NorMarilyn: “E se le cose, non fossero andate esattamente così?”
di Iolanda La Carrubba
Immediatamente lo spettatore viene catapultato in un altro tempo, quello parallelo, in cui Norma-Marilyn, sono sopravvissute a quel presupposto suicidio tanto, troppo famoso. Fin da subito si entra nell’intimità di NorMarilyn, nella sua stanza fatta di ricordi, incubi, regali ricevuti e quelli ancora da elargire a quei fantasmi – spettri che entrano ed escono a loro piacimento, nella mente turbata, turbolenta e geniale della dolce, ragazza. Non c’è privacy dunque in questo esistente, mai quel momento di sereno stare nell’Io fragile.
Il tutto viene rappresentato in questa pièce vertiginosa con coraggio, divenendo indimenticabile. Francesca Stajano con incredibile padronanza del Mestiere del Teatro, di quel teatro Alto, colto al ricordo intelligente anche dell’avanspettacolo, riesce a trasformarsi andando in sottrazione, togliendo quel Sé ingombrante e restituendolo al suo pubblico con elegante poesia. Divertente, emozionante, sconcertante la rosa di emozioni che investe il fruitore con un incantevole procedere verso un racconto visionario, onirico, ammaliatore.
Foto, richieste d’attenzione, paura dell’ignoto, tutto l’insieme dei turbamenti di questa fanciulla vengono via via descritti in un vortice di malinconiche riflessioni e curiosi sipari, fatti di Gag effervescenti che rendendo l’intero procedere empatico. Quegli angoli di labile serenità seppur momentanei, rimangono impressi nella mente grazie alla maestria di Francesca che oltre ad interpretare con infinita eleganza i panni delle due, canta. La sua voce risuona morbida, calda, materna mai madre, figlia mai figlia, risuona soffice e soffusa nella sofferenza di dover raccontare quanto NorMarylin, hanno dovuto lavorare e lottare per mascherare la loro fragilità.
Accanto a Francesca Stajano Sasson, Roberta Bobbi dall’eccellenti doti di mimesi, si trova nei panni della giornalista arcigna, della madre-morte, della bambina Norma che spera, desidera, sogna, grida il bisogno di avere accanto suo padre. Speranza, mimo, spettro, Padre-morte interpretato con finezza da Nino Mallia.
Tra il pubblico, Silvio Raffo estasiato dall’intero spettacolo che ricorda: “Marilyn scriveva anche delle stupende poesie”.
Come cantava Mimmo Amerelli negli anni ’90 “alla console”, Raffaello Sasson che ha regalato un parco luci coinvolgente e pieno di sorprese.
Ma qual è la peculiarità dello spettacolo Norma Jeane Baker Mortenson ovvero Marilyn Monroe? Aspettiamo colmi di domande, io, Silvio Raffo e Giorgio Galli. Aspettiamo che gli attori ci raggiungano per il brindisi della prima e qui la sorpresa. Francesca che oltre ad essere la splendida attrice di questo lavoro imperdibile, è regista e ideatrice e ci rivela, dopo l’avvenuto brindisi che lo spettacolo non ha una sceneggiatura: “è tutto sull’impronta” dice sorridente “anche l’imprevisto è importante, infatti non doveva partire in quel momento la macchina del fumo, ma ne ho approfittato per esclamare, si è bruciato il tacchino!”, ridiamo.
Nelle note di regia si legge: “Come tutti i miei spettacoli, di cui amo curare regia, scenografia e costumi, non esiste un vero e proprio testo scritto, questo per dare modo a tutti noi in scena e al nostro pubblico, di toccare quanto più possibile la verità del personaggio seguendo la mia ideazione dello spettacolo, nulla è improvvisato, perché tutto è già costruito in prova, ma nulla è sempre uguale, questo perché nei miei spettacoli cerco di trovare sempre in scena un presente teatrale che , a mio avviso, non può essere conosciuto prima, un po’ come è la vita, dove non possiamo mai fare dei programmi perché in grado di sorprenderci sempre.”
Prima di salutare la mia adorata Francesca, le ho chiesto di mandarmi un bacio da parte di Marilyn. Lei con incredibile intesa si è voltata verso di me, adoperando quella lieve postura da femme fatale, tipica della NorMarilyn in abito bianco, e mi ha detto gentile: “Un bacio dalla tua Marilyn”.
Uno spettacolo cangiante, da vedere e rivedere!
Marilyn in poesia
di Giorgio Galli
“È un bene che mi abbiano detto
cos’è la luna quando ero bambina.”
Parlare di Marilyn Monroe significa entrare in qualcosa di splendido e complicato, meraviglioso e devastante. Norma Jeane Baker Mortenson ovvero Marilyn Monroe, ultimo spettacolo di Francesca Stajano, mette benissimo in luce tutto questo, e lo fa perché non si ferma alla verità biografica, ma trasporta la sua vicenda nell’invenzione poetica: c’è una Marilyn ancora viva nel 1980, chiamata da Polanski per un film che dovrebbe rilanciare la sua carriera, ma Marilyn, la magnifica Marilyn, non riesce a imparare la parte.
Episodi della sua vita reale, come l’abbandono del padre e le vessazioni di una madre psicopatica, vengono rivissuti in un clima tra il poetico e l’onirico, e quanto è straziante la scena in cui la Marilyn bambina e quella adulta si confrontano sulla mancanza della sua figura, la prima sognante e fiduciosa in questo padre che non c’è ma c’è nei sogni, l’altra delusa e disincantata, gonfia di rabbia ma non d’odio!
Francesca Stajano fa da mattatrice, alternando il registro giocoso a quello drammatico, in una continua rivisitazione che, reinventando il personaggio di una donna fra le più intelligenti, colte e tormentate del Novecento, icona sexy ma anche intellettuale raffinata, poetessa –pochi lo sanno, ma è stata anche autrice di poesie- le ridà giustizia. Ha scritto Elisa Gonzalez: “Marilyn aveva mollato le scuole all’epoca del primo matrimonio, e a parte un corso di letteratura a Ucla, non ha avuto un’istruzione profonda, formale. Era un’autodidatta impegnata, disordinata: in una libreria di Los Angeles, defunta da tempo, acquistava i libri che le interessavano. Aveva una passione per le Lettere a un giovane poeta di Rilke. Arthur Miller, il suo terzo marito, ha detto che Marilyn non ha mai finito di leggere un libro, ‘tranne Chéri di Colette e alcuni suoi racconti’. Altri lo contraddicono. Amava I fratelli Karamazov: avrebbe voluto interpretare Grušen’ka. La sua biblioteca custodiva oltre quattrocento libri, tra cui le poesie di D.H. Lawrence, quelle di Emily Dickinson, i versi del poeta cinese Yuan Mei, un’antologia di poesie africane”.
Pochi sanno che la voce suadente di Marilyn era in realtà un espediente per superare la balbuzie di cui soffriva, e anche questo c’è nello spettacolo. Francesca Stajano, nel ricreare una Marilyn fantastica, ricrea la psicologia di quella vera. Così accade che la sua figura trovi pace solo nel sidereo chiarore della poesia. Chi volesse documentarsi sui fatti storici dovrà fare solo una breve ricerca; ma mi piace pensare che alla fine troverà la vera Marilyn viva come una creatura di fantasia, e la verità storica ricca come una leggenda.
Bravissimi gli attori che fanno da contorno a questa esplorazione surreale di una psiche realmente scissa e divisa. Già il titolo, mettendo a confronto nome di battesimo e nome d’arte, si pone in continuità con Blonde, il film tratto dal folle romanzo di Margaret Attwood sulla vita della diva: lei parlava in terza persona, Marilyn era una figura dell’immaginario, non lei, non la donna: Marilyn era qualcosa che non le apparteneva. E vien da pensare che il modo migliore di parlar di lei, di scrivere la biografia di lei, sia proprio quello fantastico. Sensualità e dolore, gioco e pena, realtà e invenzione, tutto questo c’è nello spettacolo di Francesca Stajano e c’è ancora di più nel suo corpo, che ha la levità di una fantasia e la consistenza di un dolore. C’è nella sua voce trasognata, nella scenografia di uno spettacolo che dentro una stanza racchiude un’esistenza intera e sogni, sogni a getto continuo, che si generano l’uno dall’altro: forse l’intera esistenza della diva è stata un sogno anch’essa, oppure un incubo, di quelli che non si presentano come tali, che non battono colpi sulla grancassa dell’orrore, ma che vi ci scivolano, come per una svista. Per rendere appieno questa figura imponente e sfuggente, lo spettacolo ha un testo cangiante, non ha un copione, le parole cambiano di sera in sera, in un teatro di continua reinvenzione ma non d’improvvisazione –il livello professionale dimostrato dagli interpreti è altissimo- che prende le mosse dalla “scrittura di scena” di Carmelo Bene per farne qualcosa di ancor più impalpabile. E giocoso. Perché anche la Marilyn di Francesca Stajano, come Carmelo Bene, potrebbe dire: io non scherzo, io gioco, e il gioco è una cosa serissima.
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