
La raccolta dal titolo “ARMIDIA MODONI ovvero LA VIOLA” è stata ispirata da una ricerca di Ida Magli contenuta nel libro “Viaggio intorno all’uomo bianco” (Ed. Rizzoli, 1986). La studiosa ha indagato i significati che si sono addensati intorno al colore viola, mettendo in evidenza, attraverso un’appassionante indagine etimologica e di costume, il collegamento tra il viola come colore e ciò che viene violato inteso come profanazione, violenza, stupro; tra la viola come fiore e la viola come strumento musicale. La scrittura che è stata costruita reinterpreta creativamente e liberamente quella ricerca antropologica.
Nota dell’autrice
Il corpo: glossario minimo
Il corpo è un intero
e l’anima una delle sue parti.
La voce può essere amputata
solo premendo la mano sulla gola
mentre l’acido è un diserbante
per ogni inafferrabile bellezza.
È mia la gamba sezionata
da un incrocio di mani.
Miei i capelli corvino
trasformati in reliquia.
Mi appartiene
anche l’indaco degli occhi
come farfalle che schiudono
le ali sul mio volto.
Carnemolle è il ventre
e l’altalena dei fianchi
lasciata in vita
per la vita di qualcun altro.
Io parto. Altrove dal mio corpo
altrove dalla morte
e da tutte le inarrestabili preghiere.
Vado dentro alle pietre
dentro al fuoco e fin dentro
ad ogni indistinto
groviglio di radice. Io vado
a interrogare le ossa lasciate
in prematura dissolvenza.
Raccoglierò nomi
dentro alle parole
come fa un oracolo inviolato
per riunire il senso
al suo talismano originario
perché il corpo è una parte
e il tutto è altrove.
*
Le hanno detto:
sei donna fai attenzione!
È per questo che non sa
se morire più di tanto
che non sia il togliere
alla vespa la puntura
alla ruggine il tetano
e il trombo al cuore.
Potrà solo morire
al suo torpore
così come ha vissuto
con le mani ancora intatte
nel prendere le cose
e i calli solo a dare a dismisura.
*
(Storia minima di una ragazza violata
e delle nuvole che l’hanno salvata)
C’è del magnetismo in questo vapore
che circonda gli oggetti.
C'è un oggetto in particolare che ammicca
imperlato di goccioline ed è il tostapane.
C’è un bianco diffuso in questa stanza della pioggia
e dovrò andar via prima che scoppi il temporale.
Prima che le sedie con un rombo di tuono
se ne salgano sopra il soffitto in un nero furore.
Mi metto giusto in un angolo per osservare gli eventi
poi mi rintano sotto il letto insieme al gatto Armeo.
Un ciclone inarrestabile ha invaso la casa.
Un domestico ciclone di acqua e pianto.
Ma le nuvole hanno questo di buono
che ti raccolgono e ti portano via.
Lontano dal comò, dall’armadio a tre ante
dal tavolo da cucina, dalle lenzuola, dalle pentole.
Lontano dal rombo furioso dell’uomo che spara
e agita muscoli e lingue di oscuro spavento.
Me ne andrò tenendo in braccio il gatto Armeo
su un piedistallo di nuvola, come fossi una santa.
Poi comparirò in una foto come sono le martiri
dal drappo rosso in un quadro del trecento.
Non mi vedranno più trasformata in sirena
o con gli occhi di gatto in una statua di pietra.
Non sono io la cariatide a sostenere balconi
né sarò più bestiario per il millennio futuro.
*
Il riso oggi non è stato cotto a puntino.
Lungo la strada è andata persa qualche goccia
dalla brocca dell’acqua sulla testa
e il bambino che è nato mi funesta
di un pianto inconsolabile.
Qualcuno - uno qualunque -
può dirmi come si fa a scrollarsi di dosso
la polvere del giorno, senza erigere muri
o colori di pelle o macelli per bestie
o recinti per alberi o miserabili scienze
e tutto il resto indomito di altre nevralgie?
*
Ti sei sdraiato in questa sera estrema
sul divano e ti fai morto ad ascoltare vicine
le voci delle fotografie antiche
e sul buffet quella di tua madre
che chiacchiera con l’orologio...
Te ne stai così in intimità
con una zuppa calda di biscotti
e latte fatto da una mucca dentro
al frigorifero in una scatola di cartone.
Ti sei perso qualcosa - questo pensi -
di cui senti la mancanza e chiedi
al silenzio che te ne dica il nome
perché fa male sopportare il dolore
di ciò che non si vede.
La Armidia Marilena di questo racconto poetico si propone quasi come accorata, schiva rilettura della condizione esistenziale, per cavarne assunti universali che, desunti con una densa ma celata profondità, pronunciati quasi con deferenza, si rivelano invece spietati e coinvolgenti nella realtà. È uno scavo impietoso quanto sobrio il suo. Le parole sfidano la fragilità della condizione espressiva per diventare armi con le quali affrontare la propria epifania.
Lo scavo intimo della femminilità, dell’essere donna, a partire dalla propria, presa in esame con discrezione, ripeto: quasi con distacco, come un racconto che scambia sistematicamente l’individuale con l’universale, ha la dimensione di una rivelazione. La descrizione discreta, a volte quasi asettica, come di un mondo intimo visto a distanza (“…La voce che mi precede non è la mia. / Giunge da lontano. Da una profondità / che mi reclama…”), fa di questa silloge di Marilena Cataldini un affresco pieno di vigore, di calore quanto più scevro di quella arroganza affermativa e revanscistica che spesso connota certa poesia femminile. Ed ha per questo un’efficacia apodittica. Ci mostra come la semplice, ma acuta lettura della quotidianità riveli da un lato la percezione che la donna ha dell’esistenza, del proprio io e del proprio ruolo (“Sono dovuta uscire dalla pozzanghera, / dall’abitudine del lamento; da un sottobosco / di complicate parole: il focolare, / il coperchio, il talamo, l’arcolaio, / il mestruo, il tradimento…” ), dall’altro l’ostilità spesso neppure razionalizzata del quotidiano esistenziale, a trazione eminentemente maschile, che è ancora strutturato su una dimensione pregiudiziale: “Santo Dio del quotidiano (…) non pensare che qui non sia eroico vivere / fra i lamenti dei vecchi e lo stridore di uccelli / e le borse della spesa che rincorrono il tempo / o il marito che poggia il verme sopra l’amo del sesso / mentre la lavatrice strizza didascalie di giorni / e ogni meccanica umana è un’equazione inerte / e il resto della vita accade per essere “quotidianamente”.”
Dalla postfazione di Silvano Trevisani

Marilena Cataldini è redattrice di riviste di letteratura e pensiero sociale come: Tempo di marea (Cenadi -CZ- 1991/97), L’incantiere (Lecce, 2010/15) e A Levante (Galatone -LE- 2008/18). Partecipa a mostre di poesia visiva e mail art. Coautrice dei testi tra cui Verso Sud – Salento d’acqua e di terra rossa, Ed. Anima Mundi, Galugnano/Lecce, 2008. É presente in varie pubblicazioni collettanee, di cui ricorda l’ultimo testo intitolato Epifanie della coscienza – Dissociazione e Creatività, Vincenzo Ampolo (a cura di), iQdB Ed. Lecce, 2022; Libro di poesia Il Forte Bionda, Spagine Ed., Lecce, 2020. Premio per poesia inedita Bologna in Lettere 2023. Suoi testi sono apparsi su antologie e riviste telematiche
Buone poesie. L’anima è una parte del corpo, il corpo a sua volta è solo una parte, il resto è altrove, fuori dal corpo c’è solo il mondo, e il mondo è fatto di sassi e di radici da districare e di oggetti, e ciascuno è in corrispondenza con una parola. Quando un ciclone butta all’aria il nostro mondo quotidiano riempiendolo di viola e di violenza, c’è solo la speranza che la fuga su una nuvola basti per togliersi di dosso la polvere del giorno.
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