Giuseppina Di Leo: Nessuna alba finge

Giuseppina Di Leo, NESSUNA ALBA FINGE, La Vita Felice, 2025

Un senso di desiderio intenso e profondo connota i versi di Giuseppina Di Leo in Nessuna alba finge. Desiderio di amore, ansia di vita a fronte del tempo scialbo della stasi, speranza – forse illusione – che l’uomo riscopra i segnacoli di un perduto senso di umanità, tornando quasi a una primigenia sintonica modalità di sentire il cosmo. Si tratta di una silloge interessante, dalla matrice dotta. Una meditazione pacata, ma non per questo meno intensa, ci conduce tra «ore d’ombra» e improvvise allegrie, nella consapevolezza che, se il ritmo tenebra/luce è connaturato all’esistere stesso, «nessuna alba finge», soprattutto se in qualche modo ci si sa abbandonare al suo ritmo dolce-amaro, schiudendo il corpo senziente alle sue offerte. Alle occasioni.

dalla prefazione di Gianni Antonio Palumbo

Il filo conduttore che unisce le tre sezioni è la parola amore, declinata nei suoi vari aspetti e sfaccettature, fino ad arrivare ai suoi estremi. La prima sezione, PAROLE D’AMORE A BASSA VOCE, si concentra in particolare sulle sensazioni del corpo, e faccio quindi ricorso a metafore e ad accostamenti sinestetici, utilizzando termini che si riferiscono, appunto, alle diverse percezioni sensoriali; la sezione AGNIZIONE tocca diversi argomenti legati al ricordo e al confronto con l’altro; nella terza sezione, MINE SULLE ROVINE, il significato della parola amore subisce un mutamento radicale nel passaggio dal confronto allo scontro con l’altro, fino a giungere alla guerra, a cui, purtroppo, assistiamo inorriditi. A tal proposito, è da sottolineare che il contrario dell’amore non è l’odio, bensì una ostinata, crudele indifferenza.

Giuseppina Di Leo


Tu che curi le ombre le ombre
nelle loro maschere ignare si cullano.
Nascono da te ad ogni passo per la via
dal ramo alla foglia al frutto
nelle stanze, su ogni muro
di ogni essere confermi l’esistenza
e di ciascun oggetto riveli la presenza.
Benché tu non sia del mondo
al mondo guardi.
Fino a quando
il velo della sera non cancella di te
con la luce, la tua cura.


Agnizione

C’è stato un tempo in cui calanchi erano le parole
scurità apicali infilzavano occhi, discendenti lame
bocche orribili. E di un dio non vidi mai la fine.
Mezza pagina era troppo, né parlarti
spostava lo sgomento dei tre sì e dei tre no.
Su quale fragile armonia s’incammina la rabbia
stesa in alto pressa un tavolo di accordi poche facce
si riconoscono tra gli estranei nel momento del saluto


Su materassi di paglia dormivo da bambina
accanto la voce amata. Su due piedi possibili
il tempo sosta in attesa fino all’ultimo
un piolo per volta, fino alla lunga stanza;
il pavimento in cemento lo scorgevi infine
proscenio della camera dalle due finestre.
E sulla scena: l’odore delle pesche sotto il letto.


Mi sto imbottendo di noia
ne faccio scorta contro la stanchezza del corpo,
fisica dei poveri. Adagiati sui marciapiedi
con quattro zampe insieme da sfamare
con altri occhi con cui guardare il via vai vai
e vai che passa senza posa. La sciarpa al collo
è un collare per stare fermi nel gran movimento;
è una palla bucata che tintinna, di poco, ma tintinna
nello sfarzo del prossimo Natale. La fine del mondo,
quando arriverà, ci coprirà tutti. E noi, infine nudi,
nella grande ciotola del mondo saremo il pasto.


Qui c’è un ordine voluto
di spontaneo
in questo angolo di giardino soltanto insetti molesti
i vermi della terra simili a minuscoli armadilli
pronti a chiudersi a palla al minimo tocco
e un cane zoppo, disteso accanto.
Manca pure il silenzio.
Vi sono variegati generi di silenzio
un po’ come i neri di un pittore
differenti sono i neri in poesia:
spaziano dal foglio nel tempo
il loro un apparente addio.
Così sarà al ritorno l’Itaca dello sguardo
il rosso divenuto maturo
con l’altro si ricongiungerà
nel nero atteso a lungo agognato il suo oro svelerà.
Nei silenzi diversi
di ritorno all’Itaca dell’abbraccio
il canto ammaliatore sfiderà le tempeste.
Con noi porteremo
la conoscenza degli anziani
il pudore dei savi, l’innocenza dei condannati
l’ambiguità dell’amore.
Tutto si placherà
nel verdetto di un sorriso iniziatico.
Sorride il cane zoppo.
Mostra occhi color nocciola.
Sdraiato, osserva.
Sorride. E non vuole andare via.


Giuseppina Di Leo. Laureata in Lettere Moderne, frutto della tesi di laurea è la pubblicazione biobibliografica Pompeo Sarnelli (1649-1730): tra edificazione religiosa e letteratura (2007). Ha pubblicato i seguenti libri di poesie: Dialogo a più voci (LibroitalianoWorld, 2009); Slowfeet. Percorsi dell’anima (Gelsorosso, 2010); Con l’inchiostro rosso (Sentieri Meri – diani Edizioni, 2012); la plaquette Il muro invisibile (LucaniArt, 2012); Navigo nelle parole (Libreria Editrice Urso, 2018). Poesie, racconti e varie recensioni sono ospitati su numerose riviste e antologie, su blog e siti dedicati alla poesia. Tra gli scritti, ricordiamo il saggio dedicato al poeta dialettale santarcangiolese Nino Pedretti, dal titolo: ‘Di voce in voce: la musa dialettale di Nino Pedretti’, apparso nel n. 20 del 2009 della rivista «Incroci. Semestrale di letteratura e altre scritture», diretta da Raffaele Nigro e Lino Angiuli. Lo stesso saggio, ma riveduto e ampliato, nel 2012 è stato poi pubblicato in Voci dal Novecento – volume 3, a cura di Ivan Pozzoni (Editore Limina Mentis, MB). Alcune poesie sono state musicate dal Maestro Giovanni Castro per la rassegna “Notti Sacre”, Bari, settembre 2015. In qualità di artista, ha partecipato a collettive di pittura.


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