Davide Castiglione: Inediti da “Doveri di una costruzione”

Davide Castiglione

L’altra


Lo sporco della coscienza gli tracimava dagli occhi
lei adesso veniva guardata in quel modo
veniva guardata con quei detriti addosso

perciò quando stava per lasciare il suolo 
con la caviglia accesa di slancio nel vederlo
qualcosa non tornava l’immagine di lui
testimoniò l’odore e l’immersione nell’altra
tutto immiseriva s’immerdava tutto

le gambe le si fecero pesanti,
i muscoli irrigidirono come un panno
su cui è calata un’intera glaciazione.



Marzo duemilaventi


«Non ce l’ha fatta». Non ce 
l’ha fatta. Aveva una voce ruvida e calda, 
di pepite imbiancate che scoppiettano in camino,
restava salda nel sorriso che apriva, che non era solo 
il sorriso di servizio dei pranzi la domenica. Sono volato

fuori casa, i fuochi d’artificio che qui era
festa nazionale, trent’anni dopo i carroarmati.
Sono volato fuori casa, la palestra, vediamo 
se le braccia finiranno per toccarsi in preghiera
mentre si sforzano di vincere il carico nero.
Poi casa. Clausura senza spirito, lo spirito verrà
e sarà spirito d’iniziativa, parola pesata per chi è lontano, 
calore che corre su Skype, torta di mele infornata.

Qui l’aria è buona, non pare trasportare.
Le foglie un poco smosse metterebbero pace.
Se non fosse che i numeri. Se non fosse 
che tosse, se non fosse 
che i nastri plastificati, gialli e rossi,
di nessuna vittoria attorno alle altalene.

Salta e sprinta, medaglia d’oro al salto
di specie. Tutte e vuote le strade portano a te. 
Eccomi allora. Una mattina 
di marzo duemilaventi sono
io che ti arpiono, io che sulla tua fama parassito.


(Davide Castiglione, inediti da "Doveri di una costruzione")

Davide Castiglione (Alessandria, 1985) ha pubblicato Per ogni frazione (Campanotto, 2010, segnalazione Premio Montano 2011) e Non di fortuna (Italic Pequod 2017). Doveri di una costruzione, la sua terza raccolta, uscirà nel giugno 2022 per Industria&Letteratura. Dal 2016, dopo un dottorato in Inghilterra, vive a Vilnius (Lituania), dove è docente di materie letterarie e linguistiche all’Università. Ha all’attivo una monografia (Difficulty in Poetry: a Stylistic Model, Palgrave 2019), sette articoli scientifici e un centinaio fra note, recensioni e saggi brevi sulla poesia contemporanea, in buona parte raccolte su Critica del testo poetico. Sue poesie sono apparse su riviste e litblog, tra cui «Poesia», «L’Ulisse», «Il Segnale», «Italian Poetry Review», «Inchiostro», «Nuovi Argomenti», «Formavera», «Atelier», «Poesia del nostro tempo». Ha vinto alcuni premi per l’inedito, tra cui il «Renato Giorgi» nel 2020 e il «Massimo Ferretti» nel 2021. Ulteriori informazioni sul suo sito personale.



Una risposta a "Davide Castiglione: Inediti da “Doveri di una costruzione”"

  1. due inediti interessanti.

    nel primo brilla il fermo immagine iniziale, ovvero la coscienza “sporca” di detriti tracimante dagli occhi di lui. m’appare particolarmente riuscita la doppiezza del soggetto al femminile attribuibile sia alla coscienza (secondo e terzo verso) che all’elemento femminile della coppia (dal quarto verso in poi). l’espediente rende bene il dualismo visibile/invisibile della *coscienza* stessa che, in effetti, difficilmente viene percepita dal lettore durante la prima scorsa dello scritto (ma rileggendo e “a ritroso” si *vede*). nella seconda strofa, intensa la fisicità olfattiva (“immerdava” è potente) e cenestesica (ben resa la trasposizione dinamica dello slancio di caviglia che “grippa” nell’irrigidimento glaciale delle gambe). in chiusa forse c’è un “come” di troppo, in alternativa: “i muscoli si fecero pesanti / le gambe irrigidirono in un panno / su cui calava un’intera glaciazione”.
    aggiungo solo che come quasi tutte le poesie al passato remoto, le rileggo girate al presente e mi suonano meglio. boh…
    : )

    il secondo inedito si disunisce un poco in terza e quarta strofa, quasi a rimarcare la frammentazione della realtà nei nostri costrutti mentali in condizioni di “locdàun”. comunque sia, contiene molti spunti e tratta in modo ficcante un tema difficile da un punto di vista poetico: la pandemia da SARS-CoV-2, medaglia d’oro al salto di specie. nelle due prime strofe – mi sembrano le più riuscite – l’amaro boccone della perdita (il parente/amico che non ce l’ha fatta) è trattato in punta chirurgica di forchetta: niente pornografia del dolore né lirismi strappalacrime, tutto è lasciato (con ottimo risultato) all’esorcismo fisico/autistico del sudare in palestra, all’umanità fragile della voce ruvida/calda/scoppiettante (che m’ha evocato – deformazione da me/dico – anche il crepitare gorgogliante in trachea dello scompenso congestizio) e un sorriso aperto-che-apriva. urticante, poi, l’odore casalingo della “torta di mele infornata” spietatamente decapitato da Skype. d’altro canto si sa che l’essenziale è invisibile agli occhi, per citare Saint-Exupéry, e l’aria buona che “non pare trasportare” ne è l’ennesima dimostrazione. in ogni caso, resta il fatto che ciò che è invisibile agli occhi (compreso il non scritto tra le righe) non è assolutamente detto che sia impercettibile per il cervello.

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