Giuseppe Semeraro: Requiem per gli ulivi

Giuseppe Semeraro, Requiem per gli ulivi, AnimaMundi, Otranto, 2023

Cosa c’è ai margini della cartolina? I versi che leggerete sono versi duri, autentici e ricchi di luce, versi che raccontano il Salento in tutta la sua forza e nelle sue ombre più spaventose, raccontano le lacrime di pietra, il sangue che pagano quelli che restano e che creano, questi sì, paesaggi di una geografia che muta come mutano i tempi. La xylella e i rifiuti tossici interrati, i liquami, la mafia, la storia e lo stato, l’incuria. Narrano, allo stesso tempo, i saperi antichi che fanno miracoli, il silenzio di chi sceglie la cura, puntano gli occhi verso il germoglio che non conosce la resa. Morte e vita insieme, in un’attrazione universale che rende gli ulivi simili a delle cattedrali, meravigliose e potenti cattedrali di pace. Da un po’ di tempo il Salento è un rovinoso disordine, un campo di battaglia su cui si perpetra la devastazione e l’incuria, lo scempio squallido delle omissioni. Allora, come dice Giuseppe nella sua poesia promozionale: “Venite in Salento/ venite a scoprire i suoi tesori/ le sue bellezze/ soprattutto le sue incantevoli rovine”. Un lavoro pieno di spunti di riflessione, quello di Giuseppe, e colmo di immagini, strade che disegnano mappe precise, croci, tante croci, tane per le volpi e canti di cicale, quelle cicale che non sento più da tempo. Da quanto tempo? Inizio a dimenticare. Dove vanno a finire le cicale quando viene abbattuto un albero? Dove se ne vanno i passeri, i pettirossi, le gazze e i tordi? Dove se ne vanno le formiche, tutte in fila, le ultime ad abbandonare il campo di battaglia? “Chissà dove dormono adesso/ gli occhi di quel cucciolo” mentre in lontananza il ruggito dei motori a scoppio avanza al suo destino.

Dalla prefazione di Cristina Carlà

Ci eravamo quasi abituati
con quei flaconi di morte
direttamente appesi ai rami d’ulivo.
Ci eravamo abituati
con quei cartelli nei campi:
“zona avvelenata”.
C’è voluto tempo
il veleno ha mantenuto le sue promesse.

Immagina un volo d’uccello
immaginati tordo
immagina le tue ali
immagina il tuo sguardo alto.
Adesso è da qui che vedi
adesso è da qui che in volo tremi.
Dimmi, cosa vedi?
La vedi la tua terra?
La vedi ancora la coperta degli ulivi?
Io vedo la tua terra, la nostra terra
la terra dei signori, la terra che non costa niente
la terra dei poveri cristi ottimisti fino all’ultimo
i fazzoletti di terra dei contadini ottantenni
vedo la terra di chi se n’è andato
vedo la terra di nessuno.
Da qui non ci sono padroni
non ci sono confini
si vede lo stesso precipizio
lo stesso campo di sterminio
solo terre coltivate a croci.
Da qui si vede un colore solo
sbiadito, spento
il colore a cui manca la vita
da qui in alto si sente il suono delle lame
si sentono i ruggiti degli scavatori
da qui si vede il fumo che sale
da qui si vede un grande lenzuolo bianco
calato con dolcezza sulla piatta terra dei morti.

Dicono che era uscito di notte
come un fantasma
senza farsi sentire.
Dicono che aveva la sua vecchia Ape
carica di benzina agricola.
Dicono che era disperato
che aveva dato lui stesso
fuoco ai suoi alberi
uno per uno.
Dicono che per giorni
se gli guardavi bene in fondo agli occhi
tra le lacrime, ci vedevi ancora le fiamme.

Bruciano lenti per giorni
consumati da un fuoco che scava,
picciole fiamme s’infilano
avvolgono i tronchi come tentacoli.
S’arrampica il martirio sull’anima
crepita con dolcezza il rosario
e arde dall’interno la brace cieca.
Il grido dell’albero sale fino all’ultimo ramo,
una lenta tortura che infuoca
strazia, graffia e si contorce,
ciò che resta è un cristo
dimenticato sulla croce,
un arto monco, un tizzone scuro
un dolore nero nell’azzurro del cielo,
resta a terra un vomito di cenere
resta l’anima mia
che brucia ancora più lenta
cercando parole a un’agonia
a un buco che non si può dire.

Giuseppe Semeraro è attore, regista e poeta. Ha lavorato come attore con Il teatro della Valdoca, con Danio Manfredini e con Alessandro Serra. Nel 2007 è tra i fondatori della compagnia Principio Attivo Teatro scrivendo numerosi e premiati spettacoli. Nel 2015 realizza lo spettacolo Digiunando davanti al mare, ispirato alla figura di Danilo Dolci. È autore di diversi libri di poesie tra cui, Cantica del Lupo (Besa, 2014), Due parole in croce (Il Raggio Verde, 2015), A cosa serve la poesia. Canti per la vita quotidiana (Sensibili alle foglie, 2016), da cui è tratto lo spettacolo con Gianluigi Gherzi. Nel 2019 ha pubblicato per Musicaos Edizioni, La manutenzione della solitudine. I suoi testi e le sue poesie sono parte fondamentale del suo lavoro attoriale in reading spettacoli ed eventi dedicati alla parola detta.

Il sito di Principio attivo teatro: https://www.principioattivoteatro.it/ .

La sua pagina fb: https://www.facebook.com/profile.php?id=100007290849075


Una risposta a "Giuseppe Semeraro: Requiem per gli ulivi"

  1. Guardare la propria terra a volo d’uccello, come un tordo, significa volerla avere tutta nel campo visivo, contemplarla come un Mandala. Significa anche mantenere una certa distanza che acuisce l’oggettività dello sguardo: il piano della terra si inclina in un precipizio di terre coltivate a croci. Una geografia che si fa storia, resistono i pochi campi degli ottantenni.

    Un paesaggio desolato che si aggiunge ai tanti altri luoghi del mondo, dove il lenzuolo bianco è sempre pronto ma speriamo che non si stenda.

    "Mi piace"

Lascia un commento