Gabriella Montanari – Abbecedario di una ex-buona a nulla

Gabry Montanari

Gabriella Montanari(1971, Lugo di Romagna). Laureata in lettere moderne all’Università di Bologna e diplomata in pittura presso la Scuola d’Arti Ornamentali San Giacomo di Roma, è pittrice, scultrice e fotografa. In campo letterario traduce autori di teatro, poeti e scrittori francesi e americani. Collabora con riviste letterarie, d’informazione e d’arte italiane e internazionali. È direttrice editoriale presso la casa editrice WhiteFly Press di Lugo di Romagna. Esordisce in poesia con la raccolta “Oltraggio all’ipocrisia” per le edizioni Lepisma di Roma (marzo 2012), seguita da “Arsenico e nuovi versetti”, Edizioni La Vita Felice (marzo 2013). Attualmente vive e opera a Parigi.
da Abbecedario di una ex-buona a nulla
ADRIATICO

(Per l’esattezza, quel deprimente tratto di costa romagnola compreso tra le sempre meno ridenti località balneari di Marina Romea e Lido di Spina – per quanto le due si vantino di portare all’occhiello la bandierina azzurra che di recente Legambiente ha preso a dare via come la piadina… – )

guardati,
razza di mare circonciso…

sei il lavandino d’oriente
un catino – sudicio d’accenti e d’assorbenti interni,
nuoti tra gamme di grigi
mucillagini sfatte e cefali asfittici
e gli sputacchi dei vecchi… non sono forse tuoi merletti?

mi hai cresciuta d’onde
e sfamata d’albe,
ti ho nuotato e scopato dentro,
come altri, del resto

nei pizzicori invernali
te ne stai mogio
come un randagio preso a calci nel muso,
da dietro la staccionata di dune
ascolti le mie inezie di sabbia
e sveli – bianche – storie – d’altra sponda

i marosi s’infrangono in mazurke,
– balere di liscio per sgombri e sarde –
sei coltre fluida per i senzamadre,
liquido primordial-seminale
piscina
piscio
voce

deflorato dai crucchi, lisci e rosa – verri e scrofe di “pura razza”,
pluritrivellato, per succhiarti via anima e idrocarburi
non fiati
boccheggi
fregandotene del surriscaldamento e di un paio di morti annegati

pare che un’estate ormai lontana
fece scorribande nelle tue acque
un certo Willy
squalo bianco sbandato
che poi si rivelò essere
la pinna di uno scafo ribaltato

il mio bisbiglio in bottiglia
galleggia sulla tua pelle appestata
non fingere di non sentirlo,
dice che ci ricongiungeremo:
tu sotto
io sopra

il molo

ecco sì…
quattro amici infossiliti,
trebbiano e cozze senza badare a spese
e la mia cenere
per il tuo pitale capiente.

ARTHUR

(Sposo infernale, esploratore e mercante di pelli)

amo le notti in bianco
sgridate dal vento
e dal vociare ebbro davanti al pub dei sodomiti,
notti pruriginose più dell’herpes
notti impazienti di vagiti d’alba

parigi, londra
malate di nebbia, chiaviche a cielo aperto
metropoli assopite come metastasi in agguato,
sorde al fracasso dei camion del rusco
che caricano resti umani ed elettrodomestici guasti.
l’insonnia partorisce idee malsane
si nutre di avanzi scovati in frigo
letture sporche
e splendidi, solitari orgasmi

in punta di piedi
– perché nervi e parquet non scricchiolino –
attraverso il buio amico
odoroso di take-away pakistano
e denso, denso da perderci la ragione dentro

cerco la luce snaturata, le torce bluastre di Rimbaud
la seduzione malsana del viso mai invecchiato,
lo seguo negli esilii d’angelo
e sfoglio le pagine della sua malora
sabbiosa di deserti
salata di mari
marcia d’ossa e di membra

“Ma che fretta avevi, anche tu, putain de merde…”

JERRY

(Una ballata per farmi portare a ballare)

portami a ballare, Jerry
o succede che piagnucolo tutta notte
sul cuscino rigato di raucedine e mascara,
e finisce che esci a comprare sigarette che non fumi
perché tu, le lenzuola, le vuoi bagnate di sudore e schiuma
non certo gocce salate

prendi le chiavi della macchina, Jerry
i locali non sbadigliano ancora
son zeppi di note passate, pasticche sorridenti e cilindri di cachaça,
i tacchi mi sostengono con accondiscendenza
– guardami, cristo, mica mi sono agghindata così per il papa! –
so bene che la spiaggia non dista
e ricordo la tua promessa
di prendermi sul tavolo da ping pong
appena appena ruvido di sabbia

non farti pregare, Jerry
abbiamo un’intera cartucciera da sparare
non diamole scampo a questa vita in prestito
indossa la giacca senza cravatta, lo sai che mi eccita
e in mezzo agli amici fissami, fingendo di non conoscermi

te la cucino io la nostra giornata, Jerry
condita di silenzi e urla che grigliano il cervello,
un soffritto di schiaffi e mazzi di peonie sulla soglia
tu porta il buonumore e quel dopobarba che mi scardina il buonsenso.
siedi a tavola tra le mie gambe
sono morbide, apparecchiate di rete
mangia con le mani, intingile nel mio sugo
e, se proprio devi, dormi e digeriscimi mentre sogni

non te lo chiederò una seconda volta,
su, da bravo, portami a ballare, Jerry.

PRESEPE

(Quell’accattivante messinscena ancestrale, che torna in auge ogni natale sui palcoscenici domestici italiani. Free entry. Starring: jesus, joseph & mary. Special guests: the three kings and the star of Bethlehem)

gesù mi fissa dal presepe,
fasciato come una mummia o un baco
– ce l’ha su con l’asino che puzza di muffa
e con il bue che alita con parsimonia.
troppi pastori sbilenchi, troppe pecore mal rasate
maria fresca come una rosa
e giuseppe stanco
di far buon viso a cattivo gioco
come il più docile dei cornuti…
al pargolo non gli garba
che nella mangiatoia ci siano finiti
il grande puffo
e un drago in un guscio giallo che odora ancora di kinder cioccolato.
gli dico
“sai, i bambini… perdonali, non sanno quello che fanno”.
in cima alla grotta
impiccato al filo da pesca
un angelo, il più figo del firmamento
– quello che si è dannato per essere il capo –
e ancora più su una cometa da 40 watt
che lampeggia, poi s’incaglia, come l’insegna del moulin rouge.
son tentata di spegnerla
ma poi chi li sente i magi?
pare siano già per strada
e manco sanno che arriveranno in ritardo
ogni anno
sotto l’abete pagano,
rosso di vergognose ghirlande,
metto in scena il teatrino di gesso – per giunta dipinto a mano –
con la stessa leggerezza
con cui mi esce di bocca una bestemmia
mentre
nell’aprire l’ostrica
mi squarcio una mano.


18 risposte a "Gabriella Montanari – Abbecedario di una ex-buona a nulla"

    1. …tra l’altro a me sembra una poesia di ottimo livello, l’ho scritto altre volte, Gabry Montanari è davvero brava e originale se leggiamo la sua poesia a confronto con ciò che abbiamo qui in Italia dove le scritture poetiche femminili si somigliano un po’ tutte e sono insopportabilmente adipose di sentimento e di sentimentalismi. Reinventa a riassimila il «parlato» non alla maniera dei post-sereniani ma un parlato parametrato sulla scia della Beat generation e di Bukovski nella versione italiana. Una critica e una presa di distanze dalla borghesia dal punto di vista di una donna borghese.

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      1. Giorgio, ho sempre pensato che il sistema lo si ribalta dall’interno. che si tratti di poesia o borghesia. senza strategie particolari. la parola in sé è già un’arma micidiale. va forse vestita solo di coraggio e sincerità. meno si ha da perdere, meno scrupoli ci si fa per raggiungere l’obiettivo. quanto ai sentimenti, che comunque sono sempre in agguato, anche dietro la rabbia e il cinismo, li vedo meglio al calduccio, sotto una coperta, che sul marmo di una pagina bianca. Ma tu conosci bene i miei trucchi da illusionista…

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  1. di ottimo livello senz’altro, aria fresca, piglio deciso, incisivo e coinvolgente. Notavo anche che si prestano molto bene al canto, Jerry l’ho letta come sulle note di Paolo Conte.

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    1. abele, grazie di esserti preso la briga… in effetti, paroliera sarebbe molto meglio che parolaia. anch’io me le canto spesso le mie poesie, ma solo quelle. Conte? non ce lo vedo finire la carriera con me. Tu suoni qualche strumento?

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      1. Suono il pianoforte.
        In una canzone di Conte ci vedo bene: un ‘cuscino rigato di raucedine e mascara’, ‘i locali non sbadigliano ancora son zeppi di note passate, pasticche sorridenti e cilindri di cachaça,’
        ma forse non riuscirebbe a starti dietro con la musica 🙂 E vabbè … complimenti comunque.
        Abele

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  2. Una marcia in più. Non c’è che dire. In mezzo alla marea di filo-Bukowski e di filo-Beat all’italiana che ho letto finora, che siano testi tradotti o autori di lingua madre italica, questa è una delle voci migliori. Davvero!

    Un saluto a tutti

    Fernando

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    1. ciao Fernando, quale sia la marcia al momento in uso, ancora non lo so, ma di certo non è la quinta di riposo… contenta ti sia piaciuto l’assaggio. per quanto sia innegabilmente una lettrice filo bukowskiana, spero traspaia sempre meno nei miei versi. I morti bisogna lasciarli riposare in pace, rischiano di diventare troppo invadenti… un saluto G

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  3. Difficilmente parlo di una poetessa (poeta direbbero la Cvetaeva e la Achmatova, poi che secondo loro era una riduzione il passaggio da poeta a poetessa, addirittura una “degradazione” – ma era un’altra epoca! – . Dunque Lei, Gabry (come Ti chiama il buon diavolo di Linguaglossa) dopo questa sua parentesi un pò “rabbiosa” scritta degnamente, potrebbe avere le carte buone per decantarsi e un pò aspirare a una forma meno rabbiosa e trasformarla in una forma più classica che riuscirebbe più incisiva di certo e più duratura nel tempo. Mi ricorda certi miei versi civili di 40 anni fa – che come si dice trovano il tempo che trovano – (eppure il Linguaglossa e altri dicono che già da allora erano fuori schema, e in senso positivo “inclassificabili” e ancora adesso validi – bontà loro! -. Ritorno a Lei e come esempio Le indico del secolo trascorso “La terra marcia” (non “desolata” come impropriamente tradotta) di T. S. Eliot; poi “La nuvola in calzoni” di Majakovskij (traduzione di Ripellino) e i miei:
    il poema “Oxford” (che troverà in blog di Abele L.), oppure il poema “Oriana” e altro (digitanto Sagredo-Longo//Ennio Abate//Linguaglossa). Mi consideravo un poeta tradivo (sempre gli stessi “altri” mi dicono di no), non pensi alla sua età ma all’età della Poesia che non ha età: Lei ha il tempo e un nuova forma che l’aspettano. Sempre il buontempone di Giorgio L. Le ha detto che è oltre certe situazioni, e vada avanti!
    Antonio Sagredo
    ——————–
    Le invio dei versi:
    ———————————
    La città violata

    Ancora una volta sei sceso dalla scala di Giacobbe
    negando al celeste incornato un’assoluzione cardinale.
    Per una simulazione tutte le lacrime si sono ritirate,
    come un ghiacciaio nel suo eremo, sdegnato come un raccapriccio!

    Tutte le lacrime sono tornate… di nuovo non puoi più celebrare
    il cristallino, e la tua pace bovina dietro una quinta cartapestata.
    E hai ritoccato la vita di chi coi miei occhi il trucco è magistrale,
    perché non potesse il futuro declamare dalle meridiane alle clessidre.

    Hanno giocato al barocco, i filistei, non col salubre favonio,
    non puoi più mirare i balconi gonfi come seni matriarcali,
    gli ematomi dei vicoli avvinazzati, il chiacchiericcio
    dai portali stemmati al perlaceo smalto di leuca,
    le grigie cariatidi , e i lordi scrosci dei trivi.
    Città, dove ti ritrovo? È seccato il leccio, e uccisa è la lupa
    dalla ferrigna altalena… sono fuggito dalla tortura cattolica,
    non ho più voluto vedermi in croce o sul rogo!

    La sacra finzione e l’ostia avete barattato con la cecità di Orfeo!
    Di nuovo al ricordo hanno preferito la condanna di un miserere
    e a un sogno di tufo il pietoso conforto di una visione ballerina!
    Mi hanno tolto il mio passo e le mie strade,
    questi adoratori del restauro, questi professionisti delle novità!

    E presagire voglio almeno uno scacco al Canto,
    e non un suono hai predetto su una lettera miniata,
    non un capoverso che ha per stendardo il mio furore
    perché il sangue ha già dettato il suo ventriloquio
    e sentenze sparse come sterili chicchi sui patiboli,
    ma non sai che la memoria non ha progenie
    e desolato tu ancora mi sussurri la mia campana
    e la tua mano, che abbandonò l’oblio – e il tuo presente.

    antonio sagredo

    Maruggio/Campomarino, 6/9/13 agosto 2011

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    1. Salve Antonio, e tranquillo, non mi formalizzo, né per il Gabry né per il poetessa. Non ho l’abitudine di chiamarmi, lascio la scelta della modalità ai miei interlocutori. La rabbia… dice bene. Ancora qualche residuo, ma nulla in confronto a quanto già sputato fuori un paio di anni fa, nell’Oltraggio citato dal mefistofelico Giorgio. Ora credo sia un ingrediente tra i tanti, non più il motore. In tutta sincerità, non miro alle accademie, alle antologie, ai prontuari o ai sussidiari. Mi piacciono i lettori curiosi, i non addetti ai lavori, quelli non “prevenuti”. Amano o non amano, sentono o non sentono. Basta e avanza come giudizio. E lo faccio col linguaggio che ho re-imparato a usare dopo gli studi di lettere, dopo la necessaria tabula rasa. Per chi maneggia la parola è più facile nascondersi dietro la forma anziché svuotarsi l’anima, in maniera spontanea e comprensibile a tutti. Ma soprattutto vera. C’è tanta morte in giro tra i poeti e la poesia… Lei la chiama classicismo, io morte. Apartheid deliberato, narcisistico ed egocentrico. Durare nel tempo è una pretesa assurda che rischia di far perdere di vista il presente. Penso a una battuta nell’Amarcord, di Fellini, in cui il giovane Titta risponde cosi al prete che, in confessione, gli chiede se onora il padre e la madre: “Io li onoro, sono loro che non mi onorano a me…”. Io onoro e rispetto tutta la poesia in circolazione, se poi è la mia a non essere onorata, mica posso farci niente… Meglio fuori dagli schemi, che invischiataci dentro. Non ci si campa qui coi versi, giusto? almeno la libertà, che non ha prezzo. La ringrazio per i suggerimenti e i versi citati, ho orecchi per tutti i consigli. e grazie per l’incoraggiamento. Continuero’. Su questa strada, ahimé… Gabriella

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  4. cara Gabry,
    penso che chi legge poesia, e la tua poesia, come me non può non notare come dal primo libretto “Oltraggio all’ipocrisia” (2011) al secondo “Arsenico” (2012), fino a queste poesie che, penso, faranno parte di un terzo libro, il tuo stile e la tua padronanza di maneggiare i tuoi utensili letterari siano andati migliorando. Sei un autore in crescita. Ma voglio essere sincero, ha un difetto: fai un tipo di poesia che qui in Italia, dico nella tradizione italiana, è vista un po’ sotto gamba, viene vista come una poesia “facile”, di genere minore, una poesia da attaccabrighe, eccessivamente laica e poco “liturgica”, poco ammaestrata. E tu sai che c’è in Italia (paese finto cattolico e finto post-comunista) un eccesso di liturgie, un fraseggio di buoni parlari, vedi tu come le poetesse della vita felice siano un po’ tutte simili, si somigliano tutte, così come quelle di lietocolle, e di altri editori (ciascuno ha il suo piccolo allevamento di galline) sono polli allevati in vetrina, nelle vetrine dell’editore. Ecco, la tua poesia ha il merito (o, visto da un altro lato, il demerito) di fuoriuscire dalla solita paccottiglia del sentimentalismo e dei buoni parlari. Ma credo che troverà chi arriccia il naso e dice: ma questa roba qui non è poesia, è poesia alla Bukovski… cioè pseudopoesia. Voglio dire, cara Gabry, guardati da quelli che ti fanno delle smorfie e delle moine, sono i primi a criticare la tua poesia non appena svolti l’angolo…

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    1. caro Giorgio, conosci bene il mio percorso, letterario e umano. Non ci perdo su tempo. Sai che guardo poco all’Italia, ormai da tempo. Ci lavoro da fuori, a distanza di sicurezza. Non sono qui i miei riferimenti, né li cerco. Stessa distanza che vorrei avere anche dai benpensanti della poesia aulica, autoreferenziale, liturgica e, in definitiva, pallosa… Perché di questo si tratta. Pallosa. E non lo si dice abbastanza. Rimango dell’idea che sia più difficile fare poesia “facile”, o comunque partire da essa per cercare nuove forme e nuovi contenuti al passo coi tempi. Altrimenti, davvero, che la poesia muoia e con lei tutti i suoi sicari. Le distanze anche dagli allevamenti di polli e galline in batteria ormai son prese, la strada mi è chiara. se è un strada poco praticata, tanto meglio, non ci si pesterà i piedi. Faro’ attenzione dietro agli angoli, sono una che non si fida nemmeno della sua ombra. ma di te, si. Ciao.

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  5. Caro George, spero che non sono tra quelli che fanno smorfie da faine (moine!)<<<<<<<<< SCHERZO…
    "il tuo stile e la tua padronanza di maneggiare i tuoi utensili letterari siano andati migliorando" dunque la pensi come me… bravo! A. S.

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