La Carrubba possiede uno stile personale impavido e diretto, molti pensieri e dubbi da condividere, l’abilità di renderli quasi sempre espressivi, e l’urgenza intelligente, mai arrogante, di dirli in versi. In più ha spirito da vendere.

Ode alla casa la domenica mattina

Nella mia casa
la luce della domenica mattina
si mescolava mite
con l’odore del caffè.
Sul tavolo rotondo
due maritozzi con la panna
poi quando le briciole finivano,
tutto tornava esattamente
come fosse un altro lunedì.
Sugli scaffali a destra
della vecchia crepa di assestamento,
Garcia Lorca e Pirandello, rilegati in oro
guardavano la finestra del soggiorno.
Qualche volta, mi sedevo in silenzio
aspettando quell’istante esatto
di un sogno totalmente inatteso.
Il collage di lontani ricordi
con i western, Bulli e Pupe
i fichi neri di settembre,
i miei genitori rivestiti di colori
che diventavano giochi d’ombre
riposti con cura nell’armadio grande
dietro l’unica pelliccia di mia nonna,
tornavano sempre alla mente assonnata.
In quelle domeniche lontane
con amici di passaggio,
passatempi frastornanti,
i funghi ripieni nel forno bollente,
pareva di trovarsi dentro un film.
Soltanto verso le sette e mezza di sera,
quando l’ombra del geranio si ritirava
e il gatto rincasava ancora caldo di sole,
capivo che era tutto vero
e che a quel punto bisognava
semplicemente passare la scopa.

Le pupille del gatto

Di notte,
quando tutto dorme
danza,
tra il silenzio delle cose
l’ombra del gatto vispo.
In certe ore estreme,
le ore di mondi lontani e rari
s’impadronisce il gatto
di quel silenzio soffice
sfiorando l’ingresso sacro
di misteriose porte socchiuse.
Ecco il gatto solo,
seduto all’ingresso di un segreto,
ascolta e parla a quella solitudine
la stessa che precede
l’entrata del tramonto.
Fermo è il riflesso di galassie
nell’incantevole regno
di pupille nere,
mentre il gatto attende
il sorgere del sole
per riposare caldo,
in braccio al suo pensare


Foto

Agitare prima dell’uso
causa ed effetto,
a distanza di sicurezza
mantenere perplessità.
Mostrare i denti il tempo
che basta a quel click,
di invadere lo spazio aereo
del pensiero fisso a quell’unica
dolce-goccia di sudore,
che dalla punta del naso
scivola lenta e libera
su un corpo non suo,
ma che vorrebbe esserlo.
Prima che l’identità
sia solo digitale, i codici
d’accesso clonati e le uscite
d’emergenza bloccate,
stampare qualche copia
da mostrare in caso di necessità.

2 risposte a "Iolanda La Carrubba: Raccolta indifferenziata – Nota di Vanni Pierini"

  1. sa attendere e fissare “quell’istante esatto”, lo scanner poetico dell’io/landa.
    notevolissimo, almeno in queste 3 poesie, lo scatto (guizzo) fotografico dell’obiettivo centrato con naturalezza, a fine lirica.
    vediamo… trovato: tipo l’effetto “Vertigo” di Hitchcock (zoom avanti e carrellata indietro) con annesso effetto distorsivo/ritorsivo a pendolo tra realtà oggettiva e metabolismo soggettivo.
    l’inquadratura è mossa (viva), il moto è circolare, e il gioco è quello di planare descrivendo strette spire sull’essenza-assenza delle cose, siano esse domeniche mattina, gatti di notte o identità fotografiche, per farne *pasto nudo*. a ruota, dalla breccia aperta nel cervello del nano, fanno irruzione lo Scorsese di Taxi Drver, il Kassovitz di l’Odio, nonché lo Spielberg de La Guerra dei Mondi: tutte sequenze in cui la geometria scenica sfrutta l’occhio della telecamera per *costruire* atmosfera (presentimento, inquietudine, angoscia o stupore, ma soprattutto, superamento del confine fisico del campo visivo *fisiologico* dell’occhio umano). e si va oltre.
    oltre il finire delle briciole.
    oltre il film dentro il quale “pareva di trovarsi”.
    senza l’artefazione di stucchevoli effetti aulici speciali, senza lo strazio del “frigno poetico”, ma con tutta la consapevolezza che ci sia dell’altro da vedere (deep focus + soft focus), l’io/landa addita un punto di flesso, una retrospezione (più che un’introspezione), capace di mettere in luce l’impensato quotidiano e di accordargli uno spazio di risalita dall’inconscio (a ritroso).
    una via di salvezza da imboccare “in caso di necessità”, contro l’ininfluenza.
    ecco, l’io/landa poetica è una distesa colta nell’atto di essere.
    punto.
    di partenza.
    un territorio tutto da esplorare…
    e complimenti anche alle parole di Vanni Pierini, mai letto né sentito prima, almeno sotto tale nome, che – rara avis – parla di poesia e sa di cosa parla.
    : ))

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  2. Buona poesia di una lingua limpida, di una malinconia ironica e di un’affollata solitudine.
    Poi un tocco appena di quella metafisicità che solo un gatto (“in braccio al suo pensare”) possiede,
    e che tiene insieme “il collage dei ricordi”, sequenze di correlati oggettivi che scorrono come fotogrammi prima della tabula rasa del passaggio della scopa che li azzera, e li fa ripartire in una sequenza nuova.

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