Intervista Senza Domande a Alessandro Assiri (di Flavio Almerighi)

 

Intervista senza domande a

Alessandro Assiri – Lettere a D. – Lietocolle Editore

Alessandro Assiri mi piace, anche come persona. Ha talento ed è un ottimo affabulatore, partecipare a una sua lettura è un’esperienza a dir poco brillante. Lettere a D. è un libro che colpisce, fatto di non poesie, forse prose poetiche, o comunque si voglia definirle, sempre che sia importante “definire” in poesia.

Questo bel libro, tutto sommato, è un cassetto pieno di foto, ricordi, qualche ritaglio di giornale. Non è un libro da descrivere o recensire, basta leggerlo. E c’è anche tanta Bologna in questo cassetto. Sì, Bologna, un tempo città ricca di fermento creativo e furore giovanile ora, anziana e in disarmo, assistita dalle sue numerose badanti, apre i cassetti vive di ricordi per sentirsi più giovane. Sapendo che non tornerà mai più a esserlo.

Un documento, un libro che fotografa una discesa in atto, un libro a suo modo potente, poesie che sanno di non poter cambiar nulla, ma da leggere. (Flavio Almerighi)

 

*

 

“Alla parola inventi sempre differenze che ritieni decisive”
Sai qual è il punto caro Flavio, è che alla Gaber facciamo finta di nulla essere sani, sono queste le differenze decisive.

“Perché di ogni uomo sogno il successivo”
Dimmi cosa c’è tra questo nulla e me, quella menata Rimbaudiana dell’ io è un altro. L’io siamo noi che ci piaccia o meno

“Ascoltavo il farsi fottere delle nostre rivoluzioni”
Le rivoluzioni, comprese quelle mancate sono tutte bellissime e false, in fondo mi piacciono poco, come i movimenti dal basso, dal basso viene solo la colite

“In quello stare che per me è solo casa da abitare”
Appartengo ai nomadi affettivi, a quelli che desiderano così tanto i ritorni da aver dimenticato dove. La casa è dove appoggio quattro cose

“Nascosto neanche bene dentro qualche verso “
Se il poeta è un fingitore, e ci credo il giusto, finge quasi sempre male, esiste una sola distinzione la buona poesia e quella scadente, la buona è trasparente.

“Ascoltavo i ricordi in agguato”
In fondo caro Flavio sono i morti quelli che riaffiorano, tutto al più gli stronzi che galleggiano. C’è un detto che dice che toccato il fondo si può solo risalire, io credo da nichilista impenitente che si possa anche cominciare a scavare.

“Chi scende è sempre un altro da chi risale in superficie”
Non so quanti lettori abbia questa anomala intervista, ma ti faccio una confessione, sono quasi teologo e la divisione tra il tempo sacro e quello profano è una cosa che mi ha sempre affascinato molto

” gli ingressi che si somigliano tutti”
Si gli ingressi si somigliano tutti, forse non siamo “gettati” nel mondo, ma nessuno ha mai chiesto di venirci, le uscite quelle mi interessano sia che si tratti di uscite di scena o di porte socchiuse per pararsi un po’il culo lasciando uno spiraglio.

“Fidarsi degli uomini è farsi uccidere un po”
Siamo degli inguaribili creduloni, inventiamo favole, immaginiamo mondi che non sappiamo mettere in pratica, dovremmo tenerci in mente la Galbani la fiducia è una cosa seria che si da alle cose serie…

“Sembravamo tratti da una storia vera”
Ti dicevo che mi piace solo la scrittura che in qualche modo somiglia a chi la scrive. Vorremo tutti essere Buk beoni, dissoluti e sregolati e arrivare in là con gli anni

“È troppo tardi per ricominciare da zero”
Non credo in un carattere salvifico delle cose, tantomeno nella redenzione della scrittura, chi scrive contamina, inquina, indietro non torna.

“Aspettavo tu volassi in mio soccorso”
Che qualcuno ci venga a salvare infatti è la sindrome di Robinson, lo speri, ma poi ti adatti

Un caro saluto
Ale D. e tutti gli altri

 

 

 

A D. Che non butta via niente

facevi una vetrina coi tuoi sogni
soggiornavi nelle tue regioni senza orizzonte
chiamavi ogni cosa come da dietro una parete.
Mi facevano sorridere le tue inutili manovre per rimediare ai disastri
sembravi un bambino che per pulire allargava la macchia
un dito che stuzzicando allarga il buco.
Restavamo sempre lì come fossimo la prima parte di qualcosa da
[completare
restavamo insieme ad aspettare gli anni
così come si aspettano le idee per sempre inconcludenti
per timore di concluderci. Avevamo ancora un nome per ogni
[rivoluzione
stavamo a margine di tutto con quel modo inconsueto che hanno solo
i vecchi di rimanere in disparte
le battaglie perdute in un mazzo di carte.

 

*

 

Alessandro Assiri Alessandro Assiri nasce nel 1962 a Bologna, risiede da molti anni in Trentino. Prima di La stanza della poche righe (Manni, 2010) ha pubblicato Quaderni dell’impostura, uscito per Lieto Colle nel giugno del  2008. Corredato da fotografie di Massimo Saretta e note critiche di Chiara de Luca e Alberto Mori. Sempre per Lieto Colle la silloge Modulazione dell’empietà segnalato al premio Lorenzo  Montano  XXI Edizione. Con Aletti Editore pubblica nel 2004 Morgana e le nuvole e nel 2006 Il giardino dei pensieri recisi raccolta in prosa poetica con prefazione di Paolo Ruffilli, finalista al  Montano XXII Edizione. Con Chiara De Luca pubblica per Fara Editore sui passi per non rimanere novembre 2008. Co-curatore del progetto “Poeti a Nord-Est” che si occupa di creare sinergie tra artisti prevalentemente del territorio e di portare la parola poetica all’interno delle scuole, con seminari e dibattiti. Fa parte della redazione della neo-nata Kolibris Edizioni e del comitato editoriale di Opera prima, collabora con altre riviste sia cartacee che telematiche. Nel 2016 esce con – Lettere a D. – Lietocolle Editore

3 risposte a "Intervista Senza Domande a Alessandro Assiri (di Flavio Almerighi)"

  1. Mi piace la definizione di Bologna che dà Flavio. Visto che a Bologna ho passato i miei furori giovanili, mi procurerò il libro. Bella e amara la constatazione di Alessandro Assiri su “Ascoltavo il farsi fottere delle nostre rivoluzioni”… e comunque una rivoluzione era una meravigliosa prerogativa (le rivoluzioni non si addicono più ai tempi oramai, in cui comodamente metti un “mi piace” a tutto e al contrario di tutto). Mi ritrovo anche nell’appartenenza ai “nomadi affettivi”, “a quelli che desiderano così tanto i ritorni da aver dimenticato dove. La casa è dove appoggio quattro cose”. E la poesia non è che una di queste case… questo spiega perché piace “solo la scrittura”, “ che in qualche modo somiglia a chi la scrive.”

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  2. l’autore era partito bene, citando Gaber, ma poi quell’affronto personale, per il quale mi sono ritenuto giustamente offeso ha sparigliato l’idillio creato dalle sue risposte telegrafiche.
    : )
    ma come si permette, dico io??!? se si parte dall’assunto che dal “basso viene solo la colite” ne segue inevitabilmente che: (a) anch’io vengo dal basso, essendo nano, quindi divento un fastidioso attacco di diarrea; (b) si finisce per negare a priori tanto il profumo dei fiori quanto l’olezzo del letame, restando ripiegati su se stessi ad ascoltare i borborigmi dei propri visceri come sterili aruspici dell’ego…
    chiedo venia per la mia replica piccata, ma l’autore che è anche “quasi teologo”, dovrebbe ben sapere che, come riporta la Bibbia: “poiché hanno seminato vento/raccoglieranno tempesta”.
    : ))
    e tempesta sia, dunque. non trovo onesto contrabbandare come dato di fatto la generalizzazione che “vorremo *tutti* essere Buk beoni, dissoluti e sregolati” senza ricondurla alla visione della realtà relativa e distorta di una soggettiva forse sociopatica dell’autore. ad esempio, io non vorrei mai essere zio Buko e, per fortuna, neanche buona parte delle persone che conosco. zio Buko era, per l’appunto, un simpatico sociopatico affetto da rude maledettismo machista, cosa che negli anni lo ha reso dannatamente cool. ti dirò, per contro, fin da quando sono rimasto piccolo mi hanno maggiormente appassionato i dubbi, le fragilità e le debolezze degli esseri umani troppo umani, ovvero, in altre parole, mi colpiscono autori la cui vita è piena di se più che di sé.
    : )
    concordo, invece, sul fatto che non è detto che “toccato il fondo si può solo risalire, si può anche cominciare a scavare” (come suggerisce il proverbio: “non c’è limite al peggio”). eppure, scavare a volte non è strettamente indispensabile, visto che alcune persone si eccitano non solo toccando culi e tette, ma anche toccando il fondo, onde per cui di toccata in ritoccata entrano in loop.
    tra tali persone c’è sicuramente zio Buko e ciò spiega molte cose.
    : )
    scherzi a parte, grazie degli spunti di riflessione tanto a Flavio Almerighi quanto a Alessandro Assiri.

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