Pasquale Vitagliano: Danilo Dolci e l’ “intelligenza collettiva”

Passeggiando per la Firenze del XVI secolo ci si poteva imbattere in Michelangelo, Leonardo, incrociare Raffaello, sentir parlare di Machiavelli. Secondo alcuni questa “contestualità” sarebbe la dimostrazione che l’intelligenza non è solo una dote individuale. Può essere anche l’attributo di un’intera epoca. Se ciò fosse vero, mi chiederei se collettive possano essere altre doti umane, la santità, per esempio, o il civismo. Ed è ovvio che di seguito sarebbe possibile fare lo stesso discorso intorno ai talenti negativi, senza neppure scomodare il tema della “banalità del male” di Hannah Arendt. Il primo a parlare di “intelligenza collettiva” è stato lo studioso francese Pierre Lévy. Esistono, secondo questo concetto, legami sociali che non sono fondati su appartenenze territoriali, relazioni istituzionali, o rapporti di potere, bensì sulla condivisione di culture, saperi, sensibilità, comunità, intorno a modelli di apprendimento cooperativo e a processi aperti di partecipazione. Si diventa parte di una comunità all’interno della quale l’individuo non rischia di perdere senso e identità ma diventa protagonista di un processo di emancipazione e civilizzazione. Al contrario ogni persona ha la possibilità di esaltare il proprio talento e allo stesso tempo espande la capacità produttiva dell’intero gruppo.Se ripercorriamo il processo storico che dal periodo della “Distensione” porta alla caduta del Muro di Berlino, non possiamo non confrontarci con una vera e propria squadra di testimoni di pace: Ernesto Balducci, Alex Zanotelli, Luigi Bettazzi, e poi David Maria Turoldo e il nostro don Tonino Bello. Per molte mosche cocchiere del pensiero unico pragmatico e cinico, abbiamo citato delle “anime belle” senza costrutto, degli inutili santi. Ed invece è difficile pensare a quello che di epocale è accaduto a fine anni ’80 senza il contributo di un clima e dentro uno scenario fortemente influenzato dal passaggio terrestre di quelle testimonianze. In questa connessione storica personalmente intravedo la presenza laica della “profezia”. E’ possibile cogliere, anche in questo caso senza alcuna casualità, un nesso tra impegno civile per la pace, protezione del territorio e vocazione poetica. Tutti le personalità di questa “squadra” sono anche autori di testi importanti, hanno coltivato la scrittura e la poesia in particolare. Il cardine più visibile da trovare in questi legami sarebbe proprio con l’etimologia della parola poesia, “poésis”, fare, creare. E dunque per sequenza logica, prendersi cura, abitare, proteggere.

Turoldo si cimentò anche con un’altra espressione poetica, il cinema. Da un suo racconto, Io non ero un fanciullo, Vito Pandolfi trasse il film Gli ultimi, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1962. Non si riuscì invece a realizzare il film ispirato a Danilo Dolci. La pubblicazione con Einaudi dei Racconti Siciliani, nei quali Dolci, attraverso una serie di storie anonime, una “Spoon River” del nostro Sud, racconta la vita del “proletariato degli stracci” in una Sicilia metafora nazionale, fa nascere nel regista Gian Franco Mingozzi l’idea di un film-documentario su di lui. La violenza, questo il titolo, sceneggiato da Cesare Zavattini, e commentato dallo stesso Dolci, avrebbe dovuto raccontare la sua biografia e, attraverso questa, la violenza della vita nelle campagne siciliane. Per ristrettezze economiche, tuttavia, il progetto non avrà termine. Se la tecnologia digitale ha favorito il diffondersi di questi nuovi legami sociali, è indubbio che questi modelli d’interrelazione fossero già impliciti nell’azione di Danilo Dolci. Né credo sia casuale la sua spiccata capacità attrattiva di intelligenze e sensibilità individuali. Comprendo come Danilo Dolci affascini persino un autore come Aldous Huxely, attratto dalla combinazione inedita tra pratica scientifica e sensibilità poetica. «Non esiste poesia di massa: semmai il poetare aiuta la massa a liberarsi in organismo. La poesia richiede concentrazione capace di ascoltare ed esprimere profonde interrelazioni. Come può avvenire l’incontro fra poesia e moltitudini? Ogni poesia e agire pubblico». Ecco che il nesso che avevamo intuito tra poesia e azione trova una legittimazione concreta e imparziale.

Di questi profeti Danilo Dolci fu il più precoce. Oggi le esperienze di mobilitazione civica sono diventate fenomeni diffusi, addirittura soggette ai difetti delle “mode” temporanee, pensiamo anche alla terminologia anglofona dei flash mob, del guerrilla gardening, del mass moving, eppure radicati e ormai fondamentali nella costruzione di una democrazie partecipativa e generativa (penso nel mio territorio all’esperienza di “Puliamo Terlizzi”). Nell’Italia degli anni ’50, invece, si rischiava la galera per aver organizzato dei cittadini al fine di sistemare una strada pubblica, un bene comune. Sotto il profilo del metodo di azione collettiva, Danilo Dolci fu davvero pioniere di uno scenario culturale che è diventato il nostro orizzonte quotidiano. Se infine confrontiamo il pensiero di Dolci con la linea della “decrescita felice”, le assonanze sono sorprendenti. Egli denuncia lo spreco di risorse naturali, ma anche umane, e dissipazione di conoscenze. E qui sta la sua peculiarità, nella centralità data all’analisi e alla formazione delle classi dirigenti. “Il più alto potere non è tanto nelle mani del politico ma spesso, con giochi complessi e smaliziati, nelle mani di chi ha più denaro (…), non altrettanto timidamente è stato finora osservato, mi pare, che a livello internazionale i modelli di relazione all’interno dei gruppi e tra i gruppi stessi sono facilmente quelli primitivi della clientela e del sistema mafioso-clientelare” (in Spreco, 1962).
Pasquale Vitagliano


4 risposte a "Pasquale Vitagliano: Danilo Dolci e l’ “intelligenza collettiva”"

  1. Caro Pasquale
    Il nesso che trovi “tra impegno civile per la pace, protezione del territorio e vocazione poetica” accomuna senz’altro quella che tu hai chiamato “squadra”. Abbiamo parlato giorni fa del nostro don Tonino Bello, che ho scoperto nel frattempo che anche a lui Dolci aveva chiesto un parere sulla sua “bozza di manifesto”, contenuta in “Comunicare, legge della vita”, a sottolineare la grande stima tra i due. Eppure, oltre ai punti in comune che hai sottolineato tu, trovo anche, ed è inevitabile, delle differenze (Dolci, ad esempio, più che “laico”, a me sembra vada oltre le religioni). A proposito di “santi”, ecco cosa dice Dolci a Spagnoletti: “Ci si forma l’idea dei santi come fossero tutti simili fra loro, ma c’è chi arriva a una propria perfezione per una strada, chi per un’altra. Ho conosciuto personaggi come Di Vittorio, per esempio, che a suo modo era giunto a essere un santo attraverso la falce e il martello; ho trovato un sacerdote come don Zeno che ci è arrivato attraverso le candele; e infine, un uomo come Aldo Capitini, la cui strada era stata tutt’altra. Nel fondo, queste persone autentiche alla base hanno qualcosa in comune: una visione profonda della vita, il modo di attingere alle radici di essa cercando di guarire, costruire, integrare.” In fondo anche quello che dici tu, molto efficacemente, a proposito della poesia: ‘Il cardine più visibile da trovare in questi legami sarebbe proprio con l’etimologia della parola poesia, “poésis”, fare, creare. E dunque per sequenza logica, prendersi cura, abitare, proteggere.’

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  2. ottimi spunti di riflessione. grazie a Pasquale e ad Abele.
    sull’intelligenza collettiva, da un punto di vista biologico, la risposta alla domanda “mi chiederei se collettive possano essere altre doti umane” è certamente sì. è noto, infatti, che la selezione naturale agisce per gli animali sociali (l’uomo è, al di là di facili battute, un animale sociale) in modo duplice, ovvero, sia sul singolarmente sull’individuo sia in modo complessivo sul “gruppo-comunità”: la sopravvivenza dell’individuo (e quindi la trasmissione del patrimonio genetico) può essere favorita o ostacolata, a seconda dei casi, sia dalle caratteristiche del singolo individuo che dalla funzionalità dell’interazione sociale all’interno del gruppo-comunità.
    circa i “talenti negativi” collettivi, beh, la biologia si fa un baffo dei nostri concetti morali, eh eh… intendo, se un talento è negativo in senso biologico, ovvero rende più difficile sopravvivere al singolo e alla comunità, verrà gradualmente eliminato dalla popolazione. ma se è “negativo” solo in senso “morale” ma favorisce la sopravvivenza del singolo e della comunità, ovviamente persisterà ed anzi verrà premiato dalla selezione naturale. ne è un esempio la xenofobia nello studio di Choi et al. Del 2007 che hanno utilizzato un modello di teoria dei giochi evoluzionistica ed effettuato migliaia di simulazioni analizzando i vantaggi evolutivi portati dalla xenofobia e dell’altruismo. la simulazione ha mostrato che i gruppi che conseguivano un maggiore successo erano proprio quelli dotati geneticamente di altruismo *ristretto*, cioè da una commistione equilibrata di “gene xenofobo” e di “gene altruista”, suggerendo la possibile coevoluzione di questi due tratti comportamentali.
    spero di non essere risultato prolisso e noioso, ma l’argomento è molto stimolante.

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  3. però, ripensando a quanto scritto nell’articolo devo – perdonatemi, la mia fama di nano rompiballe non si smentisce mai – aggiungere anche una nota critica circa il delirio della “decrescita felice”, che da un punto di vista macroeconomico grida vendetta.
    la decrescita può essere felice per i grandi capitali internazionali e per le banche, un po’ meno per chi si trova costretto a rovistare nei cassonetti o a chiedere un mutuo. quello della “decrescita felice” è un tentativo (riuscito, a giudicare da come ha attecchito presso le sinistre astrattiste e buoniste) del pensiero unico liberista di far accettare con animo lieto e remissivo a popoli sempre più poveri (Oxfam docet) contraffazioni della scienza economica e della logica a beneficio delle élite. il solito trucco vecchio quanto il mondo sfruttato dal ministero dell’Amore (1984 di zio Giorgio docet): vi impoveriamo, ma questo è anche un bene così riduciamo i vostri consumi immorali, inquinanti e corrotti, i vostri sperchi…
    ma buon dio, il PIL, come ho cercato di spiegare qui https://neobar.net/2017/04/15/concetti-basilari-di-economia-internazionale NON è un nemico o qualcosa di alieno, è la somma dei redditi di un paese, ovvero siamo noi. perché castrarci da soli, dunque, con la “decrescita felice”? la riconversione energetica, la ricerca, l’innovazione ecosostenibile e così via, aumentano il PIL!
    boh, mi tornano in mente Dario Fo e Jannacci: siete poveri ma state contenti, così inquinate meno, perché sempre allegri bisogna stare, ché il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam…

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  4. Le intelligenze e anche i caratteri forti di persone come quelle citate nel testo, motivate a realizzare le proprie idee si fanno inevitabilmente guida per la collettività, anche in scenari come sempre in netto contrasto e quasi imbattibili. In questo senso condivido che “condivisione di culture, saperi, sensibilità, comunità, intorno a modelli di apprendimento cooperativo e a processi aperti di partecipazione” formino legami sociali importanti, e che ogni esperienza di vita, dall’arte all’impegno civico, alla ricerca scientifica, così come anche attività apparentemente meno correlate con le decisioni nel campo politico e sociale, come lo sport o semplicemente fare bene il proprio lavoro, possono riflettere quella forza positiva e ispirare le masse. Per controparte giustamente la stessa efficacia possono averla leader negativi e di esempi odierni non ne mancano. E a volte mi stupisco di come le persone possano passare dalle stelle alle stalle pure se sono in versione “popolazione”. Cioè mi ha sempre lasciato perplesso, (ma non vorrei dire una inesattezza non essendo del mestiere), il fatto contraddittorio che se facciamo una serie di domande ad una singola persona e poi le stesse le rivolgiamo ad un gruppo di persone, sicuramente nell’ultimo caso otteremo risposte più complete e interessanti, ma pur tuttavia se cerchiamo di convincere un singolo a fare qualcosa di palesemente sbagliato è più difficile che convincere un gruppo, il quale forse è più vulnerabile ai condizionamenti o si deresponsabilizza un singolo alla volta per l’effetto della semplice presenza degli altri, da qui a volte i miei dubbi sul signficato di intelligenza o saggezza o buon senso collettivo. Il discorso sfocia inevitabilmente sul necessario controllo delle masse da parte dei governi e anche qui oggi fra disinformazione sistematica, ( di recente ho appreso che gran parte delle fake news che circolano per il “far web” partono dagli uffici della camera e del senato.) e strategico mantenimento della povertà e dell’ignoranza, di esempi non ne mancano. Insomma mi sembra davvero un punto cruciale quello toccato dal testo proposto qui sopra, qualcosa di essenziale per un vero funzionamento della democrazia e la possibilità di una convivenza pacifica fra la pluralità di posizioni politiche e culturali presenti sul teritorio.

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