“La Passione – Via Crucis al Colosseo” di Mario Luzi
Monica Baldini
Anche Gesù è dibattuto, è in preda all’angoscia e si rivolge al Padre nella via della crocifissione. Mario Luzi scrive così nelle meditazioni per la “Passione di Cristo” che vennero lette durante la liturgia pasquale celebrata da Giovanni Paolo II al Colosseo il venerdì Santo, il 2 Aprile 1999.
Si trattava di un incarico elevato a tal punto che il poeta all’inizio non seppe se acconsentire e preso da sgomento così s’espone nel libro “La Passione – via Crucis al Colosseo”: “Ero invitato a una prova ardua su un tema sublime. La Passione di Cristo – ce ne può essere uno più elevato? (…) Ma sul punto di separarci (si riferisce ai suoi interlocutori) mentre fra me e me pensavo che avrei in definitiva declinato la pure esaltante richiesta, l’immaginazione già in moto mi prefigurò un testo poematico di Gesù fosse l’unico agonista. In un ininterrotto monologo Gesù nella tribolazione della Via Crucis avrebbe confidato al Padre la sua angoscia e i suoi pensieri dibattuti tra il divino e l’umano, tra la sua afflizione e la sua soprannaturale certezza.”
Queste righe tratte dalla Premessa ci introducono da subito nella sensibilità di un poeta che nel porsi di fronte la Passione si trova in mare aperto senza ancora di teorie e metriche, si scioglie ogni cattedra e formalità e rinnova libera la confessione della sua natura umana chiamata a meditare, a riflettere, ad entrare nel mistero del sacrificio dell’Agnello per la salvezza di tutti, di ogni peccatore. Non si pavoneggia, si sbrandella ogni accento di sapienza e solo limpido affiora il suo desiderio di dare al Papa, ai fedeli, al mondo intero che ascolterà, una profondità rinnovata dell’evento più rivoluzionario della storia dell’umanità dalla sua linfa poetica chiamata per dare voce a cosa significhi la morte di dolore di Gesù e la sua Resurrezione.
Il pensiero infatti lo avrebbe posto di fronte ad un diniego quando “come viva in mezzo alle tenebre, sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi, la contemplavan sotto alle palpebre!” come avrebbe detto Leopardi riportando i versi del suo decimo canto titolato Il primo amore. In questo libro è chiaro, scompare l’ombra della costrizione e affiora l’anima che anela alla libertà, alla verità, all’amore nella sua essenza più pura.
L’artista che porta in prima linea la bellezza del mondo, il lato che non a tutti è dato da scorgere ma che lui è invece capace di farlo, di mettere in luce la vita, i suoi angoli, i suoi nascondimenti e Luzi lo fa avvertendo che sarà un versificare ricco e denso e sbrigliato e interattivo.
“Il testo si andò sviluppando nelle modalità della mia versificazione teatrale. Essa consiste fondamentalmente in un sistema ritmico che include la metrica ma non le obbedisce e solo in certi punti speciali la formalizza.”
Una metrica che si rende flessibile, si scompone di fronte le parole che si collocano nel verso in base alla loro valenza, che trovano il loro posto da sé, acquisiscono contenuto e sostanza perché caratteri neri che scalfiscono la tela bianca del mistero.
Mario Luzi mi ha commosso per la grande umiltà con cui si è posto dinanzi la sofferenza, il dolore di vedere quanti ami condannarli, la loro brutalità.
Come un giovane che si pone di fronte chi più di lui sa, come candore, con tenerezza, con spassionata sanguinante tristezza e consapevolezza dell’invidia, Luzi non sacerdote ma poeta, uomo del mondo, si misura con un’opera minuta nelle pagine ma pregna di significato, di altezza spirituale che ritrae con intensità e soavità il bene che si offre per crocifiggere il male e donare la vita eterna alle creature amate da Dio. Ne esce una meditazione pulita non barocca ma sentita, che colpisce soprattutto quando mette in evidenza la perversione umana di voler uccidere la divinità in Gesù, quanto gli uomini ciechi pensano di farsi giustizia da sé.
“Sono dinanzi a loro, nel sinedrio,
mi scrutano i sommi sacerdoti,
mi vogliono colpevole,
covano contro di me pensieri perversi.
Mi provocano, irritati dal mio silenzio, mi consegnano a
Pilato mi scherniscono.
Questa marmaglia aizzata contro di me
ignora tutto di te, di me e dello Spirito
non conosce nemmeno il motivo dello scandalo,
ha solo in corpo un furore distruttivo da sfogare.
…
Il divino che è in me, quello vogliono uccidere
questa bramosia li eccita.
Sfogare sopra un misero
e indifeso corpo umano
che hanno nelle loro mani, l’astio
d’un antico e inconfessato paragone
con la divinità, questo li esalta.
…
Ma l’errore è enorme, devono ancora molto, molto crescere,
intanto vedi che scempio fanno
di me e che ludibrio: percosse, scherni,
insulti di ogni specie punteggiano il cammino all’uscita dal
pretorio
dopo la resa di Pilato alla turba furibonda.
Ancora Padre ti chiedo se questa ignominia è necessaria.
Tutto è scritto, lo so, ma nulla è revocabile?
…
Da qui passa la via per la resurrezione,
da questi orridi luoghi.
Ancora chiedo: è volontà tua oppure a questo scempio
non hai posto rimedio, rimedio non ce n’era? Talora si
perde il pensiero se il tuo non lo soccorre.
Com’è solo l’uomo. Come può esserlo!
Tu sei dovunque
Ma dovunque non ti trova. Ci sono luoghi dove tu sembri assente
e allora geme perché si sente deserto e abbandonato. Così sono io,
comprendimi.
…
Devo io portare la vita dove la vita è assente
e portarla con la mia morte…
e questo è il prezzo, questo supplizio.
…
Mi prende e mi tormenta il dubbio
che il mio insegnamento sia fallito.
La mia permanenza sulla terra è stata vana?”
Sono versi della Passione di Mario Luzi che manifestano come il dubbio attanagli anche Gesù, nel più grande groviglio umano come lo chiama il poeta. Il dubbio, che è la peggiore apertura verso l’allontanarsi dal Padre lo prova, Gesù si fa domande e le volge al Padre, e di queste malinconie Luzi scrive come se il Salvatore fosse uno di noi, una normale persona che sta lottando per la sua salvezza e qui l’incarnazione della divinità diviene viva, evidente avvicinando la fede nel cuore a Dio. Poi le tentazioni, quanti aizzano contro di lui, il male e l’amore che lui non perde verso gli uomini e che chiede al Padre di non perdere e soprattutto la sofferenza patita e non patteggiata ma straziante che porterà alla resurrezione.
Leggendo ho pensato a quanto male sia presente e dilagante ancora oggi, nel mondo, nelle genti, nelle nostre vite. Un male fisico, psicologico, morale, spirituale, un male che tiranneggia e per cui Dio ha mandato il suo unico Figlio a morire sulla Croce.
Il patimento estremo per cui si legge nel libro:”Più che la morte è la via per arrivarvi, la via crucis, che mi dà angoscia perché è dolorosa e aspra nelle carni e spezza il cuore di Maria, mia madre”, colmerà come le Scritture avevano detto con l’offesa immane del mondo.
La conclusione di Luzi avviene con questi ultimi versi di lode, ringraziamento, di preghiera elevata forte al Cielo:
“Infinitamente più grande è stato il tuo amore.
Noi con amore ti chiediamo amore.
Amen.”
Da poco abbiamo celebrato la Pasqua del 2020 in un tempo particolare, scalfito, scarnito e sofferente e la sofferenza che Gesù ha vissuto, mi è piaciuto rivisitarla e condividerla perché sia feconda, riflettendo con le meditazioni di un poeta che ha preso parte alla storia della letteratura italiana. Le sofferenze sono la via per la Resurrezione ci dice Luzi. Gesù ha patito per noi e con amore gli chiediamo amore, chiude.
L’Amore incarnato ha riconciliato l’uomo nella nuova alleanza con il Suo sangue.