Beatrice Barbalato: Commiato a Vincenzo Cerami, Sisifo felice

 

Vincenzo Cerami ha attraversato il XX secolo  con una voracità creativa  senza pari. Ha assorbito la poesia di Giorgio Caproni, Attilio  Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, come fosse liquido amniotico. Il suo sguardo nudo verso l’uomo,  verso la sua tendenza alla menzogna, alla simulazione, alla duplicità  e al crimine (da Il borghese piccolo piccolo a Fattacci) non ha mai offuscato la forza poetica, presente in tanti racconti e che si rileva grandissima  nelle sceneggiature filmiche. Poesia come  progetto: “In poesia l’ineffabile – ha scritto in  Intramuros, Madrid, 2004 – è un deragliamento lessicale a cui la parola viene forzata proprio perché costretta nella rigidissima struttura delle sillabe e degli accenti”.

   Le sue opere dai romanzi, ai poemi,  al teatro, al musical, sono innumerevoli. Una capacità e un desiderio di sperimentare l’arte nella vasta gamma delle sue espressioni. Ha lavorato usando  tantissimi registri, e secondo le sue stesse parole ha agito come un  artigiano che tratta, forgia le materie prime. Ha affermato: “Scrivere, per me, è spaventosamente faticoso, e il più del tempo lo passo a nascondere al lettore questa fatica”.

   Ho conosciuto e frequentato Cerami per  alcuni anni.  È stato il maestro di due ateliers di scrittura polivalente all’Université catholique de Louvain (2002-2003). Ho curato il libro Vincenzo Cerami: le récit et la scène (Presses Universitaires de Louvain, 2005), dove esperti di discipline diverse hanno anatomizzato il suo  lavoro. Ho letto tutti i testi teatrali editi e inediti che Cerami mi ha affidato per studiarli.  Una riflessione da condurre sull’insieme delle creazioni drammaturgiche che all’inizio mi ha creato disorientamento per la quantità e varietà:  dal suo Amleto ne L’assassinio di Gonzalo,  a La favola delle tre melarance di gozziana memoria. Ho mirato ad analizzare dei concetti chiave  e per certi versi rivelatori di strati più profondi del suo lavoro. Narrare e capire come si racconta  è stato non solo l’ossessivo refrain del suo mestiere, ma della sua vita. Nell’uomo, insomma,  non succede nulla se non attraverso il plasmarsi  dell’esperienza in parole. Sulla produzione teatrale, in gran parte inedita, e su due sceneggiature filmiche ho pubblicato Sisifo felice: Vincenzo Cerami drammarurgo (Peter Lang, 2009). Se oggi dovessi riprendere questo studio non cambierei quasi nulla, contrariamente alle mie abitudini, tanto alcune modalità mi sono apparse chiare alla fine della ricerca. Del vasto lavoro teatrale ho messo in evidenza analiticamente quei tratti che riecheggiano in tutta la sua produzione, che ne rivelano nelle sottotracce  il  modo di funzionamento.

   Le sceneggiature per il cinema sono dei capolavori. Tutto tiene, non c’è mai una sbavatura, una gratuità. Il cinema domanda una grande  calibratura e saggezza nel racconto, lo scritto deve coniugarsi con le immagini. La logica del dettaglio e delle unità narrative deve essere perfetta per funzionare con eleganza stilistica. Cioè per non propinare intellettualismi gratuiti o facili e scontate emozioni. Le sceneggiature di Cerami sono straordinarie: un maestro nel senso più pieno della parola. Anche a distanza di anni,  i testi dei films Porte aperte,  I ragazzi di via Panisperna, e del celebre La vita è bella, sono fonte di ammirazione.

   La vita è bella inizia con una voce off  mentre nella nebbia a stento si individuano degli esseri come nell’Ade: «Questa è una storia semplice, eppure non è facile raccontarla, come in una favola c’è dolore  e come in una favola c’è  meraviglia  e felicità». Questo è l’incipit detto da Giosuè adulto. Una scena nebulosa, e una voce bassa ci introducono con gravità nell’argomento.

   «Questa è la mia storia, questo è il sacrificio che mio padre ha fatto, questo il regalo che mio padre ha fatto per me».  Queste sono le  struggenti parole un po’ prima della fine. Il décalage fra l’incipit e l’explicit si pone  esattamente fra l’universalità annunciata nella fiaba, e l’interiorizzazione  di un percorso (mia, mio, mio, per me).  Insomma la tragedia ‘a lieto fine’ de La vita è bella è una storia trasmessa  da un padre ad un figlio.

   In Porte aperte, film di Gianni Amelio dall’omonimo  libro di Sciascia, domina il fantasma de L’Idiota dostojeskiano. È in fondo il  non sapere  – e la consapevolezza di questa condizione – che permette la conoscenza. Il giudice popolare di origine contadina si trova tra le mani L’Idiota e ne usa le parole come utensili: “Quando non si hanno le parole si vanno a cercare”, dice. Credo che in questa attitudine ci sia tutto Cerami, quando non si ha esperienza di certi mezzi espressivi, si va a cercare. Un intelligere e sperimentare, il suo,  sempre in progress. Un’umiltà intellettuale in una grande personalità che ci induce ad esplorare la mente, percorrere l’esperienza umana impastata di parole, canti, immagini, così come di pause, e di  silenzi.

 

Beatrice Barbalato


Una risposta a "Beatrice Barbalato: Commiato a Vincenzo Cerami, Sisifo felice"

  1. Ringrazio Beatrice Barbalato, che dell’opera Cerami è la studiosa più autorevole, per il commiato a un grande maestro che molti ricordano come sceneggiatore di capolavori come ‘Un borghese piccolo piccolo’ e ‘La vita è bella’; e che è stato autore poliedrico, raffinato e immaginifico, oltre che sperimentatore instancabile e profondo osservatore della realtà e della nostra storia.
    Abele

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