Intervista senza domande a Maria Allo (di Flavio Almerighi)

Maria Allo: “La terra che rimane” ed. Controluna 2018
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Premetto, prendo licenza una volta tanto di frappormi tra autrice e lettore, la lettura de “La terra che rimane” di Maria Allo ha rappresentato per me un’occasione di crescita personale. Parafrasando i primi versi di una bellissima poesia di Margherita Guidacci, rivolta al suo ipotetico lettore, Maria Allo mette la sua anima fra le mani di chi la legge, le curva a nido, e la sua poesia riposa in chi l’ha letta. Quasi un miracolo tra tanti, troppi, libri di inutile e sedicente poesia. “La terra che rimane” invece è da leggere e possedere.
Il libro parte quasi in sordina, con margini di poesia a margine, odori e segni dolenti, vissuti in ogni singolo attimo, lieve o greve che sia. Poi sempre meno timidamente si avvicina, e il lettore scopre che quegli attimi, quei versi non fanno parte del canzoniere di chi si alza ogni mattina col piede sbagliato. Appartengono alla terra, alla persona, che ne trattiene l’odore e i segni. “La nascita può spegnere la sete” ci dice l’Autrice a un certo punto, e quasi non ci si accorge di quanto già sia dentro in chi lo legge.
D’altra parte, se tutta la vita è cercare, in ogni modo e maniera, di lasciare tracce del proprio passaggio, la nascita ne rappresenta il primo atto. Un atto di nascita è anche quello di una poesia letteralmente strappata al proprio corpo, forma e mente di linguaggio unico e proprio per ogni autore che si rispetti.
Sarà chiaro ormai che ho amato questo libro in primis per la cura che l’autrice si prende del lettore. Ogni nascita, tuttavia, è temporanea, almeno fino a quando non risponderà alla chiamata “di un’ombra”. Tutto quanto sta in mezzo ai due eventi è un “frattempo”, dove la nascita è dapprima crescita, felicità, ricerca, poi malattia e corruzione, quindi delusione da vivere ogni giorno.
Ogni pezzo della raccolta che, nella sua straordinaria compattezza può essere considerato vero e proprio poemetto, tocca ognuno dei cinque sensi.
Sensi inferociti e assetati dallo stato di frustrazione e sofferenza. Qui Maria poteva benissimo imbroccare, fallendo, la via del cahier de doléances, e si sarebbe perduta nel descrivere situazioni di un io scosso, isolandosi e staccando la spina al lettore in una sorta di cordoglio autoreferenziale e utile soltanto a lei. I brani invece si dipanano nitidi, condivisi, pronti a più letture. Il libro stesso è impaginato senza divisione in sezioni: quando un autore non riesce a seguire un filo di compattezza che percorra tutta l’opera, spesso ricorre allo stratagemma delle sezioni, ma non è questo il caso. Seguono il proprio percorso, tirano dritto tra dentro e fuori. Il Fuori è coerenza, dignità, un forte amore per il proprio lavoro di insegnante (spesso tra i versi i riferimenti al lavoro sono molto marcati) nel “coraggio obliquo di chi non cede”. Il dentro è un altro luogo, la sorgente, l’unico ambiente in cui il dolore viene fuori e un cedimento è qualcosa di cui non vergognarsi.
Sarà che la terra, metafora insistita della condizione umana e paradigma di questa Poesia, ci alimenta e ci sostiene, madre/sorella, e nel contempo è lo scrigno a strati di epoche e memoria: il corpo stesso è terra, e lotta ogni giorno per prorogare il proprio distacco. È qui il vero nocciolo, fin dal titolo, di questo bellissimo libro, la terra è il libro di cui ognuno è parte. “L’alfabeto e i nomi di tutto l’universo incide.” E, ribadisco, è qui, la sua reale riuscita, il motivo per cui vale la pena leggerlo. Il privato diventa memoria da condividere pubblicamente. “Dobbiamo avere memoria sulle pelle/per rompere la terra che rimane”: e la terra che siamo è tempo, il tempo è convenzione umana che spinge a non nasconderci.
È così che “La Terra che rimane” poemetto a fogli sparsi non a caso, iniziato tra sensi feroci e autobiografici del proprio disorientamento di fronte a una malasorte, diventa lascito ma soprattutto incontro, le parole respiro, “per l’universo intero, tutto e tutti”: e senza paura di ripetermi, qui sta tutta la differenza tra le troppe raccolte di poesia e un’opera d’arte.
Scrisse William Carlos Williams “… niente di utile si trova nella poesia, ma l’umanità sta morendo miseramente ogni giorno per mancanza di ciò che si trova nella poesia…”. Flavio Almerighi*

 

INTERVISTA SENZA DOMANDE a Maria Allo

 

Ti parlo da tempi sconosciuti.

L’espressione poetica è la presa di coscienza che una parte di noi è intimamente legata con l’esistenza terrestre e può rivelarsi esperienza assoluta di una vita senza tempo. La scoperta della parola è frutto di uno scavo nell’abisso dell’io, l’occasione per riflettere sul senso della vita, lo strumento per portare alla luce la lacerazione profonda che ostacola il pieno godimento della vita . Dare voce al legame tra l’esperienza del dolore nella vita umana e il ruolo della poesia diviene uno strumento conoscitivo di sé e del mondo che indaga in un rapporto di continuità e di svelamento le ragioni profonde dell’agire umano.

 

ma l’aria a forma di me diviene attesa (pag. 11)

E’ lo stato di veglia, la terra di mezzo, quello spazio di tempo che è attesa viscerale, totalizzante ma anche movimento di voci, profumi che si depongono nel silenzio attingendo nell’interiorità per farne affiorare immagini come corpi perduti e per un istante ritrovati. E’ ascolto profondo in attesa di un ricongiungimento, un nuovo sguardo su se stessi e il mondo, presagio di compiutezza, ma nel contempo un ritrarsi per rivelarsi, anche se l’attesa non sempre è salvifica.

 

visto che niente dura senza amore (pag. 23)

Niente dura in eterno e tutto si perde inutilmente a poco a poco senza amore. L’amore è l’essenza che completa. Eros è quella legge universale che rapisce quando si vive “l’estasi del filtro magico” che l’amore rende attivo, ma la consapevolezza del suo limite può deludere e farci precipitare nella solitudine. Tuttavia non esiste la norma. L’amore è stregone, conosce i segreti, è rabdomante e conosce le sorgenti, dice la Yourcenar Ma amare è anche un’occasione per il singolo, di maturare, di diventare in sé qualche cosa per sé in grazia di un altro. Anche se c’è qualcosa che è forse meglio dell’amore: la complicità che dà sostegno e non fa correre il rischio di soffrire.

 

aguzzino di te stesso e non poeta (pag. 35)

Il messaggio della poesia giunge dalle fonti primarie dell’anima umana e la luce straniata della parola autentica nelle più riposte profondità del suo essere e nella profondità abissale della vita e della morte, è destinata a dissolversi nel caos dell’insignificanza. L’essenza della psiche come dice Hilmann non è inconscia perché ci parla continuamente. Tradurre in mito e poesia ogni momento della nostra vita, ogni sogno ogni esperienza, abbandonarsi alla base poetica della mente significa approdare al punto da cui osservare la nostra anima. Proprio per questo la poesia non è mai indulgenza ma distanza perché toccare abissi a dismisura rende umani.

“Mi percorre il mare”. (pag. 37)

Tutto comincia con il mare

attraversa tutti noi

epopea ancestrale di ogni dire”.

Il mare è simbolo del mistero che ritma il divenire, mette in evidenza l’ansia del mutamento che tutto contamina e mette in sordina le inquietudini della contemporaneità. Il mare rivela anche tenacia e resistenza, bisogno di verità e fiducia nel valore dell’utopia e dell’impegno.

 

Raccogliere i cocci del piatto lanciato contro il vetri (pag. 40)

Realtà e scrittura spesso danno l’avvio a un misterioso ritmo interno e per quanto filtrata da una formalizzazione letteraria, il senso della disarmonia con la realtà alterna momenti di caduta e momenti di ripresa. In questo verso non c’è riferimento concreto all’esperienza biografica ma domina la volontà di parlare di ciò che è individuale attraverso l’aspirazione costante al suo valore universale, innalzando la materia per mezzo della sua simbolizzazione.

 

Poi di colpo ci parleremo (pag. 41)

Si esprime la fiducia nel valore superiore della poesia, in grado non solo di conoscere il mondo, ma anche di affermare i valori . Per ciascuno individuo il passare degli anni comporta una maturazione e un bisogno di misurarsi con il futuro che si apre davanti ai nostri passi, ma anche di fare i conti con il passato che si dilegua.

 

Voglio sperare ancora per questi ragazzi (pag. 42)

I ragazzi appaiono sempre più demotivati e distratti da altri modelli culturali e dai social network ma Il senso della scuola è nel ruolo insostituibile dell’insegnante, che solo può stimolare il desiderio di sapere. Dare spazio alla curiosità e all’inventiva, alla capacità di pensare e ricreare può fare la differenza, ripensare con tutta la forza dell’anima il senso dell’insegnamento e la possibilità che un libro educhi alla vita. I giovani meritano di più.

 

Si muore restando in piedi con il coraggio di un acrobata cretese (pag. 50)

I dati concreti assumono spesso un valore polisemico. L’espressione suona come la confessione di una perdita di fiducia nei confronti dell’intera umanità ma esprime il senso di delusione e di sconforto riferiti al carico di negatività e di violenza insito nella realtà e all’instabilità e l’assenza di certezze che caratterizzano la condizione umana . Tuttavia occorre imparare a sostenere con il necessario coraggio il dovere di affrontare la vita e poter dire con Marguerite Yourcenar. Non cadrò.

 

per vangare la terra che rimane (pag. 53)

In una visione della realtà priva di consolazioni metafisiche e di spiragli di luce, in un mondo piegato alle leggi dell’economia e a un falso perbenismo, la poesia non può più chiudersi in una torre d’avorio ma riallacciare il legame con la vita per trovare un’armonia altrimenti irraggiungibile.

 

la-terra-che-rimane IMMAGINE COPERTINA

 

Tre poesie da “La terra che rimane”

 

Lasciami parlare del mare e dei suoi abissi
si fa luce nelle trasparenze
come i ricordi o ciò che manca
– vedi – resta questa gola insabbiata
un foro dentro il petto
con sterpaglie in tutte le stagioni.
Lasciami parlare della notte quando si addensa
sulle tempie e sul tuo nome
allora mi rischiari e resti dentro questa carne
strappando l’ombra e la distanza che avvicina il cielo.
Lasciami il tuo coraggio arato sulle labbra
custodisce e abbraccia i confini del mare
come la memoria che resta e si trasmuta.

 

 

Non basta il mattino a restituirci il cielo.
L’alba e gli alberi colmi di distanza
non definiscono il nuovo giorno ancora.
Ecco, ancora una tragedia del mare,
un altro stupro a Roma le piccole odissee
di ogni giorno e le porte dei caffè aperte.
Solo un velo l’Etna oracolare mentre si muore
così la luce che ora brilla tra odori e radici
sembra un dono nella sua bellezza strana.

 

 

Dunque questo mi lasci come verso:
la voce segreta − seme del tempo
e la pioggia fra le mani.
Nel tuo respiro tutte le parole,
tutto il silenzio
l’universo intero, tutto e tutti

 

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Maria Allo è siciliana. Laureata in Lettere classiche, insegna nei Licei . Si occupa di Islamistica e di Nuove professioni educative. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni antologiche e quattro sillogi di poesia: “I sentieri della speranza”, Gabrieli Editore Marzo 1985;” Riflessi di rugiada. Cose sparse di me”, Gruppo Albatros 2011; “Al dio dei ritorni”, Galassia Arte Anno 2014; “Solchi. La parabola si compie nei risvegli “, Editore L’Arcolaio Anno 2016 e “Talenti di donna “ (Onirica edizioni).

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