musicazzotto nellorecchio: edizione straordinaria

e poi capita qualcosa che non ti aspetti: finalmente esce “Maledette Rockstar” dei Maisie e il mondo ti sembra subito un po’ meno odioso. con questo, nessuna pretesa che l’album possa emendare le tante storture del mondo. più che altro potrebbe accadere che, dopo averlo ascoltato e riascoltato decine di volte, vi sentiate meno soli.
ma andiamo con ordine. i Maisie (nome tratto dell’omonima canzone di Syd Barrett) sono un gruppo art rock italiano nato nel 1995 a Messina. fino al 2005 cantano in inglese, poi in italiano. “Maledette Rockstar”, il loro terzo album “nostrano”, annunciato nel 2011 è uscito a gennaio 2018.
e già qui la prima nota di amara riflessione: in sette anni il panorama politico è rimasto immutato, come ci testimoniano “Un programma politico minimale inefficace, ma parecchio divertente” seguito a ruota da “Saggio breve di straordinaria sagacia sul rapporto fra la sinistra italiana e i suoi elettori tra il 1994 e il 2013”


notevole, eh? di certo siamo distanti anni luce dalle produzioni “politicamente corrette” o “checcozalonate” delle rockstar progressiste nostrane e dalle canzoni vacue e patinate che hanno accompagnato la kermesse sanremese. il fatto è che i Maisie hanno coraggio e talento da vendere, anzi, da NON vendere, ovvero se ne fottono delle strategie di mercato, dei ragionamenti opportunistici, dei cliché stilistici nonché del senso della misura (“Maledette Rockstar” è un DLP con dentro 31, ripeto 31 canzoni, dieci delle quali durano ben più di 5 minuti!!!). i Maisie vanno dritti al dunque, mostrando un’attitudine più “rock” che “art” e più “punk” che “pop” anche quando si impegnano in trame musicali rarefatte, naif o sperimentali, nel senso che riescono sempre e comunque ad urticare e a risultare schietti/genuini. si lasciano toccare con mano, i nostri eroi, anzi, di più, ci prendono per mano, ci fanno diventare tutti dei “Francesco” folgorati da lampi di paura.

brrr… ha una potenza affabulatoria, la musica dei Maisie, che davvero stordisce, corrode, ti entra dentro e ti riconcilia con le tre pietre angolari della narrazione, ovvero “le storie, le storie, le storie”. e, in effetti, recitate a volte come sceneggiature teatrali a volte come favole per bambini, le storie prendono sottobraccio la musica (e vice versa) generando un’emozione immersiva e catartica: durante le oltre due ore di “Maledette Rockstar” l’ascoltatore non può che passare dal riso al pianto un numero infinito di volte mentre condivide sogni, bisogni e frustrazioni di anti-eroi e perdenti alle prese con call-center, anoressia, corvacci, disturbi psichici, comparse nei film di Boldi e similia. soprattutto la sensazione è quella che non essendo possibile cambiare la società, proprio lo scarto, il senso di impotenza, la frustrazione continua e infinita non possa che innescare come via di fuga un triste scenario di alienazione mentale.


il tutto mentre la fiction di regime ci decanta un mondo “senza conflitti sociali e noiosi dubbi esistenziali” (“Benvenuti in paradiso”), mentre il senso di frustrazione ci uccide perché “le canzoni non servono a niente e anche i film non servono a niente” (“War!”) e mentre tra amnesie, indifferenza e stupri senza violenza combattiamo una guerra “…ma il nemico dov’è?” (“La ballata della leggerezza”). un tentativo di risposta potrebbe essere “Ruderi e macerie”, dove tra filastrocche, passi biblici e cori russi fanno capolino, tutti con le mani sporche di marmellata Hitler, Obama, Isis e Papa Francesco. oppure potrebbe essere che il nemico sia soprattutto la ricerca dello “share che si impenna” (in senso tanto allegorico quanto cavernoso e cavernicolo) come suggerisce “L’atroce vendetta del nanetto Pingping” contro il grande fratello mediatico incarnato da Barbara d’Urso (occhio: testo da bollino rosso).
cosa ci resta, come disperato e risibile tentativo di insubordinazione? la “macchia di sangue sulla confezione del latte condensato Nestlé” o il pezzo strumentale dal titolo “dottor Marchionne, mi dispiace doverle comunicare che il suo tumore è maligno: le restano al massimo due Settimane di vita”.
no, dai, aspetta, forse possiamo ancora chiedere aiuto a Gesù.

azz… niente da fare. aveva ragione Nietzsche, Dio è morto.

e il fatto che sia ormai giunto il momento di guardare in faccia la realtà e di convincerci che davvero non c’è più speranza (tutti finiremo come la “povera, piccola, ingenua Anna, dolce creatura che, sperando, morì”) è attestato dall’incredibile insalata di lougocomunismi che ormai alberga nelle menti di tutti. siamo mentalmente disturbati da una tale accozzaglia di permeismi, di vere verità e false verità che mescolando il tutto diventa praticamente impossibile ricondurre il ragionamento entro l’alveo di un minimo buon senso o almeno della logica.


ma allora… siamo condannati a una cupa e ironica rassegnazione!? cazzo, almeno, se non tutta la musica, salviamo almeno il rock… sì, dai salviamo il rock! sarà anche vero che “le canzoni non servono a niente”, ma la musica è importante! Schopenhauer scrisse che “la musica è metafisica in suoni”! salviamo le rockstar, i nostri idoli! niente da fare: non bastasse la title track “Maledette rockstar”, non bastasse “Io sono una rockstar” (addirittura impietoso il verso “ma accontentatevi voi, maledetti sfigati!”), ci pensa lo stallone superdotato Ozzy Osbourne a rifilarci un “pacco grosso grosso” pieno di percosse e a mettere bene in chiaro come stanno le cose.

direi che è abbastanza, ma tanto altro ci sarebbe da dire e da ascoltare, su testi che spaziano da Bondi a camere iperbariche e su musiche che rimescolano rock, cabaret, progressive, lo-fi, folk, punk, psichedelia e chi più ne ha ne metta. insomma, un album da avere e tramandare, un’opera d’arte preziosa che, non è difficile immaginare, ritroveremo in cima al best of del 2018 per il Musicazzotto Nellorecchio (voto 9,5/10)

4 risposte a "musicazzotto nellorecchio: edizione straordinaria"

  1. Quanto mai opportuno questo tuo post speciale, malos. Grazie, grazie. Giusta cura dopo la sbornia sanremese (poche le canzoni che ricorderemo, apprezzato soprattutto ‘Almeno pensami’ di Dalla-Ron), a ricordarci che c’è chi resiste e che un altro mondo è possibile 🙂
    Ammetto che non conoscevo i Maisie, mi sono tuttavia subito ben predisposto conoscendo invece il blues intenso e inquietante della Maisie di Syd; e li trovo davvero originali e “divertenti”! Musicalmente parlando, sarebbero capaci di mettere in musica le pagine gialle come le opere complete di Lenin e in quanto ai testi, come ben dici tragicamente attuali (“se non ci votate torna Silvio”). Hanno grande forza e freschezza e aggiungerei anche raffinatezza, profondità… insomma da avere e conservare gelosamente come si faceva con i dischi di una volta.

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    1. you wrote: “sarebbero capaci di mettere in musica le pagine gialle”.
      è vero. la prosodia melodica delle parti vocali interagisce in modo talmente fluido con la trama musicale da risultare significante già a partire dalla mera intonazione (ghhhh, mi fanno quasi invidia!).
      : ))

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  2. Davvero belli i brani, ho visto il loro sito, sono attivi da più di vent’anni e non li avevo mai sentiti nominare, è vero però che non mi interesso tanto di musica. Bello il testo, volutamente scabro e quasi rudimentale, un raffinato parlato con effetto terra-terra. Mi ha richiamato alla memoria, ma solo un po’, gli squallor, che ho sentito in concerto negli anni 70,che però puntavano sulla trasgressione come critica di costume e libere parolacce, senza questo discorso così compatto e coerente dei Maisie.

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    1. gli Squallor e, perché no, pure gli Skiantos hanno in comune con i Maisie l’attitudine a trasgredire i canoni del “formato canzone” e del “luogocomunismo”. però, almeno a mio sentire, nel caso dei Maisie la trasgressione non è né il fine né lo strumento della produzione artistica, la trasgressione è un mero evento collaterale: i Maisie vanno diritti per la loro strada (con coerenza formale e sostanziale davvero stoica) e *pertanto* risultano lontani anni luce dal black hole culturale del mondo-mercato capitalista 2.0. per dirla con le loro parole il nostro problema è che “non riusciamo neanche più a immaginare qualcosa di diverso”.
      sui testi, invece, non ho avuto l’impressione di una scrittura “quasi rudimentale” o “terra-terra”, anzi, i testi sono spesso e volentieri complessi, allusivi, sottili, paradossali e di difficile decodifica. tanto per farti un esempio, mia figlia di 16 anni NON è in grado di interpretare in modo corretto neanche quelli più facili. e non è solo un fatto di “conoscenze”, di background culturale, è anche e soprattutto questione di elasticità mentale nuda e cruda. prendi “Vincenzina e il call center”, il modo in cui i “contratti da rispettare” e il “che altro posso fare?” assumono significati altri amaramente beffardi passando dal call center dove è costretta a lavorare Vincenzina, all’Expo o al bombardare. sì, insomma con buona pace di Bigazzi e di Freak Antoni, gli album degli Squallor o degli Skiantos un 9,5/10 non lo vedono neanche col binocolo…
      : )))

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