Questo libriccino pubblicato dalla “libreria Editrice fiorentina” nel 1967, raccoglie i documenti relativi al processo che subì Don Milani per la sua posizione pubblica sull’obiezione di coscienza. Tutto cominciò quando il quotidiano “ La Nazione” , del 12 febbraio 1965, pubblicò un trafiletto che riportava l’ordine del giorno votato dai cappellani militari nell’anniversario della conciliazione tra Chiesa e Stato: “I cappellani militari in congedo della regione Toscana nello spirito del recente congresso nazionale dell’associazione svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti per l’Italia auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale di Patria. Considerano un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”.
Don Milani lesse quelle parole ai ragazzi della sua scuola, che ne rimasero “sdegnati e appassionati”, d’accordo con loro decise di rispondere con una lettera, che “ho mandata a stampare per mandarne una copia a tutti i preti fiorentini e a tutti i giornali”, nella quale chiede ai cappellani di spiegare meglio e pubblicamente i loro argomenti “alla luce del vangelo e della costituzione”:
“ Primo perché avete insultato dei cittadini che noi e altri ammiriamo. . .
Secondo perché avete usato con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi…”.
Questa lettera venne pubblicata sul settimanale comunista “Rinascita”, vale la pena di leggerla, e in conclusione la riporto per intero. Un gruppo di ex-combattenti si sentì offeso dalla lettera e denunciò Don Milani e il direttore di “Rinascita” Luca Pavolini, per i reati di “incitamento alla diserzione e incitamento alla disubbidienza militare”. Don Milani era già gravemente ammalato e non poteva partecipare al processo, inviò una sua memoria, la “lettera ai giudici”, dove ribadisce e approfondisce alcune considerazioni della “Lettera ai cappellani”, anche questa lettera è contenuta nel libro.
Nel febbraio del 1966 viene emessa la sentenza di primo grado che assolverà gli imputati “ perché il fatto non costituisce reato”. Ma il pubblico ministero ricorse in appello, il nuovo dibattimento venne fissato per il mese di ottobre 1967, ma Don Milani era già morto il 26 giugno dello stesso anno. La sentenza di secondo grado condannò Pavolini, il quale in un’intervista ad Avvenire del 9 aprile 2015, ripensando a quei fatti dice: “In appello sono andato solo, perché purtroppo don Milani era già morto. E naturalmente mi hanno condannato: a cinque mesi e dieci giorni… Ma non si sono accorti che la condanna veniva a cadere sotto amnistia. E l’amnistia è stata applicata dalla Cassazione”.
Ai Cappellani Militari Toscani
che hanno sottoscritto il comunicato dell’11 febbraio 1965
di Lorenzo Milani.
Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo. Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola. Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente. PRIMO perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch’io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore. SECONDO perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi.
Nel rispondermi badate che l’opinione pubblica è oggi più matura che in altri tempi e non si contenterà né d’un vostro silenzio, né d’una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti sarò ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste.
Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto. Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona.
Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa. Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.
Articolo 11 «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…».
Articolo 52 «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».
Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia.
Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l’onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili, un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria dei partigiani, l’uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l’esecuzione d’ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l’ordine d’un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?
Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verità in faccia ai vostri «superiori» sfidando la prigione o la morte? se siete ancora vivi e graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la più elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza.
Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l’anno) l’esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà,la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all’obiezione che all’obbedienza. L’obiezione in questi 100 anni di storia l’han conosciuta troppo poco. L’obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l’han conosciuta anche troppo.
Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare.
“1860”. Un esercito di napoletani, imbottiti dell’idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assalivala sua Patria. Fra quei briganti c’erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l’appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d’Italia un monumento come eroe della Patria.
A 100 anni di distanza la storia si ripete: l’Europa è alle porte. La Costituzione è pronta a riceverla: «L’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie…». I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell’Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei. La guerra seguente 1866 fu un’altra aggressione. Anzi c’era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l’Austria insieme. Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant’èvero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant’è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: «L’insurrezione annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia».
Nel 1898 il Re «Buono» onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L’avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.
Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare«Savoia» anche quando li portarono a aggredire due volte (1896e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l’unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo. Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi?Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale considera la vita d’un bianco più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l’uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa?
Idem per la guerra di Libia.
Poi siamo al ’14. L’Italia aggredì l’Austria con cui questa volta era alleata. Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una «inutile strage»? (l’espressione non è d’un vile obiettore di coscienza ma d’un Papa canonizzato).
Era nel ’22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l’avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l’Obbedienza «cieca, pronta, assoluta» quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra «Patria», quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).
Nel ’36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar «volontari» a aggredire l’infelice popolo spagnolo. Erano corsi in aiuto d’un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll’aiuto italiano e al prezzo d’un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d’ogni libertà civile e religiosa. Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d’aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l’obbedienza dei «volontari» italiani tutto questo non sarebbe successo.
Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall’altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l’appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato. Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire?
Poi dal ’39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l’altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).
Era una guerra che aveva per l’Italia due fronti. L’uno contro il sistema democratico. L’altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l’umanità si sia data.
L’uno rappresenta il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri.
L’altro il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.
Non vi affannate a rispondere accusando l’uno o l’altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c’era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d’ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d’ogni giustizia e d’ogni religione. Propaganda dell’odio e sterminio d’innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei(la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).
Che c’entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l’ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie? Ma in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra «giusta» (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra:la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altra soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i «ribelli», quali i «regolari»? È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i «ribelli»?
Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall’obbedienza militare. Quell’obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un «distinguo» che vi riallacci alla parola di San Pietro: «Si deve obbedire agli uomini o a Dio?». E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro. In molti paesi civili (in questo più civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli altri,non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.
Del resto anche in Italia c’è una legge che riconosce un’obiezione di coscienza. È proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti. In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s’è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l’eroismo patrimonio dei più? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene. Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l’ha fatto. Più maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita? Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l’esempio e il comandamento del Signore è «estraneo al comandamento cristiano dell’amore» allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!
Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità. Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima. Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.
Com’è attuale questa lettera, quante cosa insegna! Ripercorre un Secolo di storia e di atrocità, di ingiustizie e di propaganda a falsi valori o, comunque, a valori di parte; di una parte arrogante e tiranna che divide l’umanità in vincitori e vinti, in forti e deboli. Ancora oggi questo succede. La voce di Don Milani, ma ancor più il suo esempio, contribuiscono attivamente a risvegliare le coscienze sopite nel “frastuono generale”.
Grazie Giancarlo Locarno per averlo riproposto!
Un saluto,
Rosaria
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grazie a Giancarlo per aver recuperato questo documento che inevitabilmente colpisce, suscita ammirazione e stimola riflessioni tutt’altro che scontate. leggendo la lettera di don Milani non ho potuto fare a meno di sentirmi emotivamente coinvolto e di trovarmi più volte in buona sintonia con le sue parole. ad esempio non posso che condividere: il rifiuto della guerra e di qualsiasi sua giustificazioni astratta, le scelte di Gandhi, il sacrosanto diritto (e il rispetto dovuto) all’obiezione di coscienza e il voler l’essere dalla parte di “diseredati e oppressi”. sono tutti argomenti su cui non mi sento in grado di aggiungere altro (bastano e avanzano le parole di don Milani). a margine, però, trovo che il sixties-pensiero di don Milani visto con gli occhi di oggi, pecchi un po’ di ingenuità per come respinge l’idea di “Patria”.
intendo, da un lato il discorso di don Milani è condivisibile quando relativizza il concetto di patria in parallelo al più che lecito rifiuto della guerra come strumento di *offesa* (vedasi la costituzione). d’altro canto, però, forse cita l’articolo 52 della costituzione a sproposito, in quanto in esso si parla di *difesa* della patria. quando la costituzione afferma che “la difesa della patria è sacro dovere del cittadino” parla per l’appunto di *cittadini* (non di truppe d’assalto), di difesa e di servizio militare (non di campagne militari colonialiste). dunque, come afferma anche don Milani, diventa indispensabile definire in modo chiaro cosa vogliamo intendere col concetto troppo astratto di “Patria”. ad esempio, se proviamo a non farci sviare dall’aspetto più *romantico* (ergo intrinsecamente sanguigno e sanguinario) della questione, diventa evidente che all’ideale astratto di patria corrispondono nella realtà concreta della nostra vita quotidiana lo stato (istituto giuridico regolato dalla costituzione) e la nazione (storia, tradizioni, cultura e lingua).
tale precisazione mi sembra doverosa perché prospettando il superamento dell’idea di “Patria” don Milani finisce per definirsi cristianamente apolide, in buona sintonia con il cosmopolitismo progressista che tanto male ha fatto e continua a fare *soprattutto* ai “diseredati e oppressi” che don Milani vorrebbe difendere.
ebbene sì. l’internazionalismo moralista e astratto, tanto caro a molta sinistra e alla chiesa, è l’arma devastante che il liberismo ha brandito e continua a brandire contro il suo principale nemico: le socialdemocrazie europee (vedasi il documento programmatico stilato nel 2013 dalla banca d’affari JP Morgan che individua il “nemico” proprio nelle costituzioni antifasciste, colpevoli di tutelare eccessivamente diritti e stato sociale, ovvero di essere *troppo* socialiste). non a caso Von Hayek scrisse: “Il vero liberalismo trova un prezioso alleato nella religione. Se la frattura tra il vero liberalismo e le convinzioni religiose non sarà sanata, non ci sarà alcuna speranza per la rinascita delle forze liberali. Ci sono oggi in Europa molti segnali che indicano tale riconciliazione più vicina”. correva l’anno 1960.
dunque, farei molta attenzione: buttare via il bambino (stati e nazioni) con l’acqua sporca (patria) non è certo una buona soluzione. anche perché, dopo, non avremmo più strumenti per evitare che lo strapotere dei mercati, delle banche, delle multinazionali e delle elite finanziarie faccia scempio dei diritti fondamentali dei cittadini (lavoro-istruzione-salute-previdenza etc)…
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Parole molto lucide e inevitabilmente attuali quelle di Don Milani che mi è piaciuto per la sua capacità di scendere sul pratico riportando parallelamente alle sue osservazioni esempi concreti di fatti storici e relative richieste di risposte specifiche. Ovviamente dalla lettera emerge anche un problema più generale o teorico se vogliamo, ma è molto bravo Don Milani a rifiutarsi di scendere nell’infinita questione ideologica, “Non discuterò qui l’idea di Patria in sé”, laddove il discorso rischiava solo di diventare divisorio e sterile. Da ammirare pure la sua umanità nel disporsi comunque in maniera costruttiva verso il prossimo anche se quest’ultimo colpevolmente in balia della propaganda colonialista di quel periodo. D”altronde è chiaro che i destiantari della lettera non fossero degli ingenui ma solo dei colpevoli di demagogia. Credo cioè che sapessero benissimo di manipolare lo strumento “Patria/Stato/Nazione” per i loro fini, “strumentalizzazione” che parte direttamente dall’ideologia e dal fanatismo fino ad arrivare alla bramosia di potere a alla guerra, problemi piuttosto attuali. Quindi umanità e praticità, non male, in fin dei conti da quello che ho compreso per Don Milani essere “obiettori di coscienza” significava entrare attivamente dentro i problemi contingenti delle persone e quindi difendere e avere molto a cuore la Patria.
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