Augusto Benemeglio: Don Tonino Bello grande anima del Salento

Don Tonino Bello grande anima del Salento

di Augusto Benemeglio

Un balletto di ceri

Vengono ormai da tutte le parti del mondo, in pellegrinaggio, a pregare sulla tomba di don Tonino Bello, il fratello vescovo, il più grande e luminoso uomo nato nel Salento, il santo più amato e più importante dell’ultimo scorcio del ventesimo secolo. E’ venuto anche Papa Francesco a pregare sulla sua tomba, il 20 aprile 2018, per i venticinque anni dalla sua morte. E tutta la pianura salentina si è avvitata e svitata al perno del suo affanno quotidiano, sui versanti di Alessano, la cittadina natia dell’apostolo della nuova chiesa del grembiule, del poeta dal nuovo sguardo, dello scopritore di stelle sulla terra. Era tutto il vecchio, profondo, oscuro Salento che saliva dal petto delle donne come un sospiro immenso, un afflato universale, una voce che trema, una marea che straripa, un tonfo di tibie, un balletto di ceri nell’urto dei lucchetti e dei gomiti della sera; era una fiamma votiva che non si squaglia. – “O mio buon Tonino , – mormoravano le donne più anziane,-  “che ritorni odoroso/ come le rose di maggio,/ e che m’ascolti come un tempo, /ovunque rinasca la luce del tuo sguardo/ il tuo bel viso/ e la tua voce di profeta del mondo./ Andavamo verso oriente/ a inseguire le stelle/ , a pregare tutti insieme,/sulle ossa a cielo aperto/ degli ottocento martiri di Otranto,/ o lungo le riserve di caccia degli Alimini / seguendo il volo delle rondini/ che a sera/ stralunavano nell’aria azzurra,/ prima di svanire /,o fra le lucciole vaganti/ del pensiero che illuminavano/ le siepi delle nostre contrade/ , dove risorgevano canti e inni al Signore dalle ceneri./ Ora ci sono le moltitudini/ che vengono qui/ con le mappe / seguendo le tue tracce, / i tuoi passi, i sospiri/ di fanciullo povero/ calpestando le tue / stesse zolle/ ormai nascoste dal cemento,/ per giungere  fino alla tua tomba/giardino di pietra viva,/  di fiori e fuoco,/ d’ulivi e croci/ e il profumo d’incenso/ del tuo santo spirito/ nell’aria cilestrina.

Papa Francesco

Il vecchio pontefice della Terra del Fuoco, in ginocchio, piange sulla tua tomba, caro fratello vescovo:  “Se tu sapessi che questo enorme singhiozzo che stringi fra le braccia d’aria, che questa lacrima d’argento che asciughi baciandola, vengono da te, sono te, dolore tuo mutato in lacrime di speranza e di grazia, singhiozzi miei che aprono il cielo di nuovi cieli! E’ stato un momento d’estasi collettiva, c’era tutto il Salento, quella ” terra-finestra del sud dell’Italia che si spalanca sui tanti sud del mondo”. E poi c’era una stola e un grembiule, realizzati dalle donne di Alessano, un omaggio al papa, alla chiesa del grembiule che è a servizio dell’umanità. “Una chiesa” – ha detto il pontefice – “per il mondo, non una chiesa mondana, ma per il mondo, come l’aveva anticipata e testimoniata sulla sua viva carne don Tonino, nel corso di tutta la sua vita”. Un mazzo di fiori bianchi e gialli sulla tomba, purezza e passione, che fanno un quadro di nuova speranza in quel grande silenzio della luce e del sapere, in quella desolazione di tutti i giorni in cui non hai vicino nessuno, se non il dolore altrui, la povertà, l’umiliazione della gente. Di chi è solo con la sua pena, e vuole consolare il gran dolore del mondo, che è anch’esso tutto suo. “Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano, sentiamo il suo invito pressante a vivere il vangelo senza sconti…Che il Mediterraneo sia un’arca di pace”, come scriveva lui più di trent’anni fa. ” Oggi la nostra preghiera, il nostro bacio su questo letto di pietra, il suo letto santo, stanno nella fede soltanto, e nell’amore divino. “

La grande anima

Don Tonino era nato ad Alessano nel 1936, lì aveva vissuto gran parte della sua vita e lì era stato sepolto , 56 anni dopo, in quella sua piccola patria dove si raccolgono tutte le ansie le pene le ingiustizie le umiliazioni le sconfitte le macerazioni le disperazioni, dove tutte le passioni della terra si uniscono per far trionfare la giustizia la pace la solidarietà il bene comune e diventano carezza di voce tenerezza rinascita.  Lui solo era il vero grande cuore la grande anima la grande speranza e da lui bisognava iniziare ogni progetto ogni costruzione affinché il Salento diventasse davvero quell’ arco di pace e di solidarietà di cui aveva sempre parlato.  Dai numeri alterni dalla danza perenne di nascite e morti da celesti città di sabbia o infernali città di fuoco da imperio e servitù da inedia e opulenza da grazia e venustà da asprezza e calma dalle dominazioni di secoli su una terra che vomita morti. Dal profondo Salento, quello del Capo, a poche miglia da Leuca, “finibus terrae”, era nato lui, terzo figlio di una famiglia poverissima. E lui era miele di miele, sostanza di sostanza, essenza di essenza, l’amore che aiuta a vivere e a sperare, ma anche un prigioniero nella sfera delle nostre piccolezze abitudini indifferenze grigiore pavidità. Era venuto a scuotere, a far crollare le nostre sicurezze, le nostre certezze con le parole del Vangelo, parole che fanno sempre male per chi non conosce l’umiltà di cuore. Tra fuori e dentro, tra l’altro e noi, tra l’istinto animale  e il collegamento divino, s’infiltrava lui come una passione senza limiti, senza  confini, senza spazi, e aveva scoperto quali sono le stelle sulla terra : i giovani smarriti senz’arte né parte, i poveri i diseredati, i drop out, gli alcolisti,  le prostitute, i tossicodipendenti, gli immigrati,  gli ultimi della terra che andava in giro a cercare e portare con la sua scassatissima cinquecento al Vescovado . E tutto ciò veniva aspramente criticato avversato combattuto dagli altri dai potenti dai benpensanti dalle istituzioni e dai suoi stessi confratelli. Lui era l’altrove il profeta della chiesa del grembiule l’uomo tutto evangelico il pastore errante il testimone della gioia, il grande santo e poeta dello spirito cristiano,  che manifestava la “grande passione per l’uomo” non sempre condivisa dalla sua amatissima Chiesa.

La chiesa della buona sistemazione

Scrive don Tonino nei suoi libri, che oggi vanno a ruba, in tutte le librerie paoline, che  spesso la Chiesa s’attardava all’interno delle sue tende, dove non giungeva il grido dei poveri, o si manteneva prudenzialmente al coperto, andando a braccetto con i primi piuttosto che gli ultimi, sedotta dalle sirene della politica o dalle manovre di accaparramento dei potenti. La Chiesa anziché mettersi in cammino, cercava una buona sistemazione, si trincerava dietro le sue apparenti sicurezze e non aveva il coraggio di uscire dai propri accampamenti, di schierarsi apertamente con gli ultimi. La Chiesa era spesso pavidamente neutrale, o addirittura sorda e indifferente di fronte alle ingiustizie e a chi le compie. Gli unici che continuarono ad apprezzarlo, ad ammirarlo, ad amarlo incondizionatamente furono quei pochi preti impegnati, sensibili, intelligenti e coraggiosi come  lui, in specie Turoldo (un poeta) e Riboldi (un guerriero di Cristo), preti disposti a tutto pur di difendere i deboli, i poveri, gli ultimi, – tutta quella fiumana di gente che era stata conquistata da Tonino, dai suoi occhi buoni chiari trasparenti, dal suo volto luminoso sempre proteso verso l’interlocutore, dalla sue parole di rara chiarezza bellezza e semplicità che rivelavano la presenza di un uomo eccezionale, di un profeta, di un grande santo.

Padre Nostro

“Io dico il Padre Nostro e dicendo il Padre Nostro voglio dire tutta la mia libertà”. Tonino lo gridava il Padre Nostro e si commuoveva ed era ebbro di libertà. Lui ne aveva, -e di grande, immenso, infinito,-  di coraggio. Era uno di voi, popolo di formiche, gente umile laboriosa e fiera, ed è ancora in mezzo a voi, sta qui dove il dolore per secoli e secoli è stato una lunga nottata che non passava mai, una stagione delle piogge senza fine e scorreva, continuamente, senza interruzione, come oggi scorre in tutte le popolazioni del terzo quarto o quinto mondo, sta qui per ascoltare le vostre richieste, sorreggere la vostra fede che vacilla. “Io sono venuto nel mondo con la mia anima nuda a portare lo spirito e il fuoco, per volontà di Dio. Non fate che la mia opera ricada su me medesimo  e diventi vaniloquio, o polvere che il vento disperde”.


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