Mosaico italiano
Giugno 2012
Editora Comunità
Rio de Janeiro – Brasil
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mosaico@comunitaitaliana.com.br
Direttore responsabile
Pietro Petraglia
ANO VIII – NUMERO 101
LETTERATURA IN CARCERE
“Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto Cesare deve morire pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta e un uomo. E questo grazie alle parole sublimi di Shakespeare”.
Così Vittorio Taviani dopo il grande trionfo a Berlino, con l’orso d’oro nella 62/ma edizione del Festival, per “Cesare deve morire” che poi in Italia conquista ben cinque Davide di Donatello, il maggior riconoscimento del cinema di casa nostra prodotto dalla televisione. Il film, ambientato nel carcere di Rebibbia, nella sezione ‘Fine pena maì?, racconta la tragedia di Shakespeare con le voci dei carcerati, ognuno nel proprio dialetto, in una straordinaria presa diretta, scandita da un realistico, drammatico bianco e nero.
continua qui: Mosaico_167_-_101_-_SCREEN
Grazie a Plinio Perilli per averci segnalato e inoltrato il numero di questa rivista, Mosaico Italiano, dedicato a “letteratura in carcere”. Rivista che Fabio Pierangeli porta a tutti gli italiani del Brasile. Condividiamo e rivolgiamo anche a voi le parole di Plinio che accompagnano questo dono prezioso: “perché c’è sempre più bisogno di condivisioni non parlamentari, globali, macroeconomiche, pseudosociologiche, modernamente “liquide” ed evanescenti – ma nei gesti concreti e veri della vita, nelle parole (stanche, umiliate e offese – eppure mai dome) di ogni splendido misero giorno.”
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Davvero interessante l’argomento trattato dalla rivista, la possibilità oltre che di rieducazione anche di poesia là dove meno si sarebbe aspettato. Mi viene alla mente un paragone con un’altra situazione “infernale” , compro sempre la rivista “scarp de tennis” della caritas ambrosiana scritta da e per i “barboni” che appunto vivono nell’inferno della strada, e che riporta sempre qualche loro poesia , molto più brut e disgregata rispetto a quelle lette qui, perché non c’è nemmeno una comunità, sia pure compressa ed obbligata . Mi ha interessato in modo particolare la recitazione dell’inferno di Dante, che in effetti si presta ad interpretare anche gli “inferni minori” che basta cercarli si annidano in tutte le pieghe personali e sociali, come se la società non fosse altro che una collazione di inferni e di sforzi per capirli. Mi ha ricordato anche l’inferno di Greenaway con la selva oscura che è un incrocio ingorgato dal traffico e una risata femminile, e i radar che cercano di localizzarlo, quando invece è sotto la vista quotidiana di tutti.
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