Giovanni Paolo II e Kurt Vonnegut a braccetto

vonnegut wojtylamonica baldini

forse non sono in grado di pensare appieno il tuo pensiero: come più volte già attestato qui e altrove, a causa di una malformazione cerebrale congenita, soffro di celiachia religiosa. tale menomazione mi impedisce di assimilare alla realtà tutto ciò che “paru sia”, ma non è (tipo fantasmatiche presenze e/o animistiche essenze).

chissà… magari con un po’ d’immaginazione potrei arrivarci lo stesso. boh.

comunque tale discorso è quantomeno ozioso: non posso certo stabilirlo io se sono in grado di pensare il tuo pensiero… solo tu (che “tutto racchiudi nel piano religioso”) puoi sapere quanto “tutto” è il tuo pensiero e quanto il nostro.

: )

ma veniamo al dunque… mentre leggevo ciò che hai scritto pensavo: in cosa differiscono un *Kurt Vonnegut* e un *Giovanni Paolo II*?

la domanda mi pare originale (è molto improbabile che qualche altro pazzo se la sia posta prima d’oggi), ergo m’inerpico a cercare una risposta.

di primo istinto, visualizzando papà Kurt e il Papa che passeggiano a braccetto nel giardino, due parole mi balenano al cervello: umanitarismo e umanesimo. sarà un caso?

mmmm… vediamo. il cristianesimo “moderno” si contrappone al laicismo nichilista (che permea il consumismo della “società dello spettacolo” – vedi Guy Debord – e che veicola un forte disprezzo per l’uomo reale – vedi Paolo Vincenti, ma anche Abele, altrove). nel XX secolo, la chiesa, specie con Giovanni Paolo II, si è impegnata nel recupero di un “umanesimo autentico”, ovvero per usare le parole del pontefice, nel testimoniare un cristianesimo capace di “andare, con la Chiesa, fiduciosamente verso l’uomo” e di “amare e valorizzare l’essere umano” (https://www.culturanuova.net/filosofia/3.moderna/uman.3.cristiano.php).

nei secoli precedenti, per contro, il potere “temporale” della Chiesa si era fondato soprattutto sul ricatto morale del “senso di colpa”, del “peccato” e della “pena”, ovvero su una visione secondo cui l’essere umano è intrinsecamente corrotto e indegno, onde per cui può sperare nella salvezza solo grazie all’infinita misericordia di Dio (http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2016/04/assoluzione-indulgenza-colpa-pena-danno.html)

dunque, la contrapposizione (formale) tra cristianesimo e umanesimo (che “idealizza” l’essere umano collocandolo al posto di Dio al centro dell’universo) parrebbe essere piuttosto evidente.

3 UNA NUOVA CULTURA L'UMANESIMOcmap

eppure, concretamente, davvero i due sistemi di pensiero differiscono in modo significativo?

in ultima analisi no: infatti, visto che l’umanesimo sostituisce un essere *ideale* (Dio) con un essere *idealizzato* (l’uomo), la sostanza “ideale” non cambia. l’idealizzazione formale è un meccanismo psicologico tipicamente infantile: il bambino ha bisogno di credere intensamente che mamma e papà siano in grado di proteggerlo da tutti i pericoli della vita (http://www.empiricamente.info/index.php/scienze-sociali/64-i-sistemi-di-difesa-primari-della-psiche-umana-l-idealizzazione-e-la-svalutazione-primitiva). la de-idealizzazione (cioè la svalutazione/separazione dalle figure di riferimento dell’infanzia) dovrebbe essere un processo di crescita che ci permette diventare autonomi e indipendenti. per contro – non a caso – nell’iper-mercato globale in cui viviamo, si assiste da decenni ad una estesa infantilizzazione della società, dove il bisogno di idealizzare persiste immodificato nell’età adulta col risultato (tutt’altro che casuale) di rendere i consumatori più impulsivi e pilotabili dal neuro-marketing (https://www.nuovatlantide.org/linfantilizzazione-della-societa-procede-a-passo-spedito/).

dunque, possiamo porre alcuni punti fermi:

1) sia la religione che l’umanesimo fanno leva sulla nostalgia della figura genitoriale onnipotente
2) tanto più ci sentiamo vulnerabili e dipendenti, tanto maggiore è la tendenza a idealizzare
3) l’idealizzazione formale è un meccanismo psicologico che esercita un controllo sul credente/consumatore/cittadino
4) l’astrazione binaria (uno/zero; buono/cattivo; bene/male; puro/corrotto; tutto/nulla) è un sottotipo di idealizzazione formale
5) l’astrazione binaria procede per affiliazione fideistica e disinnesca la capacità di critica

da tali considerazioni non è difficile comprendere come, in una sorta di loop ululante alla luna, l’umanesimo finisca – camminando in cerchio – per riportare l’uomo al punto di partenza, ovvero alla trappola della chiesa medievale. mi spiego: l’idealizzazione formale è il principale motore della personalità infantile narcisista, ovvero obbliga il bravo consumatore a ricercare ossessivamente la perfezione. Inevitabili conseguenze sono la costante insoddisfazione, il continuo bisogno di rassicurazioni e la perdita di autostima (il narcisista è incapace di amare e accettare se stesso essendo polarizzato sul bisogno di perfezione).

aiutiamoci dunque mettendo due altri punti fermi:

1) nella natura umana non c’è nulla di perfetto
2) qualsiasi forma di idealizzazione produce delusione e frustrazione

da tale conflitto irrisolvibile l’essere umano non potrà che uscire umiliato sia psicologicamente che moralmente. in altre parole idealizzare l’essere umano è una strategia efficacissima per sottometterlo.

non so se tali riflessioni vi appaiono oziose. a me fanno pensare: hanno molteplici implicazioni.

ad esempio, prendiamo la satira. la satira può scegliere di sparare sull’imperfezione, ovvero sul politico di paese, sugli italiani furbi e fannulloni e sul popolino gretto e mediocre (citofonare Paolo Vincenti per informazioni). in tal senso non fa altro che *riaffermare* in modo divertente i luoghi comuni della narrazione dominante, allineandosi alla grancassa dei media di regime. oppure, può puntare sulla *demistificazione*, corto-circuitando il sentire comune *mentre* d’un tratto disvela l’incongruenza, così da sgombrare la mente da pregiudizi, luoghi comuni, nonché acquiescenze morali e sociali. la satira è, per definizione, un grimaldello per colpire il potere, non il povero essere umano (per il quale bastano e avanzano l’autoironia e la cronaca), quindi più di ogni altra cosa la satira deve occuparsi di *politica*, cioè dei rapporti di forza tra individui e tra comunità di individui (citofonare Aristofane per informazioni). tutto il resto non è *davvero* satira ma parodia, sfottò e/o barzelletta di costume. la satira è il pungolo che ravviva l’incertezza, che mina le fondamenta delle convinzioni acquisite e dei pregiudizi, ribalta i rapporti di forza, ovvero alimenta il potere salvifico del *dubbio*. di più, la vera satira mette a nudo e rispecchia la natura umana, che per sua stessa intrinseca natura non può che essere *contraddittoria*.

ecco. sto divagando troppo? chissà.

vabbè. allora tiro le fila: papà Vonnegut, che non dimentichiamolo sta ancora camminando a braccetto con Giovanni Paolo II, era sicuramente un grande demistificatore.

oggi, in un momento storico in cui i media fanno a gara nello sbatterci in faccia gli orrori del mondo per gridare senza sosta ai quattro venti quanto faccia schifo l’umanità in generale (e in particolare le etnie mediterranee, tipo italiani e africani), cosa accade all’umanesimo e al cristianesimo? beh, all’umanesimo non resta che aggrapparsi all’invenzione dei “mostri” per circoscrivere e “transennare” le voragini che si aprono nella fiction di una idealizzata superiorità morale dell’uomo (il mostro di Firenze, il mostro di Padova, il mostro di Foligno etc). il cristianesimo invece ripiega tornando all’antico per rilanciare il ricatto morale e la retorica del peccato. sentiamo Papa Francesco: “Nessuno di noi è perfetto, nessuno. Come abbiamo bisogno del pane, così abbiamo bisogno del perdono, e questo ogni giorno. Il cristiano che prega chiede anzitutto a Dio che vengano rimessi i suoi debiti, cioè i suoi peccati, le cose brutte che fa. (…) Ci sono peccati che si vedono e peccati che non si vedono, peccati nascosti. Ci sono peccati eclatanti che fanno rumore, ma ci sono anche peccati subdoli, che si annidano nel cuore senza che nemmeno ce ne accorgiamo” (https://www.toscanaoggi.it/Vita-Chiesa/Papa-Francesco-udienza-l-atteggiamento-piu-pericoloso-di-ogni-vita-cristiana-e-l-orgoglio)

brrr… siamo spacciati: imperfezione come gogna e *peccati* più virulenti e contagiosi dell’Ebola e dell’HIV…

ma torniamo a Vonnegut. papà Kurt è stato a lungo presidente della American *Humanist* Association. la sua satira demistificatrice e il suo pensiero obliquo ci insegnano qualcosa?

beh, a me sì, a voi non so: siamo tutti pezzi unici. però volendo potete provare.

andate in biblioteca e leggete “la colazione dei campioni” o “madre notte”. andate in biblioteca e leggete “quando siete felici fateci caso” una raccolta di commencement speech (discorsi di fine anno accademico) tenuti da Vonnegut ai laureandi americani (https://www.minimumfax.com/shop/product/quando-siete-felici-fateci-caso-1943).

potreste imbattervi in un “umanitarismo senza umanesimo”, un abbraccio molto simile a quello del Cristo e piuttosto lontano da quello del moralista cristiano o del progressista. papà Kurt ci insegna a far scaturire l’amore per gli esseri umani dalla consapevolezza della nostra intrinseca imperfezione (ovvero ci insegna ad amare la fragilità) e ad accettare l’ambivalenza frammentaria e contraddittoria della nostra consapevolezza del mondo e del prossimo.

con la sagacia a volte lapidaria che caratterizzava il suo pensiero, immagino che papà Kurt, dopo aver letto quanto sopra, avrebbe sorriso di straforo e poi estratto dal mio prolisso sproloquiare poche essenziali parole. forse queste:

siamo scimmie nude con un grosso cervello e grossi limiti: comunque vada sarà un successo…
la storia, la storia, *le storie*. tutto il resto è un gioco di categorie astratte e di piani meccanici.

concludendo

e la domanda era? ah, sì: in cosa differiscono un *Kurt Vonnegut* e un *Giovanni Paolo II*?

ok… mi spiace, non ho trovato la differenza che *cercate*.

riprovate voi, cercatela meglio. e se non doveste trovarla, qualora vi fosse di conforto, inventatevela e salpate verso altri lidi.

: )

sailin round


16 risposte a "Giovanni Paolo II e Kurt Vonnegut a braccetto"

  1. Caro Malos, le mie poche righe volevano essere dipinte di semplice umiltà e se questo con l’accezione di “tutto” non è passato mi spiace e spero mi perdonerai…posso solo testimoniare la mia Fede in Dio.. il resto è rimesso ai sapiens di cui non mi annovero…

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    1. perdonarti?? io devo soltanto ringraziarti! le tue “poche righe” hanno contribuito a mettere in moto così tanti pensieri…
      : )
      è questa la vera ricchezza di internet, ricchezza che ahimè stiamo perdendo con la graduale estinzione dei blog.
      sulla fede non so, non sono esperto in materia, ma sono contento per te perché una fede maiuscola dev’essere un buon conforto.
      il “tutto” a cui fai riferimento non l’ho percepito come mancaza di umiltà, piuttosto come ovvia difficoltà a relativizzare il “piano religioso” (problema peculiare del credente di qualsiasi credo, quindi… mal comune mezzo gaudio!)
      : ))

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  2. Carissimo – Grazie per questo post che mi fa sentire come quando, alle prese con il capolavoro di Vonnegut, mi smarrisco e non so se sono su Tralfamadore o a Dresda; un po’ come, appunto, passare dal commento di Monica Baldini, che saluto e a cui do il benvenuto sul nostro blog, a un Kurt Vonnegut e un Giovanni Paolo II a passeggio. So, naturalmente, del tuo amore giustificato (sempre che un amore si possa giustificare) per Vonnegut, e mi chiedo perché proprio a braccetto con Giovanni Paolo II. Immagino il primo che parla e parla e il secondo che sorride appena, distante anni e anni luce. Forse con Francesco, papa per me, nel bene e nel male, più umano, la passeggiata diventa più possibile (riesco infatti a vederli nei Giardini del Vaticano tra una ripresa e l’altra dell’ultima serie di The Young Pope). Allora, tutto questo giro per dirti che anche io nel frattempo sto cercando una risposta alla tua domanda come anche, allo stesso tempo, sto cercando di capire veramente cosa intendi dire. Visto che mi hai citato (thanks, onorato), ci tengo a precisare che il mio “disprezzo” (poca stima in realtà) non è tanto o solo per l’essere umano contemporaneo ma per tutti noi in quanto specie umana. Probabilmente questo è dovuto all’essere in fondo, come dici tu, una scimmmia nuda con un cervello più o meno grosso, vittima anche io del lavaggio di cervello della società dei consumi (qui immaginati un sorriso da parte mia, che consumo così poco che da morto mi farò mettere nel bidone per l’umido).
    Non so veramente se rientro nella categoria in cui forse tu mi contieni, bontà tua. Quello che posso risponderti è che comunque, alla fin fine, siamo pezzi unici (sia pure appartenenti a una specie, come dicevo, difettosa). Quindi, non sento affatto nessuna nostalgia per la figura genitoriale onnipotente e forse questa figura non ce l’ho mai avuta. Fin da piccino (presunzione? consapevolezza?) gli adulti non mi hanno mai convinto. Certo, alcuni li amo e li ho amati, ma da qui a idealizzare ce ne passa… Allora, la domanda che mi pongo è questa: è lecito come nel mio caso avere poca stima nella specie umana senza per forza scomodare Guy Debord e possibili traumi collegati alla figura genitoriale?
    Un abbraccio!

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    1. prego, non c’è di che!
      : )
      forse ho “visto” a braccetto Giovanni Paolo II perché la malattia me l’ha reso particolarmente umano (nel senso migliore del termine). su papa Francesco resto perplesso: o è il classico utile idiota o non è “trasparente” come vuole apparire.
      sul fatto che tu fin da piccolo sia stato adulto, perdonami, ma non è neurologicamente possibile…
      : )
      l’idealizzazione formale è “fisiologico funzionamento” del cervello di qualsiasi bambino (traumi o altro c’entrano poco). epperò in ogni caso, ovviamente, avere poca stima nella specie umana è lecitissimo, come qualunque altro pensiero.
      abbraccio ricambiato!

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  3. Gentilissimi sono onorata – Malos – per la tua replica. Capisco che la Fede per chi non crede sia vista come limite che relativizza e lo comprendo pur sentendola come fonte di delucidazione e scioglimento dei dubbi fino la verità che nel peregrinar non viene meno di passar attraverso ostacoli e momenti di difficoltà. Ma mezzo gaudio mi piace e lo accetto con un gran sorriso. Abele Longo grazie per avermi dato un caloroso benvenuto. Tutti gli onori sono a voi. Io mi reputo davvero asciutta di sapere e ho da voi tanto da imparare. Ringrazio il caro poeta Plinio Perilli di avermi indirizzato su questo favoloso sito che su tanti temi si espande e promana cultura e stimoli di pensiero e riflessione. GRAZIE! Ad maiora Monica

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      1. Grazie di cuore !!♡ è una frase che mi ha addolcito la stanchezza serale di una giornata densa di emozioni che forse non ci stavano più in me e mi avevano procurato mal di testa…è stato un commento oltranche lenitivo…GRAZIE

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  4. in cosa differiscono un *Kurt Vonnegut* e un *Giovanni Paolo II*?

    In niente, e anche fisicamente potrei trovare affinità…tipo un probabile stesso numero di orecchie…
    In tutto…siamo pezzi unici.

    Il mio primo pensiero però è stato:

    Kurt: “Caro Giovanni dai rientriamo a casa che fa freddino.”
    Giovanni: “Si Kurt, che Dio ti benedica, e se mi mettevo un cappellino di lana non era male…”

    Bel pensare Malos che mi stimola tutta una mole di pensieri attinenti che non starò a scrivere visto che facilmente diventano deliri. Dico solo che al punto “2) qualsiasi forma di idealizzazione produce delusione e frustrazione”, aggiungerei ” e fanatismo.” cosa che l’idealizzazione dell’essere umano e della realtà può facilmente produrre, di qualsiasi tipo esso sia. Un vero dramma perché è anche una cosa conforme al naturale sviluppo cerebrale idealizzare, come appunto ricordavi in riferimento all’infanzia. In sostanza dipende se si è più dalla parte della vittima o del carnefice idealista. Paradossalmente sembra che più si è circoscritti alla vita pratica, più ci si proietta nell’idealizzazione in cerca di qualcosa di diverso, con il rischio di ritrovarsi sospesi e imbambolati nell’intangibile. Per contro più si ha confidenza con l’atto dell’immaginare più si è capaci di rimanere, o magari ritornare, con i piedi per terra senza sentire la mancanza di qualcosa di ideale.

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    1. eh, in effetti, come “compagni di deliri” io e te siamo una coppiata esplosiva
      : )))
      hai ragione su quel “paradossalmente”. e la beffa è che la boa galleggiante a cui d’istinto cerchiamo di aggrapparci quando *idealizziamo*, si rivela poi essere un velenoso pesce palla…
      azzeccatissima, in chiusa, la contrapposizione tra immaginazione e idealizzazione..

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  5. Devo dire la verità, c’è qualcosa che non capisco, mettere al centro dell’universo Dio, quindi far derivare la morale, e il suo aspetto più raso terra che è il diritto, dalla figura ideale di Dio, non mi sembra proprio la stessa cosa che mettere al centro l’”uomo”, ma perché idealizzato?
    Se metto al centro Dio, il rischio che si corre è quello di bruciare gli eretici, che si faceva un tempo da noi, ma anche oggi c’è chi rischia di finire giustiziato assurdamente per apostasia come è avvenuto per il poeta Asrhaf Fayadh in Arabia Saudita e per fortuna no a Bibi in Pakistan.
    Nel novecento, ad esempio, l’uomo non è stato idealizzato, la psicanalisi ne ha mostrato l’aspetto oscuro nell’inconscio, e la storia con il nazismo c’è l’ha reso tangibile.
    Mi sembra che il concetto odierno nichilista dell’ uomo sia quello di una specie di malattia che sorge dal nulla, si presenta effimera sul palcoscenico del mondo, e poi ritorna nel nulla.

    Però di idealizzato ci sono i soldi.
    Nell’unico tipo di società che esiste al mondo, la cosa che conta di più, e che costituisce una meta, sono i soldi.
    Quindi vuol dire che i soldi sono l’idealizzazione dell’uomo?
    E quindi anche la morale e il diritto derivano dai soldi.
    E da qui discende l’unica vera forma di discriminazione, quella tra chi ha soldi e chi no.
    Se ci mettessimo al centro i pezzi unici senza i soldi sarebbe ancora infantilismo?.

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    1. intanto grazie per le tue parole, sempre ricche di stimoli.
      beh, se da un lato dio è idealizzato per definizione, dall’altro l’uomo è idealizzato *quando* “lo metti al centro”. l’antropocentrismo dell’umanesimo non brilla per realismo: dovendo giustificarne la centralità, *l’umano* viene idealizzato alla ricerca di una umanità perfetta che *meriti* di essere al centro (inevitabile loop).
      sul fatto che nel novecento l’uomo non sia stato idealizzato ho qualche dubbio: le grandi conquiste della scienza e della tecnologia, il cinema, la televisione, il superomismo niciano piegato alle esigenze del nazionalsocialismo tedesco, D’Annunzio, i supereroi dei fumetti, i deliri messianici di Soros e quant’altro hanno *forgiato* l’ideale di umanesimo post-moderno molto più dell’uomo-macchina freudiano.
      sui “soldi”, beh, i soldi non si usano da soli: sono uno strumento di potere usato dall’uomo… un po’ come i raggi laser sparati dagli occhi di Superman.
      : )
      da cui discende che Jeff Bezos e Bill Gates sono molto più superuomini di me e te, e che incarnano iconicamente l’ideale cui devono conformarsi gli esseri umani.
      quindi, i *soldi*, che giustamente citi (“vera forma di discriminazione”), mi pare facciano parte del quadro più che rappresentarne un’antitesi.

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  6. Io concordo c0n il fatto che il divario sia tra il tangibile e l’intangibile. Ciò che rettamente e concretamente tocco e vedo e all’opposto l’invisibile. In fondo posso volgere lo sguardo e l’enfasi per soldi, materia, benessere fisico e investimenti con età di vita segnata. O no. Posso e devo compiere qui nel tempo di vita una scelta che sia indotta, ragionata, voluta, non consapevole, non rappresentata pienamente e con discordanze ma ad ogni modo nel negare l’una posizione in automatico ne prendo parte all’altra.
    Penso anche alle correnti filosofiche non cristiane e ad ogni credo che rimandi l’homo a divenire l’asceta della modernità che non pensa che tutto qui si concluda. Penso che le nostre azioni ed abitudini ci schierino e rechino quella direzione di idealizzazione inconscia o conscia che ci plasma come argilla al servizio.
    Per spiegarmi meglio, una frase a me cara e che condivido in pieno è “l’essenziale è invisibile agli occhi” di Antoine de Saint-Exupey.

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    1. sarà che non amo le dicotomie, ma non vedrei un “divario” in senso stretto tra tangibile e intangibile (almeno, se intendendiamo per intangibile l’invisibile agli occhi di Saint-Exupery). è un po’ come quando leggo una poesia o un racconto e il messaggio è veicolato (nel contempo e sinergicamente) sia dal detto (tangibile) che dal non detto (intangibile). non so se sono riuscito a spiegarmi…
      : )

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  7. Se ci mettessimo al centro i pezzi unici senza i soldi sarebbe ancora infantilismo?
    Secondo me no. Difficile, arduo, utopico forse ma realizzabile e a quali spese e come non saprei ma sarebbe in dono una grande vittoria. Quali modi e piani potrebbero essere artefici è visionario concepirlo. I soldi servono per pagare oggi come ieri e non porta alcun gaudio vero e sincero, l’attacare il cuore ad essi.

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    1. forse il problema non è “elimare i soldi” o “prescindere dai soldi”, ma costruire un modello di società che sia fondata sul lavoro e su retribuzioni proporzionali e dignitose. mmm… dove l’ho già letto? ah, sì, nella Costituzione Italiana.
      ma allora…
      ????
      : )

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      1. Magari accadesse, giuste proporzioni, ideali posti in legalità rispettata. Equità, rispetto della dignità, fratellanza…troppo ?! Ho attinto alla Rivoluzione Francese, ai vaghi remoti ricordi della storia di cui siamo ad ogni modo figli ma molto di più alla evergreen fede che nei secoli non scade e fa luce.
        Il dì che accadrà, potremo salutarci benevolmente e avere una ricchezza che supera l’oro.

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