Emanuela Mannino: “Scrittura con vista” di Abele Longo

Abele Longo

Scrittura con vista

Terra d’ulivi edizioni

Scrittura con vistaTitolo di forte impatto evocativo. Immagine di copertina: uno scatto fotografico dell’autore, datato 2013, che ritrae la propria figlioletta intenta a guardare fuori dal capanno del celebre poeta Dylan Thomas, a Laugharne.

Già dal titolo e dall’immagine, è possibile associare l’atto creativo della scrittura con l’atto percettivo-fenomenico del vedere, in interazione reciproca.

I quattro riferimenti in esergo alla silloge danno un indizio generale di una prima impalcatura ermeneutico-visuale, dove l’atto dello scrivere descrive l’azione visuale globale delle cose del mondo che consente il doppio movimento esperienziale centrifugo del sé con una sua ridefinizione centripeta, oppure resta confinato a una visione miope o distratta, talvolta, quasi ossessiva del – qui ed ora.

In Scrittura con vista il versificare dell’autore diviene atto scrittorio con funzione connotativa di visioni, scene di vita, spazi, luoghi precisi, e di ricordi iceberg di un sommerso semprevivo. Al contempo la vista del mondo si tramuta in vista dilatata dell’Esistenza, a partire da Gestalt di atti percettivi, sottoforma di flash visivo-intuitivi, scenici e sequenze sceniche, e di vere e proprie architetture simboliche di ricordi. Sono ricordi funzionali a una continua evoluzione del sé umano, del sé poetico e del Senso dell’Umano. La realtà poetica diviene comunicazione aumentata tra il sé e l’altro da sé, rigenerazione di stati emotivi, sottolineature del pensiero, e germogli ermeneutici aperti al possibile. La sensazione che si ha nel leggere la silloge è, non soltanto quella di rivivere storie di vita altre e luoghi della memoria, ma anche quella di ascoltare l’animo del poeta nell’atto interrogatorio del suo stesso vivere, in dialogo sia con persone e luoghi che con la dimensione storica universale, sempre densa di contraddizioni, e con le sue derive di umanità. I conflitti sociali a livello micro e macro-sociale, vengono descritti in modo quasi lapidario, talvolta con velature di ironia e sarcasmo. La poesia di Abele Longo è anche poesia di umana e civica resistenza che non si limita a descrivere, e non dispensa ricettari etici.

 In The Castle of Otranto, a un certo punto leggiamo

mi diverte uccidere gli avversari

fa bene alla salute

è bello stare all’aria aperta

e ancora:

*

Tra un bar e l’altro

 se altro c’è da fare

calcoliamo la distanza che separa una guerra vera

da una guerra biodegradabile

Sono tanti i luoghi attraversati realmente e/o simbolicamente. Scrittura con vista, potrebbe essere considerata una vera e propria mappatura di luoghi radicati nel sé, a iniziare dal capanno del celebre poeta, scrittore e drammaturgo, Dylan Thomas, capanno situato a Laugharne, cittadina della costa sud del Galles, di fronte la baia di Carmarthen, nella quale Dylan Thomas visse con la sua famiglia negli ultimi quattro anni di vita- tra il 1949 e il 1953; nel capanno era solito rifugiarsi per scrivere o tentare di scrivere molti dei suoi testi principali. Vi è poi il Sud Italia, il Salento di Don Tonino Bello, di Carmelo Bene, di Vittorio Bodini, Depressa riecheggiata nella poesia “Disperata”. Ancora, la Chacabuco cilena. E la Palermo di Danilo Dolci, considerata città elettiva da Abele Longo. Autori questi, insieme ai cineasti Ciprì e Maresco e Edoardo Winspeare, tutti accomunati da una sorta di cosmogonia esistenziale, nascita ed evoluzione del Senso del Vivere, in cui la vita e la morte vengono richiamati costantemente nella dicotomia e nella auspicata simbiosi funzionale individuo/società. C’è quasi una urgenza di Giustizia sociale, laddove molte sono le condizioni sociali degradate, il degrado economico, la fatica di vivere degli ultimi che si arrangiano come possono. Profondo è lo sguardo di Longo, proiettato su questa schizofrenia del vivere sospesa tra calma apparente e inquietudine, orrori e buio, e punti luce di bellezza che sempre vengono visti, fosse anche intravisti e auspicati. C’è realismo crudo, appassionato ma al contempo misurato di un tracciato minuzioso- che dà voce a molteplici respiri umani coi loro accadimenti ed intrecci. Vi è l’umano impeto di liberazione nella consapevolezza che tutto è metafora di qualcos’altro, e che si potrebbe ribaltare la condizione di spettatori della storia in quella di attori compartecipi e co-protagonisti di essa. Echeggia molto lo spirito di Danilo Dolci: “Ciascuno cresce solo se sognato”.

In Scrittura con vista colpisce l’abilità del poeta di trascinare il lettore in continui spostamenti di sguardo, veri e propri spiazzamenti percettivi e di senso, da una scena a un’altra.  È un coesistere umano simultaneo e multitemporale di gesti, intenzioni, sentimenti, emozioni, abitudini di vita, piani di vita interrotti, memorie, età di vita differenti.

La poesia di Longo è poetica dello spazio che si fa accoglienza dell’umano in tutte le sue sfaccettature, nel diritto e al contempo – nell’impellenza dell’essere visti. Negli irrisolti esistenziali umani- la poesia si colloca come mistero di bellezza, non semplice, mai scontato, che illumina e rianima. Operazione non frutto di mera intuizione ma atteggiamento volto a rilevare gli snodi di senso evolutivo anche in mezzo a degrado e orrori.  Nella poesia Prendere dalla Luna-Abele Longo richiama l’inquietudine di Dylan Thomas intento a scrivere qualcosa, al contempo sembra evidenziare il sentire poetico contrastato nel realismo cinico di chi non crede di poter dare sempre risposta con la poesia.

Scrivere è in minima parte

una giornata di grazia

il resto tabacco masticato

birra che impasta la bocca

La poesia resta, comunque, esigenza di dare ordine alla complessità degli atteggiamenti e degli accadimenti umani, (una casa ad ogni cosa) bellissimoverso della poesia Rondò – metafora di rifugio, nido, certezze, ritorno a un luogo sicuro.

I sentimenti, le emozioni, le dimensioni esistenziali che attraversano la silloge sono molteplici e ricchi di sfumature: il senso di giustizia, la compassione, la paura, la fragilità, il senso di precarietà, la solitudine, l’arrendevolezza, la nostalgia, la gioia, la felicità, l’amarezza, la resa, il possibilismo. Il senso del bello, il coraggio, la speranza, la rinascita. Ancora, cinismo, fredda consapevolezza, pragmatismo di sopravvivenza.  L’imperfezione. Il non sapere. Il sogno. C’è poesia, c’è meta-poesia. 

Stilisticamente è una silloge di indubbio pregio, che denota una maturità consolidata nella versificazione. Essa si avvale dell’uso sapiente di svariate figure retoriche di significato, incasellate in versi anche brevi, tra cui iperbole, allegorie, metafore, ossimori, similitudini, sinestesie. Vi sono pure movimenti ritmici, ben delineati come le frequenti anafore, oppure scelte asintattiche e neologismi geniali (come sovrarcare, grembomaterna…).  Il ritmo è sovente molto musicale, sono presenti rime, assonanze, consonanze, allitterazioni. Alcuni suoni dolci/aspri conferiscono una ricca musicalità e danno risalto al contenuto, come nelle poesie dove sono presenti elementi naturali.

Molte poesie ricordano un po’ lo stile pragmatico, crudo, ironico di Ron Padgett nella silloge “Non praticare il cannibalismo”.  In essa vi sono elementi paesaggistici naturali e urbani. Il paesaggio per Padgett diviene compendio percettivo di pensieri latenti, al contempo linguaggio vivo che può chiarire l’Io a se stesso, relazione di sé con il sé. In Longo ciò viene amplificato nella forma e nel contenuto, in una cascata di significanti che danno pathos al tutto.  

Più volte la poesia predomina nella sua forma prosastica colloquiale. C’è spazio, anche per squisite pennellature classicheggianti-ad esempio “S’inerpica su improvvisi dirupi” /” S’incanta la memoria” oppure “la paura che mi sovrarchi/una pioggia sottile”. Molto interessante la poesia “Ho fatto ottocento martiri santi” scritta con uno stile che ci riporta a Petrarca. Vi sono anche versi molto brevi che si inseriscono in modo elegante al contempo asciutto, a taglio netto, e che ricordano una certa postura ermetica.

In Scrittura con vista, molti sono gli elementi naturali richiamati, vi sono anche poesie prevalentemente paesaggistiche di squisita composizione. Più spesso la natura viene adoperata come personificazione umana, dei moti dell’animo, delle stagioni del vivere, in simbiosi, talvolta a contrasto. È altresì natura da contemplare, da interrogare, da ascoltare. Natura quasi dipinta nel suo manifestarsi in tutta la sua forza propulsiva.

Il vapore dei tombini di New York è una poesia dedicata al sociologo e poeta Danilo Dolci. In essa Abele Longo sembra fare eco al pensiero rivoluzionario del sociologo dell’umanità utopica, a Chi scruta il cielo per sanare il mondo. In questi versi il sogno e l’impegno etico fanno i conti con la consapevolezza del rischio di venire sopraffatti dalla morte, dalla povertà quotidiana, dall’ingiustizia. Si fa i conti con la disperazione e la ribellione degli ultimi e con le strategie di sopravvivenza che nei versi di Abele Longo divengono come un’opera d’arte sociale, sino all’osso degli scarti dei supermercati. Quando non c’è più tempo per prendere una decisione, utilizzate le vecchie scorte di esistenza ed esautorate le proprie certezze (smaltiti oramai i raccoglitori di erbe selvatiche e lumache) ecco che si agisce, cambia l’orizzonte visivo – anche quello di chi, non è più semplice spettatore di vite altrui.  Ad aprire gli occhi è l’ovvietà del vapore dei tombini di New York, simbolo vivo di precarietà umana, nella sua veste di vago conforto, come uno sguardo che esala e ricopre tutto prima che tutto cambi, come il cambio di una nuvola, persino della propria capacità di autodeterminazione.

La poesia scaglia qua e là scene di vita, eventi sociali vissuti da Danilo Dolci. Sembra quasi di rivedere lo stento del bambino morto di fame mentre il sociologo Dolci correva ad acquistargli il latte. O la disperazione di alcuni manifestanti nel ’56, portati con la forza nel carcere palermitano dell’Ucciardone, rei di avere portato avanti azioni sovversive, lo “sciopero alla rovescia”. Uno sciopero, tuttavia, condotto in modo non violento, secondo le indicazioni dello stesso Dolci, allo scopo di permettere ai disoccupati di collaborare tra loro per contribuire al bene comune.

Cortile Cascino di cui Abele Longo parla in un suo libro dedicato a Danilo Dolci (Danilo Dolci – Environmental Education and Empowerment, 2020) era un quartiere di estrema povertà che sorgeva a duecento metri dalla Cattedrale e dai palazzi del potere. Nel novembre del 1957, Danilo Dolci portò avanti un digiuno di protesta, i cui effetti sull’opinione pubblica determinarono la scelta da parte del Comune di demolire la zona, alzando dei muri per nasconderne la vista. Nella poesia c’è un riferimento a Robert Young, regista americano che nel 1962 girò un documentario dedicato a Cortile Cascino, altresì un richiamo a Daniele Ciprì e Franco Maresco che hanno ripreso immagini del documentario di Young in Viva Palermo e Santa Rosalia (2005).

Nella poesia Cortile Cascino il poeta traccia micro-scene di vita quotidiana, e lascia intravedere due diverse declinazioni del tempo, il tempo interiore e quello esteriore. Il tempo interiore fatto di abitudini, gesti routinari di sopravvivenza, sospensioni: così sembra di ascoltare la musica di sottofondo e le parti di una canzone di Mariah Carey (The Wind) con le sue parole di dolore nostalgico. O di scorgere le facce uguali, di rivivere le domeniche al cinema del partito e, ancora, Robert con le sue inquietudini, l’incapacità di fermarsi in luoghi estranei o di andare oltre le proprie strutture di pensiero, come vedere il finale di una scena.

C’è poi il tempo esteriore, quello dell’ordine dominante che cerca di confinare la povertà in un luogo nascosto, togliendo di mezzo i bambini mandati a dormire nel cortile, dando alla società un’immagine edulcorata dell’Italia migliore.

Palermo degradata, quasi da contraltare alla Palermo mafiosa nelle intenzioni dei cineasti palermitani Ciprì e Maresco, ritorna nella poesia Egloga per lo zio di Brooklyn, titolo omonimo del film di fine anni ’90 dei succitati registi. Flop cinematografico, esagerazione vivente, per molti cineamatori, per altri- scorcio realistico tematicamente ben espresso. Nei versi di Abele Longo, Palermo viene richiamata nel suo essere stata forse malamente definita, deprezzata sino al limite dell’umano. Nella chiusa sembra di vedere un salvataggio poetico, laddove uno sguardo ancora (l’insonne figlio di Diogene), può ritrovare altro – per risollevare il pregiudizio del degrado umano, oltre l’alba riluttante del nuovo giorno- In fondo, ciò che ci attraversa, nei versi di Longo non è che teatro.

Nella poesia Disperata, il poeta si chiede se la poesia ci salverà e la risposta è un “mah…” considerate le dinamiche socioculturali indiziali che-dagli anni Ottanta a oggi- sembrano attraversare i versi, come i cambiamenti sempre più invasivi che hanno portato al prevalere del sé individuale, dell’apatia e dell’ignoranza di comodo, sul sé sociale di massa organizzata e consapevole. Come se l’esteriorità individuale, l’apparenza, fossero diventati più importanti dell’interiorità autenticamente vissuta.  Anche in questa poesia, la postura esistenziale del poeta sembra essere cinica e distaccata, come se gli anni e la storia in quegli anni fossero una pellicola cinematografica di cui il poeta diviene spettatore.

Panta rei- diceva Eraclito. Tutto scorre. Delicatissima la poesia Era d’estate, dove ancora una volta sembra di scorgere la scena di un film o uno scatto fotografico. Persone amate che guardano un panorama, il poeta che guarda loro provando una grande felicità inspiegabile e la paura che arrivi la fine di questa felicità -dalla pioggia-simbolo di cambiamento- che sovrarchi. Vi è una sorta di ossimoro icastico del mi sovrarchi -una pioggia sottile. Dove non è la pioggia torrenziale a sopraffare l’uomo ma l’insinuarsi di un destino sottile, quasi inavvertito verso cui pertanto non si è preparati a reagire e a rispondere. Al contempo è una sensazione consapevole, già nota, è paura di dinamica già vissuta, non mera ansia. È la consapevolezza impaurita- della precarietà ben nota -di una certa architettura del proprio vivere.

Foto senza cornice-La donna dal sonno pesante- L’insonne appiglio-Più rapida della Fiamma- Costellazioni e Gli angeli maldestri sono altre delle pregevoli poesie che compongono la silloge accomunate tutte da un sentimento diffuso di inquietudine e fragilità umana. In Foto senza cornice troviamo la metafora di ciò che non si è mai saputo definire nella sua essenza, la contrapposizione tra felicità e infelicità, lo scarto esistenziale tra generazioni. Ne La donna dal sonno pesante l’ossessività della ricerca esistenziale, l’accettazione dei limiti umani. Viene da domandarsi se la poesia-al di là della descrizione dei movimenti interiori inquieti di una donna in preda ai propri ricordi dolorosi – e dei probabili riferimenti a scene di vita osservate o forse solo immaginate- non sia metafora personificata dell’alter ego umano e della Poesia stessa, meta poesia. A un certo punto, la poesia recita: non che le scoppi il cuore/faccia attenzione lui/al turbinio del cucchiaio/che mescola e scuote. Sembra di sentire lo strappo umano di un’anima in bilico tra il dolore e lo smarrimento in esso, al contempo il salto razionale che porta l’animo umano ad arrendersi ai propri limiti non cadendo nel vittimismo. Ciò su cui fare attenzione- semmai-è il turbinio del cucchiaio/ che mescola e scuote. Anche nell’Insonne appiglio si scorgono la fatica di dare un senso, le euristiche del pensiero costanti, le circonvoluzioni mentali, e l’arrendevolezza al non so che tuttavia porterà prima o poi a sapere. Ancora, il senso di precarietà del vivere e dell’essere, tuttavia, anche con germogli nuovi, in Più rapida della fiamma, poesia di movimenti spaziali a più direzioni. Metafora degli sforzi umani andati a vuoto, dimenticati.  In Costellazioni si hal’inaspettato che arriva quando non pensi troppo o quando cerchi altro e l’attesa di ciò che non arriva, mentre negli Angeli Maldestri la sensazione di dover contare solo su di sé, a partire dalle imperfezioni umane da cui, alla fine, poter trarre bellezza e forza. Ancora, precarietà e fragilità ma anche ripartenza dalla propria fragilità, come in Forse l’autunno l’avrebbe guarito.

14 marzo 2024                                                                                                  Emanuela Mannino

Emanuela Mannino

Emanuela Mannino, docente di scuola Primaria, ha conseguito una Laurea in Psicologia (V.O.) e una Laurea in Scienze della Formazione Primaria.
Ha pubblicato la prima raccolta poetica Sole Ribelle- Versi di bellezza e di resistenza (Ensemble, 2020). Ha pubblicato un racconto nell’antologia Congiunti (Ensemble, 2020) e un micro-romanzo nel collettivo Tina-Storie della Grande Estinzione (Aguaplano, 2020).
Una sua poesia “A piedi nudi” è stata musicata e inserita all’interno del disco “Old Folk
for new poets” (New Model Label, 2021).

Nel 2022 ha pubblicato la silloge Eppure (Controluna) e una poesia nell’antologia Negli occhi bambini-Poesie e voci per ritrovare il mondo dell’infanzia (Scrivere Poesia Edizioni).
Nel 2023 ha pubblicato un racconto nell’antologia Cartoline dalla Sicilia (L’Erudita), un poema a due voci con Giannino Balbis, Erotanasie-Fantasie d’amore e morte (Macabor) e una fiaba natalizia nell’antologia Un magico e prezioso Natale. Piccoli racconti per bambini di tutto il mondo (Macabor).


Una risposta a "Emanuela Mannino: “Scrittura con vista” di Abele Longo"

  1. Grazie di cuore a Emanuela Mannino. Commosso per come ha attraversato e scandagliato questa mia raccolta e grato per le chiavi di lettura che ha offerto; sono di grande aiuto e ne farò tesoro.

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