Lavoro

Lavoro

Aprile, clima mite, primo pomeriggio.

Il centro commerciale Eolo è un lungo parallelepipedo snellito dallo sventolio di tre tensostrutture a vela. La nuova tangenziale s’è adattata a circumnavigarlo, formando un’ansa a stretto raggio: visto dai palazzoni dell’hinterland, pare un brigantino rifugiatosi dentro una baia e in effetti naviga in acque tempestose dall’inizio della pandemia.

Sul marciapiede in pietra che delimita il perimetro della struttura, una manciata di panchine in avanzato stato di decomposizione. Su una di esse, ad un’estremità siede la cacca di un piccione, all’altra una giovane donna.

– Lauuuura! Hai… hai due euri?

Laura alza gli occhi dalle pagine d’un libro. L’uomo è un armadio con la faccia da bambino: la stazza può incutere timore, ma è innocuo quanto un post su Féisbuc.

– No Giulio, mi spiace.

– Te, te, te… te li hanno presi tutti? – frigna incrinando il vocione.

– Quasi.

– Dai… ti p-prego, solo una moneeeeeta!

Nella testa di Laura, l’eco della voce del marito grida: “occazzo, non hai capito niente! non è solo una moneta! non è solo una moneta!!”.  La scaccia con il gesto di una mano e pesca dalla tasca un cerchio bimetallico.

– A-aaah! Ce lo sapevo che l’avevi! – ride e s’allontana soddisfatto.

Laura lo segue con sguardo: il golem supera di slancio l’ultima spiaggia rocciosa per tuffarsi nel mare nero del parcheggio. Nessuna auto lo investe solo perché tra l’una e le tre i negozi chiudono e la chiazza di bitume stermina ogni forma vita. Uno schizzo esegue un carpiato all’indietro e centra il volto della donna confondendosi coi semicerchi delle occhiaie. Quando Giulio s’aggrappa alla boa per rovistare nel cestino dei rifiuti, la donna lo abbandona al suo destino.

Cellulare. Dopo un tempo uguale a un mai, Dennis risponde.

– Dimmi.

– Non rispondevi…

– Ma ora ti ho risposto.

Breve pausa. Una folata di vento e il tanfo delle auto in coda sulla tangenziale cala sul parcheggio come un’orda barbarica pronta a stuprare le fragranze della primavera.

– Come va?

– Sto entrando in casa.

– Andrea? Tutto ok stamattina?

– Un cazzo, non si svegliava e non trovavo i vestiti…

– Li avevo preparati in fondo al letto.

– Boh… non c’erano…  – tintinnio di chiavi – comunque non stava neanche seduto: ti giuro, prendo le calze e va giù come una pera cotta, eh…

– E’ caduto??? S’è fatt…

– Sul letto, Laura… tranquilla: è andato lungo disteso sul letto, ok?

– Ah… avete fatto tardi?

– Alla materna avevano chiuso la porta… ma ho usato Andrea come testa d’ariete e l’ho sfondata.

– Cretino… – sorriso stentato – giornata storta?

– L’ultima ora in quinta per tenerli a bada serviva un lanciafiamme… quanto costerà uno su i-Bei?

– Stasera ci guadiamo, però meglio risparmiare e poi fuggiamo in Perù.

Pausa. Per qualche attimo il silenzio ingoia il cellulare scarico. Una folata di vento volta tre pagine del libro fischiettando Maramao perché sei morto.

– Ok, ti amo.

– Ti amo anch’io.

Nuovo silenzio. Una raffica più forte fa fremere le vele dell’ipermercato fino a stridere un frinire di cicala. Lacrime secche.

*

il racconto prosegue qui

(trattasi di racconto lungo di oltre 30.000 caratteri spazi inclusi: premessa doverosa per scoraggiare i Poeti)


2 risposte a "Lavoro"

  1. Dai, i poeti hanno scritto il Mahabharata (6 volte l’Odissea) mica si fanno spaventare da 30000 caratteri compresa la spaziatura, la spaziatura poi si legge in un baleno, a meno che uno non la solfeggia
    come i 4’ 33” di Cage :).

    Racconto di un realismo socialista, a parte un tocco di surrealismo come il bambino metallico e l’immagine finale molto bella della panchina ingoiata.
    Il lavoro che regredisce a com’era negli anni 60 e 70. Dobbiamo ringraziare il job act della pseudosinistra, che ha dato la possibilità di licenziare senza passare dalla consolidata trattativa sindacale, che trasformava i licenziamenti in contratti di solidarietà o cassa integrazione, se andava male. I licenziamenti che rinviano ad agosto per il virus sono quelli del job act. L’anno dopo che sono andato in pensione, nel 2019, ero al mare, e mi telefonano due miei colleghi che li stavano trasferendo a Roma, e un collega di Trieste appena licenziato con un sms, stentavo a crederlo, solo un anno prima sarebbe stato impensabile. In pratica hanno costruito da due rami d’azienda ceduti a un’impresa di Roma e ad un’altra di Milano, poi quelli di Milano finiti all’impresa di Roma li hanno trasferiti a Roma, e viceversa. Non era nei piani di smaltimento suddividere i rami facendo in modo che quelli di Milano finissero all’impresa di Miano, e viceversa. Il capo di Milano, l’equivalente del direttore del racconto, non ha avuto una sorte migliore, perché chi acquisisce i rami ha già i suoi responsabili di fiducia, infatti questo mio collega è stato licenziato, per i dirigenti è anche più facile.

    Va bene, ho divagato, comunque ho apprezzato il tuo racconto.

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  2. eh, eh, so bene che i poeti non si fanno spaventare e infatti il caveat era rivolto ai *Poeti*…
    : )))
    intanto grazie per la tua sempre generosa lettura. poi, chettidico… indubbiamente, la storia dell’umanità ci insegna che tragedie e farse tendono a ripetersi ciclicamente (BG Vico docet). purtuttavia, la situazione odierna differisce in modo sostanziale da quanto visto negli “anni 60 e 70”: sono scomparsi i sindacati, è scomparsa la sinistra sociale (partito comunista e partito socialista), scioperi e manifestazioni sono diventati inutili (la stanza dei bottoni non è più sul territorio nazionale), possiamo fallire (siamo un paese senza banca centrale e indebitato in moneta straniera) e ci è rimasta come unica arma – a doppio taglio – solo la deflazione salariare (grazie all’euro).
    il jobs act, che giustamente citi, è un’altra tessera del mosaico.
    difficile trovare vie d’uscita: ce l’hanno messo in cul de sac.
    : (
    un abbraccio, pensionato!
    : ))

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