Iolanda La Carrubba – Raccolta indifferenziata – Nota di lettura Giorgio Galli

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nota di lettura  Giorgio Galli

 


2 risposte a "Iolanda La Carrubba – Raccolta indifferenziata – Nota di lettura Giorgio Galli"

  1. Il profondo disincanto verso il mondo, la coscienza delle nostre radici nel nulla, sono espresse in queste poesie con una certa forza, come di un Leopardi ma più felice.

    Dall’interno più riposto attraversando gli strati geologici del dolore personale e di quello cosmico sgorga il flusso di oggetti e di situazioni di questa “raccolta indifferenziata” che si riversano e inondano la superficie.

    Intendo la “raccolta indifferenziata” non come un insieme di cose da buttare nella propria discarica personale, ma al contrario come una “collezione atematica” di illusioni da conservare (quelle del Leopardi) e che acquistano corpo nell’arte e nella quotidianità consentendo comunque di gustare la bellezza della vita.

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  2. Iolanda La Carrubba non vincerà il premio Pulitzer come la Glück, ma il premio maloser non glielo toglie nessuno, ecco!

    nella prima lirica si cade a precipizio (ine-vitabilmente) assieme al verso-tempo breve, mimando il realizzarsi d’una profezia. ed in effetti, una mia zia che era profe al liceo classico, così m’ammoniva: “nano, rifletti sulla dis/soluzione dell’io e sulla sua persistenza nel noi!”. sì sì, proprio così. e d’altro canto, quest’identità cui ostinatamente ci aggrappiamo, non è forse memoria (“di me diranno“) e materia (“coriandoli, farina, pagine / vino e un pizzico di sale“)? chi può costruire una propria identità se non ha memoria? vieppiù, chi può costruire una propria identità se la memoria stessa non può disporre d’un sistema nervoso autocosciente in grado di *memarla*?

    in sostanza, quindi, memoria e materia son la stessa cosa, ovvero (in altristessi termini) sono un’identità.

    : )

    e chi non capisce l’ironia sofferta e sostiene che non sia questa l’unica soluzione, che tra memoria e materia esista comunque uno scarto, un gap, uno iato, uno spazio (come tra un verso e l’altro), ebbene, volente o nolente, trova comunque quella soluzione di continuo.

    : )

    che dire ancora? beh, che in dinamica antitesi con Pascal, è assai probabile che “tutta la felicità dell’essere umano” stia nel saper restare con gli altri nel mondo, ovvero nel *restare* inteso come “persistenza dell’esistere”. in tal senso, originale e unico (nonché pure *indivisibile* per etimo) mi è parso il verso “atomo di loro“, un verso verso l’altro che è pure un verso dentro l’altro, ergo un verso elevato alla terza potenza: davvero potentissimo per slancio. altro che sconfitta! qui si sbanca il casinò…

    in proposito, nel commento precedente, Giancarlo accennava tra le righe alla dissoluzione e alla persistenza, tema che riecheggia poetiche leopardiane (mi sovviene il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia“). di più, mentre leggevo, mi è venuto in mente pure zio Ungaretti e mi son detto (non senza un moto di conforto): ecco ciò che ac/cade alle sue stanti foglie, giunto l’inverno!

    in proposito, nella filosofia buddista, si afferma l’importanza che il corpo sia consapevole di aver bisogno di “affetto” e del fatto di essere “fatto” (nonché di restare tale anche quando è putre_fatto). procedendo per dati di fatto, la chiosa più che naturale di quanto sopra è che “tutti siam drogati di parole”, ma si tratta d’una “droga psicoattiva” dagli effetti *benefici-terapeutici*, tipo l’ayahuasca sudamericana, che se l’ho scritta giusta è una bevanda tradizionale utilizzata dalle culture indigene e dai guaritori popolari dei bacini amazzonici e dell’Orinoco per cerimonie spirituali, divinazioni e per la cura di vari disturbi psicosomatici (nonché della fibromialgia), mentre se l’ho scritta sbagliata non esiste. e questo è quanto.

    ah, un’altra considerazione che m’è sorta mentre rileggevo: trovo abbastanza giusto che finché abitiamo in un corpo, ci tocchi pagare l’afflitto (questa me la segno: è bellina e Marcello Marchesi non ha fatto in tempo a pensarla prima di donarmi qualche suo atomo scritto).

    : )

    ok, ho delirato abbastanza. un grazie e un abbraccio fraterno alla carrubborante poesia di Iolanda La Carrubba, che m’ha scaldato cuore e motori, spingendomi a guidare i miei spensieri fino “alla Luna” (“o a un semaforo rosso“)… che in fondo cambia poco: è tutto un gioco di prospettive e di luci.

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