Il fascino del genere del romanzo epistolare è confermato ancora una volta da quest’ ultima pubblicazione di Pasquale Vitagliano, Le voci del Pretorio. Una storia incredibile. Dall’intenso carteggio che intercorre tra Stefano, magistrato, e Daniele, giornalista, si dipana un’ intricata e torbida storia di amicizia, di amore e di morte, in cui i ruoli dei personaggi si intrecciano e si sostituiscono, attraverso una trama appassionante e insolita fin dalle prime pagine.
Al di là della storia delineata dallo scambio epistolare, che produce come effetto immediato il piacere della lettura, l’aspetto più interessante del romanzo di Vitagliano è il suo livello metanarrativo. Lo stesso scrittore, in un intervento di chiara natura poetica, afferma ad un certo punto che su queste pagine si scriva una storia la cui trama sia priva di contraddizioni, di incongruenze, di ombre. Più che una dichiarazione di poetica, si tratta di una vera e propria provocazione. La trama infatti è complessa, ingarbugliata, non credibile (il sottotitolo è piuttosto eloquente): il giallo viene smontato nel momento stesso in cui è costruito, alla maniera sciasciana, direi, o gaddiana, e appare senza soluzione, senza un tradizionale scioglimento. Daniele, Stefano, Rosaria, Elena, Giuliano, burattini e burattinai della vicenda, si ritrovano infatti in un pasticciaccio sempre più complicato; per dirla con Ingravallo, in uno “gliuommero”, un garbuglio, un vortice, un punto di depressione ciclonica, generato da una rosa di causali, che il lettore ricerca per osservare la fenomenologia degli eventi, più che gli eventi in sé. Un’occhiata all’indice può essere utile per cogliere la scelta dell’autore di destrutturare il racconto. Esso sembra dominato da un certo disordine apparente; però, come direbbe Saramago , il caos è un ordine da decifrare e il lettore è sfidato a decodificarlo, a tentare di comprenderlo. La serie di numerali ordinali che contraddistingue i capitoli è spesso interrotta da intermezzi, svolte, rivelazioni, disvelamenti, termini che in un giallo tradizionale aiutano a scoprire progressivamente il gioco, ma che in questo romanzo cambiano di segno. Per esempio lo scrittore si diverte con la parola rivelazione, e con il suo sinonimo più popolare, disvelamento, (rispettivamente, per una connotazione più discreta e una più diretta), che non rivelano pressoché nulla. La verità sfugge continuamente e anche la versione finale non appaga il desiderio di afferrarla.
L’ordito di un tale “gliuommero” è una scacchiera sulla quale i pezzi si muovono con le mosse della menzogna, dello smascheramento, dell’atto mancato e dei cambiamenti di luogo, reali (Milano, Caserta, Trani, Avigliano, i Balcani) e immaginari (Avalon). È subito chiaro come il gioco degli scacchi sia fortemente allusivo al motivo del doppio, degli opposti, e i giocatori dirigano i pezzi attraverso una galleria di specchi infinita e inconoscibile, che li rende uguali e intercambiabili.
Il romanzo epistolare è, anche in questo caso, un romanzo di introspezione e scavo nelle zone d’ombra della psiche e della vita dell’individuo. Il carteggio lascia intravedere l’immobile ombra del dolore che non cambia mai, se non nella forma, unicamente nella forma. E sebbene non sia possibile per i protagonisti trasformarsi in lucidi e lontani osservatori del dolore, e salvarsi dando ad esso una forma misurata e accettabile -che una struttura testuale canonica avrebbe rappresentato nel suo habitus- accade tuttavia che esprimersi è l’unico modo che hanno a disposizione per anticipare un sorta di liberazione. E la parola scritta offre a loro quella facoltà, che le è propria, di non poter essere ascoltata, intercettata, e quindi alterata, snaturata, e affida solo al lettore il privilegio di una “rivelazione”, perché egli ritrovi anche se stesso in una storia incredibile.
È un romanzo strano questo. Prendo in prestito le parole di Arreola in Confabulario per definire quello che mi resta dentro: “ Credo che questo sia insolito: lasciare lettere aperte sul tavolo perché Dio le legga”.
Amo i romanzi intriganti, ingarbugliati e fitti di misteri! E’ nella mia lista per l’estate. Grazie, Roberta.
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Grazie a te Abele. Un bacio
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la metanarrazione è l’unica forma d’arte più intrigante della metafisica.
: )
bellissima recensione. mi frena un po’ il format del romanzo epistolare (sicuramente non il mio preferito), ma adoro giocare a scacchi allo specchio… quindi credo proprio che seguirò l’esempio di Abele.
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Eh appunto, questo non é un format ma un epistolario originale. Mille grazie Malos. Un grande abbraccio
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