Vincenzo Mancuso: Poesie, 2013

A. Calder – Il circo
2013




La scala


Dicano tutto gli occhiolini
l'intermittenza cardiaca di quello che riesce. 
Palpitazioni o no 
fila dritta al punto con mosse studiate
e un orgasmo nell'entrata
o al massimo un condizionale.
Allora in una mano
il futuro è uno dei tanti
pezzi di ferro nella mischia, la conta
finita sul petto, con responsabilità da leone.
Per bestemmie e apparizioni 
lo scopo è chiaro senza rivelarlo
a se stesso in un riflesso sbagliato.
Chi ha talento lo sa a chi potrebbe passare 
appena c'è da montare la scala.
Però il silenzio sono cifre 
o un uccello che studia aspettando la pioggia
il vuoto che lascia il corpo 
sopra l'immagine.




Sitter 


Le tentazioni sono dietro i quadri
mentre una ninnananna è tutto 
il concerto che conta. 
La nobiltà forse non sono i colori 
o la firma in calce. E così, le date
l’ammazzano per gradi in discesa 
e percorsi coi bozzoli.
Se vedere è questo o altri fiori
o ippopotami per riavvolgere il nastro 
un grido le basta, scalciando 
con una mano di latte quasi fossero campane. 
Un domani con diminutivi 
consolerebbe chiunque 
e c'è da giurarci per singhiozzi. 
Cielo a parte la benedizione è fare
di poche ore una tela.




Block


La mette così 
ne fa un trattatello di tempistica
idiota che schiaccia con grande ristò 
con pienezza di uomo durante la leva. 
L'ha fatta la fame, la bigiotteria, il patron 
della paglia, un fiocchetto. 
Per non dirla coi tic non bastava fittarla, Concetta  
è in esproprio, incompresa di domenica. 
Col sangue della prima avrebbe carburato tutti
più olio che correnti d'avanguardia
con gran voglia di metallo pesante, solamente. 
Invece a guardarla è la fede
ma tutta inutile se non si rispetta
il volume, i piatti diversi sulla tavola. 
Bloccata com’è, l’America le scende giù
per il lato valgo: tecnicamente 
il mondo le pesa per bilance militari
più piombo che liquidi 
dalla fessura che la fa ancora vivente.
Quindi a chi se la sposa dirà 
una capriola da fare girare con bastoncino
di canna in un giardino inconcludente. 
Per chi glielo ripete dall’aldilà 
con fisime di gocce che scorrono contate
in attesa di una suoneria 
c'è sempre il colpo di tosse o un uovo 
al centro della testa. 
Lo scandalo è un altro se non fosse 
vero con la chierica, che la malattia è di tutti.
Le piace, e tutto cade lì come neve 
palloncini secondo l'anagrafe.
La casa premendo dalla finestra, un clic
che è pur sempre un bambù se le passa
davanti l'Africa. 
Quindi quale sorriso 
non ha un retro, un bancone, una resa.
Lo dirà con tutto quello che c'è:
la salute, un ermellino, l'oro - chincaglieria della madre 
tutto possesso anteriore nel baule.
Quanto cervello ci metterà nello zoppicare 
e che tipo di frequenze in quella pietà da sequestro? 
Per gonne nere e campane va pure bene. 
Dentro quei chili il mondo si vede 
con rotta di cervice.




Status 


Sta su colonna d'Ercole 
dall'ultima vertebra al quoziente 
intellettivo nascosto. 
Troppa grazia da concimare: ettari ed ettari 
di semi – felicità e low cost 
per chi affaccia sopra il purgatorio. 
Dove finisce se si parla di nascite è la risposta 
quando sbatterebbe la creta
su altra creta, la disambiguità forzata dello status. 
E diretto per chi?
Troppe famiglie di uccelli 
e insetti neonati da evitare 
e fiori giocattolo che hanno l'anima.
Sia benedetto Iddio se uno 
in famiglia resta indietro a zappare
saranno figli preti o artisti senza pretese
magari avvocati e canzoni.
Un coltivatore è un poeta e viceversa.
Coltello e sottoveste si arriva
a sentire da cani lasciando cuccioli
a sbranare cieli coll'estro 
da imbianchini. Alt, e poi giù
con secchiate di polvere
mentre l’afa bagna da fare
la scogliera in un attimo di corrente.




Prémaman 


Che tutto dondoli è normale
e anche una pseudo ignoranza 
è grasso colato attorno alla tavola: 
mani per frangette e stai su
fai il bravo mirando le dita
da morticino sul futuro cariato e guance.
E chi è il più bello?
A chi vuoi bene, a parte la puzza.
Tutto dalla bocca
della verità: mazzarelle e colori
e vari scosciamenti male interpretati.
L’età ha le sue fonti
d'oro, campanelle, santini da baciare
prima che le trottole abbattano da eroina.
Da Ringo si scaldano le pentole
si scarica il coupon per il circo
e poi le streghe che fanno un baffo
a patto che resti la luce accesa. 
Caro bisnonno 
dalla fronte in giù: tutto in ordine. 
Si è desiderata l'ovatta
sfregato abbastanza, dividendo le gioie
nonostante le quotazioni dei preziosi
e i pupazzi non vengono  
mentre le pile tagliano traguardi negli spot. 
Un po’ di seme è il riassunto dei pianeti
se si innaffiano le scarpe, e chapeau
quando i vagiti sono arte contemporanea
e padri pagliaccio sotto i carpiati. 
Ci vuole poesia dalla nascita 
se cadono porte e indici per pastelli  
se la prima parola è la finale di Wembley.




Rossa


Acqua per acqua, così si ragiona
per grandi abilità da voltafaccia. 
Dopo l'elemosina
con espressione da barista
si prega vogando con gli occhi 
più larghi dell'intenzione.
Quale inferno di mattonelle la aspetta 
lo dice un filo evacuato colorando. 
Testa contro di sé 
e maledetta labirintite 
finché il vestito non stinge
falsando la ripresa: la vita è un idiota
dietro le lastre.
Urla con gocce che si alzano
da grande imitatrice di delfini
ma nessuno glielo dice che da lì 
non si distingue neanche la vita 
pur crepando annegati.




Cemento 


Attenzione al collasso, dopo la posa.
Poi occorrono patinati e ganasce da croupier
su ogni livello di peccato.
La presa tenuta alta
per far finta che sia il sole d'oriente. 
La disciplina sta alle pulsioni, il resto 
sono le chiese, l'autismo, se si va
oltre le interferenze per etti. 
Santa romana ha le sue statue
lui pietra per paradossi e bilance
con cui innalzare la riscossa.
Davanti, non altro
la trinità: quello che deve essere 
è riflesso di profilo. 
Il bello viene nella misura 
oltre manica e toccate sulle cosce.
Va bene così se la mente è il soggetto
dove i plurali fanno metà dell'opera.
Non c'è malattia 
se i maestri schiacciano le leve
e il pianeta intero sale su respirando:
niente colore, poiché la pellicola procede lenta.
Con ricarica e olio
gli è permesso crepare da poveri
ma a raccontarli novella e testimone
mentre tutto rimpicciolisce.
Cemento vuoto sta fermo
nel tempo facendo dell'obiettivo l'incognita. 
Tanto per sono le prime 
e le ultime parole.




Passepartout


Te lo presentano partendo dalla tara
e non si scansa a pedate
non nitrisce girando la testa
per mostrare da che ceppo ti è nato.
Stanchissimo da non lasciare 
segni sul passeggio 
e chi copula sta a guardare piante seccarsi:
sigarette sullo show 
e tic che fanno da passepartout
con l'eco di se stesso. 
Cosa c'è nei numeri primi lo spiega 
col talento, senza fisime sul peso, né glamour.
E boom, dietro maschera e mantello 
si passano frontiere e biancheria
e il male va via con una mano di bianco.
Se ne sta nudo nei tunnel per farsi
un’aria di peccato e niente vetro o punesse
sotto la pianta per dire la sua. 
Quando ci scappa la lacrima
è un gran casino, tinta su tinta 
deve ammettere di essere uno zotico.




10


Sta tutto nel saperci arrivare
nell’infilarla benino, o no?
S’imbottiglia per farne un chinotto
una cosa fredda che consola. 
E’ una specie di panfilo 
sulla trequarti e sfila 
con elettricità - Ta’ - da genio sinistro. 
Dondola, e durante sa già 
quanti denti, quante bestemmie si alzeranno in volo
canarino a centrocampo: ciao e ti sfugge.
Mai contati sederi con i riccioli.
Col muro del cielo ne fa mille
e ogni tanto una spalla
gli serve se no sono manate d’aria
o discorsi con l’amichetto immaginario.
Dall’angolo ci vede una piscina
e portoni di scuola da affondare.
Statuine, mentre taglia.
Fuori anche un fazzoletto
va piazzato e gli occhi cadono sull’addome:
sono squali e si finisce sugli schermi.
Quanti coglioni con magliette di raso
sparerebbero alla pecora
nera prima che tiri il respiro
più lungo nel sette, ma non ce n’è. 
Saranno al massimo figurine.




Extra 


Di alici se ne pesano
ma la maniglia è lorda 
di tutti i bancali da credere a donne 
con pinne e pelliccia 
e terzi occhi per spiare la folla. 
Su, per elastici extralarge 
e calzini permettendo
a ogni strisciata di scarpe
ci si sciacqua di nuovo, puttana la miseria. 
E va via un penny 
dal salvacondotto, nel frattempo.
Cosa si potrebbe inventare
e quale nastro da mediano 
attaccarsi sulla fronte?
Cessi e pantere ai grandi magazzini 
o professoresse di merceologia? 
Se all'ippica mettessero la T (...) 
Assurdo per assurdo
si farebbe beato un trans gender
appena i carretti se ne vanno 
e slip al posto delle targhe nobiliari.
Già fatto dai re. 
Che tarantelle se s'incagliano le scene: 
si scambia partito e sillogismi.
Per malattia dell'acqua
sono litri di noci e zenzero fuori tempo.

***

Vincenzo Mancuso è nato a Torre del Greco il 1974 e vive a Portici (Na). Per anni si è occupato di editoria e giornalismo. E’ presente su alcuni litblog.


6 risposte a "Vincenzo Mancuso: Poesie, 2013"

  1. Belle poesie, che usano le parole semplici in modo creativo e non comune, e con una sintassi originale.
    Una poesia che sembra seguire un suo tracciato lineare, ben esemplificato dal disegno di Calder, e a me sembra anche dai graffiti preistorici, di Lascaux ad esempio, che porta nel mondo della modernità di “avvocati e canzoni e low cost”, qualcosa di antico, quando l’arte non si era ancora differenziata dalle attività della vita quotidiana, semplicemente ne faceva parte, voglio dire quando “un coltivatore è un poeta e viceversa”.

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  2. Felicissima di ritrovare la poesia di Vincenzo… che belli questi testi che pescano nel ricordo, espressi in vera libertà, senza necessità di spiegare, che i dettagli importanti davvero sono tutti lì, così come detti. Ne deriva una visione abbacinante e frammentata che attrae molto…

    "Mi piace"

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