Di Dolore Non Parlo
Di dolore non parlo.
Di dolore taccio.
Ché dovrei scucirmi labbra
ricamate di parole
negate.
Ché dovrei dire
di foto appese con spilli a palpebre
sempre aperte
affacciate su passati
e futuri incertamente uguali
e dei tre lampi di faro intermittenti
che mi ricordano eternamente
di non dormire.
Ché dovrei narrare
di strade percorse e molliche
seminate
a segnare ritorni
che mai torneranno
e di vetri sotto i piedi a sanguinare
e di narici confuse da odori iniettati
nell’anima a soffocare.
Ché dovrei scucirmi labbra
ricamate di baci
negati.
Di dolore taccio.
Di dolore non parlo.
Cuore di Ulisse in Donna
Legate strette le catene al sogno
e stabilita rotta al naufragare,
inchiodo falle aperte nella stiva
con assi di cartone.
Scambio la prua e la poppa al navigare
e colleziono gamberi a ritroso,
ché mai ho saputo io cosa pescare
dal tuo e dal mio mare.
Mi lego, infine, all’albero maestro,
l’orecchio volto alle sirene urlanti,
ché ad inseguir virtute e canoscenza
si affonda, sole ai fianchi.
Strappi
Sono veste dimessa
e lacerata ai fianchi,
m’appoggio ad un ricordo
curvo sugli anni stanchi.
Pieghe di labbra mordo,
orlo a un dolore sordo:
l’attesa d’esser smessa.
Gocce
Soltanto
quando di pianto non mi faccio specchio
non vedo
il volto opposto all’attimo felice
la goccia
che già si spacca ed era così piena
Adesso che ci tace il mare
Ed è singhiozzo adesso che ci tace
il mare. Noi sulle sponde, noi ancòra
nell’onda ferma e nel silenzio prima
di andare. Noi, ancòra lì ma soli,
tatuati i nostri segni sulla pelle
amara. E nell’attesa della goccia
sospesa, tacciono scoglio e cïelo
e l’aria freme di pioggia. È andare
la sola cosa che per noi sappiamo
fare. E sei di spalle ora ed io di spalle
e il mare muove la sua cresta e gonfia
di rabbia e di dolore e di rumore
l’onda. Tempesta è adesso che taciamo
il mare.
vendemmie
e mi ricordo c’era l’uva piena
quella che la vendemmi e poi la bevi
mosto
e caldo e risa ed api e anche paura
quella che non è mai passata del futuro
pestato
e poi c’era il sentiero quello stretto
che gira il piede quando passi
e c’era
l’attesa della festa e un bacio in bocca
quello innocente quello che non sai
l’amore
e poi è stata festa e già piegava
l’attesa disattesa il ramo
la vita
la Ruota
madre mi fu Parola e padre il Segno
dispotici ed astiosi e maledetti
bisbigli di segreti e di promesse
e ho disperato anni ad ogni fiato
leggendo per saperli e per amarli
scrivendo per conoscerne le braccia
ma snocciolavo inutilmente grani
ché la parola non mi rese figlia
come più tardi non mi disse donna
*
ora
*
che ho già dimenticato e non so come
tele di lettere scarlatte del mio sangue
che da decenni cola e mi fa colla
per ogni segninsetto avvelenato
che si suicida intossicando me
ma mai mi dà la grazia di finirmi
*
ora
*
che di bugie so farne fioco lume
l’orfana e vedova che fui conosco
dilemmi altrui mi nego e muta taccio
Patricia Panebianco, Lun-e-storte, T e r r e S o m m e r s e, Roma, 2009.
“A ben leggere, l’operazione della Panebianco è di sofisticata ironia per la destrutturazione testuale realizzata dalla giustapposizione tra la classicità, quasi maniacale, del “significante” e la modernità semantica e concettuale del significato.”
Italo Evangelisti
“La sequenza delle sezioni in cui è suddivisa la silloge è scandita da Patricia Panebianco da sottotitoli mitico-astronomici, pietre miliari del tragitto poetico all’insegna della luna: “Satelliti” è la prima e compagne di viaggio sono figure di donna di cui poi si dirà; la seconda è “Illune”, che rende esplicita l’assenza dei lumi cercati; nella terza, “Selene” cioè la splendente, c’è luce ma non dirada e semmai accresce le penombre, che la sezione successiva, “Sabba”, tenta di esorcizzare; segue la parte più corposa dell’opera, dal significativo titolo “Lilith”, ovvero la luna nera e/o l’altra Eva, quella che, pur rimossa dalla memoria storica o protostorica, è in agguato nell’inconscio collettivo, non solo femminile; l’ultima tappa, “Gea”, è la fine del viaggio, il ritorno in grembo alla grande madre con un pieno di consapevolezze amare sul senso della vita […].”
Raimondo Venturiello
“Il percorso è intimo e profondo. Ne risuona ogni fibra. E’ il toccare con la vista, il sentire senza occhi, lo scavare toraci per trovarci finalmente un cuore. E’ lo stare nel bozzolo sapendo che l’atto più puro sarà contaminarsi con la vita, folli di quell’amore goduto a volte soltanto «a rate». E’ la memoria di luce in assenza di luna. E’ il tempo scorsoio, così inesorabile da assomigliare al nulla. Ed è, soprattutto, la consapevolezza di esser vivi; perché, bizzarramente, c’è vita anche nel «frammentarsi in pianto» o nel sorprendersi a un tratto morti.”
Matteo Luigi Napolitano
Grazie, Abele, grazie infinite…
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Grazie a te, Patricia. E’ stato un vero piacere leggere il tuo libro. Versi come mappe dell’esistenza, il tuo misurarti con tutta una tradizione per andare oltre, con una cifra tutta tua che ha per punti cardinali il sud della tua terra e i sud dell’anima.
Abele
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‘Adesso che ci tace il mare’ ha vinto il primo premio ex aequo al concorso È TEMPO DI CULTURA” – II Edizione
Motivazione della Giuria:
Tensione lirica sospesa – nel tempo e nello spazio – su un unico punto nodale di momenti critici: il punto di non ritorno dall’addio, l’istante prima che rientri la risacca o quello che preceda la pioggia o il singhiozzo, con quest’ultimo dominante nel ritmo sincopato, quasi onomatopeico, degli enjambements che scuotono la perfetta struttura endecasillabica.
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Mi piace molto la scrittura di Patricia, la sento vicina. Patricia non ha paura di scavare, di arrivare fino in fondo, di DIRE con grande sincerità. La ammiro molto…
bellissima “Di dolore non parlo”.
Un abbraccio
stefania
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Vendemmie fa sentire il profumo del mosto ed assaggiare l’uva, la gioia e l’entusiasmo della raccolta e l’amaro che lascia l’epilogo della festa… come nella vita l’illusione di un amore.
Trovo molta passione in questi versi e in quella vena di nostalgica “disullusione” che tutti li attraversa, mi hanno ricordato la pittura di De Chirico…
Saluti
Anto
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amo questo libro, perchè l’ho visto nascere, urlare, bere il primo latte ….
perchè ne ho seguito ogni respiro e ogni battito – tutt’intorno a questo “satellitare” donna, stanca.
La poetica di Patricia si distingue per stile e per crudezza – le parole sono operazioni chirurgiche – bisturi che tagliano di netto dentro tutte le metastasi della solitudine.
Grazie di questa proposta, Abele
e a Patricia il mio più sincero in bocca alla poesia, che posso.
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devo leggerla con calma, per poterti dire meglio.
Ritorno.
però molto molto colpita.
ciao!
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ennesima perla della collezione d’Abele. Ma con Patricia ha avuto vita facile…è più che scoperta. E’realtà.
APPLAUDO
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Io questo libro l’ho visto e “sentito” nascere. E’ come una specie di figlioccio, diciamo. 🙂
Sono molto contenta, e orgogliosa, di vederlo qui.
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Dolore e silenzio su labbra ferite: parole come lame?
Non so se ciò preso ma molto interessanti questi versi.
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@D.Q.: Sono da sempre stata convinta che la poesia sia evocazione di sentimenti e immagini nella mente del lettore e, quindi, ogni interpretazione (nei limiti guida di un testo) è quella giusta.
@ Antonella: Vendemmie è una delle mie preferite, perché affonda le radici in un tessuto di immagini colorate con i pastelli dell’infanzia.
Grazie ancora a tutti, davvero.
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