Federico Preziosi: Variazione Madre, nota di lettura Anna Rita Merico

Federico Preziosi: Variazione Madre, Controluna edizioni

variazione madre

collana Lepisma Floema

Edizioni di Poesia

I poeti segnalati da Giuseppe Cerbino, 2019

*

Ho del mare da piantarti nella gola…

di Anna Rita Merico

Variazione Madre di Federico Preziosi è una silloge affilata come un affondo nel dentro di una ricerca che scava radice identitaria. E’ un affondo nel tema dell’Origine. E’ un attraversamento di sé esperito giusto un attimo prima che avvenga separazione e figlianza che genera significanza di sé.

Nel cuore del Novecento il romanzo Orlando di Virginia Woolf: una soglia in cui fluttuano maschile e femminile, tempi e luoghi. E’ uno dei ventri della contemporaneità l’andare e il toccare la pelle del confine di sé chiedendogli di sperimentarsi nella labilità dei punti di vista, nei dislocamenti di territori dell’anima che forzano parole e ricerche di significati.

Preziosi affonda, provvisoriamente, il proprio pensiero nel femminile. Lo fa per il tempo utile a chiedersi quanto e come sia possibile involtolarsi nel potere antico della creazione, nell’ancor più atavico e primigenio rapporto con la Vita e le sue Leggi. I versi sono, in questa silloge, un appuntamento silente e covato a lungo, un appuntamento divenuto consapevolezza di desiderio e richiesta di nutrimento alla Sorgente.

Madre mi hai nutrito, Madre torno a te per nutrirmi: se la prima volta il nutrimento che mi hai passato era nutrimento per ossa, muscoli ora è nutrimento simbolico. Te lo chiedo per rifondare Nome, Linguaggio, Simbolico e mi trasformo in femminile che ti attraversa le vene per sentire battito e pulsazione di parola che vuole ri-nascere. Sento nelle gambe la stanchezza di chi sale nel ripido per giungere da Mamma Schiavona, la Nera, la più brutta delle Sorelle. Dinanzi a Lei, nell’antico rito della scalata e della genuflessione, non siamo né maschi, né femmine, né uomini, né donne ma tutti e tutte siamo nell’affondo dell’antico che genera. Affondo nel sacro della parola per dirmi, per dire. Affondo nel ventre degli opposti, nel cuore degli indistinti. M’immergo nell’immenso del Caos per dominare caos. M’involtolo nella notte per dominare buio e odio perché voglio, da te, la lama che mi lascia percorrere la luce nella misura che non acceca. Sei potente nel ventre dei tuoi opposti, Madre. Di te guardo forza primigenia e copro sguardo d’eccesso.

Mi atterrisce la ferocia dei tuoi calzari,

i cenacoli dove spezzi solitari gli attimi

e le fughe nell’ossimoro e nell’odio

che tradiscono bene il tutto del senso spietato.

Convessi restano ricettacoli ingordi, l’odio

Per i momenti rigonfi o le apnee sul marmo:

quanti furono i caduti dall’altra parte e quanti

fingendo di mietere martiri a cogliere spine?

Sei l’odio che resta per la pazzia, il mio fallimento arcano;

la miseria pia è l’illusione che resisterti sia un male

e che solo funzione succube si ritrovi a muoversi così

come muove il vento. A te gli scatti a me i resti.

Tu valanga io ramoscello.1

Nell’antico essere ogni uomo si fermava a te in rito. Oggi che ciò non è, come ri-dirti per ri-dirmi?

Mi tramuto in femminile e percorro le miglia dell’oblio: altro non m’è dato.

Mi tramuto in femminile per dirmi maschile generato da femminile. Attraverso il potere di essere per esser-ci.

Mi fermo nel dentro delle mie trasmutazioni per radicarmi nei miei mutamenti, radice della forma del mio desiderato esser-ci. Abito di provvisorietà. Scialle di limite. Calzare di passo attento. Entro nel mio incesto fondante e lo dipano ne faccio ago, filo e spola perché voglio nominare il senso del gesto archetipo narratoci da Odisseo. Gesto universale che a tutti, noi uomini, appartiene ma che –ancora- non sappiamo nominare ritenendolo affronto alla forza maschia. Eppure, voglio nominare la fragilità, eppure voglio nominare il taglio mai riparato e voglio dirlo, sentirlo nella sua forza affinchè non sia più taglio di mancanza ma si tramuti in inizio di forza che sa nominarsi.

Odisseo per sette anni giace con Calipso ad Ogigia. Per sette anni la ama nella Grotta-Utero che li accoglie. La ama di notte, nel buio dell’indefinito e del Caos. Ne piange il giorno sullo scoglio, rammemorandosi come adulto che anela il Ritorno, narrandosi ruolo maritale. Odisseo s’oscilla tra regressione in utero e desiderio di uscita-nascita simbolica. Interverrà Ermes messaggero, verga velata, anche Lui indefinito nell’identità, con ali dei volatili ai piedi, spingerà uscita dalle acque primordiali del desiderio caotico verso acque in cui vincere prove.

Sono nata dall’incesto di una Madre

da un sangue rappreso in due palmi di mani

cosparso sul ventre in un mattino

in novembre, sul tramonto dell’autunno.

Raggelato sotto ai tocchi, gli irti rami,

penetrava lei in miti sciami, ed io

non sapevo nulla di un suono, di un mantice trachea:

godevo di un vagito doloroso quando

mi piantò le sue radici in corpo.

Divenni Figlio, Amore e infine Donna

la sua cute prominente, un odoroso incenso,

il giorno in cui recise labbra nell’iniziazione

mi ha rubato il bacio con occhi in lacrime.

Sul sesso piovve del mascara, un inchiostro

di lettere e diari, come se l’autunno

fosse primavera senza polline, mentre io

del miele mi cosparsi il volto.

La notte pregavo le falene di mangiarmi

portandomi da Dio senza condanna.

dinanzi a lui, non volevo fossi io.2

Preziosi parte nel proprio lavoro di scavo interiore generante dal tema dell’incesto. Potenza del legame maschile e/o femminile primordiale con la madre. Miele e latte e sangue ingredienti delle libagioni rituali offerte alle divinità femminili affinchè possano divenire prossime e consentire l’andare, le iniziazioni, i passaggi. In Preziosi anche la divinità è maschio-femmina. E’ divinità che lascia spazio alla sua stessa ri-fondazione: da divinità potente femminile, visione di generazione a divinità risolta in sguardo, occhio maschile che si auto genera auto-scindendosi nel Figlio e nello Spirito. E’ la scissione il segno del guadagno del maschile e dell’uscita dall’incesto, intricata e grumosa forza unitaria. Oggi: occorre ripercorrere tutto il transito storico fatto e recuperare un diverso andare capace di fondare mascolinità e messa al mondo del mondo?

ho fiato da bruciarti l’antro rinnegato

adesso vendicato, stigmate dell’anima e punto

giudicato al di là del bene

al di là del male

sono prima in questa gioia mentre viene

come atto estremo il nome mio,

una catarsi reticente che ha contratto

la tensione delle corde.

Mi chiamo Sara

sai che ti possiedo da quadrumane

questo lascio intendere

al corso di apprendimento.3

E donna diviene Sara, inizio e nome di fondazione di discendenza, anche lei in un doppio nominata: moglie-sorella; ciò a dire di legami che si stanno slacciando intorno all’incesto dinanzi alla legge che giudica e porta morale, divieto. Sono, quelli di Preziosi, versi ricchi di trasparenze e voli. Sono versi che narrano la bellezza della disciplina di poter ripercorrere la genesi dei processi di umanizzazione lì dove la possibilità di esser-ci necessita affondi di consapevolezza che solo la poesia può donare-ci.

Adesso non parli? Dillo dai cazzo!

io sono di filo io sono di ago

rapito il tuo giglio così denudato

la lingua ad uncino il corpo ha sventrato

muto mi guarda il volto contratto

commossa la piaga

piena di grazia.4

Se l’affondo è nelle memorie cellulari, memorie capaci di ripercorrere iniziazioni e tensione al divenire, durante l’andare Preziosi non tralascia il punto focale dell’apprendimento: apprendimento della parola e dello scrivere. Esse non possono che sgorgare dalla vena fonda del dolore, accesso al cuore del simbolico, al dentro della scissione ma, anche, porta di libertà.

C’è del profondo self-amore nello scavo

in questo rancido scucirsi dal petto le ferite, nello scrivere

urlando a bassa voce come un attimo animale sta all’anima

in un appiglio, che è senso d’abbandono il lieve ritrovarsi.

5

Variazione Madre è un attraversamento del nodo incandescente del territorio dell’Origine che lega alla Madre nella fase in cui Ella è, prima di essere madre. E’ la Vita da cui staccarsi prima di radicarsi gioiosamente in Lei, è il dolore che ci attraversa nello stacco dal Cosmo cui tornare: ciò di cui Preziosi dice è la mistura di energia che centrifuga ogni possibilità, per ognuna e per ognuno, per poter essere.

Diviene chiave, dunque, l’esergo iniziale Alle madri che mi hanno messo alla luce.

Qui si dipana tutta la potenza del sapere che non si nasce una sola volta ma che i processi di nascita si tessono e si ri-tessono più volte nel corso dell’esistenza individuale sono rigenerazioni che consentono evoluzioni del vedere e del sentire sé e il mondo. Si nasce da madre biologica, si elabora nascita da Madri Simboliche, sono loro a mettere alla luce nella molteplicità del gesto ripetuto e caparbiamente cercato.

Ha ragione Giuseppe Cerbino a mostrarci, nell’introduzione al testo di Preziosi, lo spazio-tempo del dire presocratico, un dire sapienziale fatto di lallazioni sia maschili (ricerca del fondamento ultimo) sia femminili (le interpretazioni cui è soggetto il dire femminile nei templi, lì dove le sacerdotesse guidavano la trasmissione del Sacro fondante l’Umano prima ch’esso si differenziasse nei sessi). Ha ragione Cerbino a mostrarci, ancora, l’uscita agita da Preziosi dal mondo della perfezione senza corpo che ha attraversato il femminile nella cultura occidentale. Ha ragione, ancora, a soffermarsi sul gesto fondamentale dello sguardo maschile quando sa decentrarsi per fare largo alla differenza: unica possibilità per far-si largo ed essere, in quanto uomo.

Essere ed esser-ci, dunque, come capacità di sostare all’interno di quei cerimoniali della fertilità a cui la poesia, nelle diverse latitudini, s’abbevera perché perdita della sonorità è perdita di mondo. Perdita della sonorità è perdita di quel sibilo lungo che ha avuto origine negli antri lì dove raffigurare sulle pareti lotta e opposti aveva il significato di giocarsi tra la vita e la morte, tra la certezza e il dubbio del poter permanere in vita.

L’Origine, dunque. L’Origine perché la nascita non è gesto scontato e, in quanto gesto fondante, va agito e ri-agito infinite volte nel corso dell’individuale esistenza, come tutti i giochi sacri di cui le donne sanno per antiche sapienze.

Entrare nella dimensione del Gioco, del tribale, del taumaturgico significa fare un salto alle spalle del logos, divenire maschiofemmina per poter avere accesso al tutto palpitante del primigenio che dona incipit di pulsazione, battito, passo verso il pensiero. Questo lo spazio, a mio parere, di Variazione Madre, un gesto di toccante amore verso la Madre nel riconoscimento attivo della propria madre. Nulla di scontato in questa autenticità di viaggio di dentro solo l’indicazione chiara di un sentiero perché futuro ed evoluzione sono alle spalle, fuori da un’idea di progresso lanciata in avanti, priva d’amore inteso come energia che armonizza parti. Amore tutto da voler apprendere e saper riconoscere.

1 Federico Preziosi, Variazione Madre, Edizioni di Poesia 2019, pg 25

2 Ivi pg 19

3 ivi pg 77

4 ivi pg 66

5 ivi pg 50

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preziosi

Federico Preziosi nasce ad Atripalda (AV). Studia Musicologia e Beni musicali a Roma laureandosi con un una tesi su Béla Bartòk. Vive in Ungheria dove insegna lingua e cultura italiana a Budapest. Si avvicina alla poesia grazie all’incontro con il poeta Armando Saveriano con il quale fonda il gruppo fb “Poienauti”. In seguito sarà costituita una comunità poetica, Versipelle, di cui Preziosi è tra i principali animatori (sito:www.versipelleblog.wordpress.com). Conduce, con Giuseppe Cerbino, gli incontri web de Le parole da casa e Poesie di guerra e di pace. E’ moderatore di Poeti Italiani del ‘900. Ha pubblicato, in poesia: Variazione Madre (2019) e Messa in Dimora (2023) entrambe con edizione Controluna-Lepisma floema.


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