Inediti da "La Filosofia del tè" di Giorgio Linguaglossa, nella lettura di Daniele Santoro

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Inediti da La Filosofia del tè 

Poesia dell’allievo Tu I

Quando tornai a casa, dopo il tempo dell’invasione dei tartari,
mi rallegrai che la mia casa fosse stata risparmiata,
mi rallegrai nel trovare mia moglie, in piedi, in cucina
che mi scaldava il tè nel bricco che bolliva sul fornello,
il fedele domestico, più vecchio e più magro… c’era financo lo sgabello
ancora intatto sul quale un tempo posavo i piedi dopo pranzo,
mi rallegrai nel trovare Zerco,
il mio cane, che mi venne incontro scodinzolando,
(lui sì, mi aveva riconosciuto)
mi rallegrai nell’ascoltare i racconti di mia moglie
circa i morti dei vicini, le uccisioni, le depredazioni inaudite
e le vicende degli amori clandestini che erano fioriti in quegli anni cupi…
mi rallegravo del cinguettio dei passerotti sugli alberi, che il mondo
continuasse a girare come prima.
Mi rallegravo io stesso
di essere sopravvissuto in tutti quegli anni
dell’invasione barbarica.
«Dopo tutto è il male minore
essere ancora in vita – mi dicevo per rassicurarmi –
e c’è un male peggiore,
quello di non esserlo più, in vita»;
ma non riuscivo a persuadermi,
a capacitarmi del tutto e guardavo dalla finestra aperta
i rami del mandorlo fiorito che uscivano dal buio ed entravano nella finestra
così, senza cercare nulla, senza volere nulla.

*

La parola di ferro

L’ultima volta che vidi il maestro Yze
stava chino sulla riva dell’oceano davanti ad una fornace,
metteva torba nella fornace
da dove usciva un magma di ferro incandescente
che lui colava in appositi stampi quadrati,
poi saldava i singoli blocchi
uno sull’altro, nell’altezza e nella larghezza,
per costruire un muro di ferro
che divenne ben presto alto e massiccio
come le mura di Ninive o di Babilonia…

Così, davanti al mare salato
crebbe l’invalicabile muro ferrigno
fin quasi a toccare il cielo.

Un giorno, l’ultimo degli allievi, timido e sgomento, gli chiese:
«maestro perché questa barriera di fronte al mare?
non esiste muro invalicabile
che alla fine non ceda alla corrosione, alla ruggine del mare…
e alla fine anch’esso si sgretolerà e finirà nel nulla…».

Ma il maestro Yze non lo degnò di alcuna risposta.

Continuò ad erigere il muro fino alla fine dei suoi giorni.

Forse, questa è stata l’ultima parola del maestro Yze:
costruire una parola di ferro,
salda come il ferro, pesante come il ferro,
che fungesse da argine al mare spumoso…

*

La poetica del maestro Lu Shun

Il maestro costruì con le proprie mani una porta di legno
impiantò lo stipite nel fondo melmoso del lago
e posò la porta pesante sui cardini mutevoli.

Trascorsero dieci anni durante i quali il maestro
si immerse in un sonno profondissimo e al risveglio
prese a tagliare gli alberi del bosco per farne tavole.

E costruì una porta sottile come una foglia
e la fissò sul ramo più alto d’un albero
così che il vento al suo passaggio l’apriva e la chiudeva.

Trascorsero altri dieci anni durante i quali il maestro
si immerse in un sonno profondissimo e al risveglio
prese a tagliare gli alberi del bosco per farne tavole.

Costruì una porta pesante e la posò sui cardini mutevoli
e la immerse nel fuoco in modo che esso
potesse ardere dall’interno la porta in un solo falò.

Perché l’acqua riposa nel vento
e il vento riposa sul fuoco
che alimenta il Tutto e lo distrugge.

*

La poetica del maestro Lin Pin

Ho cercato tra un milione di parole
quella giusta per indicare l’Anima
ma non l’ho trovata.

Al suo posto però ho trovato un buco.
Un tunnel così tortuoso e profondo… senza fine.

Ho sortito tutti i tentativi
ma non sono mai riuscito ad avvistarne il fondo.

E allora… ho preso a riempire quel buco di parole.
Tante parole, così alla rinfusa…
e poi in modo sempre più frenetico, convulso.

È questa credo la mia poesia e la mia poetica:
con disperazione tento di riempire quel buco
pur sapendo che mai ci riuscirò.

Giorgio Linguaglossa

Ciao Giorgio,
La prima cosa che mi ha colpito è stata la tua straordinaria capacità inventiva, che ormai caratterizza molto del tuo operare (credo che tu questo già lo sappia e me ne congratulo vivamente). continua qui


5 risposte a "Inediti da "La Filosofia del tè" di Giorgio Linguaglossa, nella lettura di Daniele Santoro"

  1. Grazie a Giorgio Linguaglossa per questi inediti tratti da “La filosofia del tè”.
    Semmai esiste un insegnamento, si può solo trovarlo dentro di noi; è quanto sembrano dirci questi versi che, con raffinata ironia, rilevano la continua e vana ricerca di risposte da parte del genere umano su quelle che restano le domande di sempre. La lettura che Daniele Santoro ne dà, attraverso riferimenti e richiami alla filosofia classica e a quella orientale che pervade la poesia di Linguaglossa, aiuta a individuare le caratteristiche importanti di una poetica in cui niente sembra essere lasciato al caso ma che, allo stesso tempo, si apre mirabilmente a tante e possibili chiavi di lettura.
    Ho conosciuto Giorgio Linguaglossa quest’estate, grazie ai reading organizzati da Luciano Nota ad Accettura e Policoro, e ho avuto modo di apprezzarne non solo la poesia ma anche la verve e la lucidità critica che caratterizza il suo saggio, essenziale grazie anche al grande lavoro di analisi testuale, “Dopo il Novecento, monitoraggio della poesia italiana contemporanea” di cui parleremo presto su neobar. Lascio nel frattempo alcuni link e consiglio la lettura del blog di Ennio Abate che ospita diversi contributi e interventi di Linguaglossa, http://moltinpoesia.wordpress.com/ :

    http://www.poesia2punto0.com/2010/06/28/la-questione-del-%C2%ABquotidiano%C2%BB/
    http://www.poesia2punto0.com/2012/08/13/la-buona-poesia-n-11-giorgio-linguaglossa/
    http://www.lietocolle.info/it/intervista_a_giorgio_linguaglossa_d_santoro.html
    http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2013/04/30/giorgio-linguaglossa/
    http://moltinpoesia.wordpress.com/2013/04/12/ennio-abate-appunti-su-blumenbilder-di-giorgio-linguaglossa/

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  2. Un oriente tutto mentale, ogni poesia è come un koan che il maestro zen lascia all’allievo, quasi per dimostrare che il muro di ferro e la foglia mossa dal vento hanno la stessa consistenza, che è quella delle parole.

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