“Mr. me” di Maurizio Evangelista (Arcipelago Itaca 2022)
Al diavolo bambina dove sono le mie sigarette?1
di Anna Rita Merico
<Non posso scrivere di altro se non di quello che vivo, io lavoro in albergo…>
Così Maurizio Evangelista nel corso di una presentazione di Mr.me, una silloge sulla sospensione del tempo e del luogo vissuta dall’interno di stanze d’albergo: gusci che accolgono l’andare, isole che mostrano l’interruzione della quotidianità, involucri che dicono l’irruzione del desiderio di una differenza e di una individuazione. Così Maurizio Evangelista a dire dell’incipit della propria forma di realismo in poesia.
Mr.me si addentra negli spazi di quell’invisibile che morde fuori da ogni possibile realtà e che, pure, chiede di attingere al quotidiano. Nelle pagine tutte le stanze sono stanze dal numero disparo. Di cosa dice questa scelta di scrittura e di sguardo? E se fosse un albergo nei pressi del mare? E se avesse corridoi con lato rivolto al mare e lato verso l’interno senza, dunque, vista-mare? Di ciò non sappiamo. Sappiamo che è scrittura nata a sud e ci chiediamo cosa porti in sè il lato oscuro del mare dentro ad un corridoio lungo.
Stanza 211
ho scelto la stanza per la prima volta/ quella con la poltrona rotta al secondo piano./ per la carta da parati/ e la vasca da bagno/ non vale una sega./ per il modo in cui l’ha guardata invece/ ho salvato il suo numero in rubrica.2
I corpi, in queste stanze dispare, svaniscono come ombre e stentano a sedersi all’interno della loro stessa consistenza. Lo sguardo è personaggio centrale d’ogni prospettiva indagata da Evangelista. C’è una mutazione che compare nei testi dell’Autore: mutante è la modalità della percezione, un universo percettivo sfuggente eppure di struggente fedeltà a sé. E’ percezione che si sofferma sul doppio generando simmetrie traverse nel corpo. Il verso si snoda rilasciando immagini che riportano a rappresentazioni di Francis Bacon.
Stanza 115
Se sbirciassi da questa stanza/ una stanza simile a questa/ sono certo che ogni cosa sarebbe la stessa/ ma in modo diverso./ in uno specchio/ la valigia aperta ai piedi del letto/ e i pantaloni che indosso./ un libro aperto che non ho mai aperto/ un paio di calzini bianche sulla sedia/ gli stessi della biancheria sporca./ mentre parlo ad alta voce/ mi chiudo la bocca./ mentre sfioro il mio braccio destro/ ho una mano sul mio braccio sinistro./ e nella stanza nessuno/ solo il mio riflesso/ mentre dal vetro mi busso la porta.3
Attraversa la silloge un senso di immobilismo dell’azione e del movimento. Tutto si chiude in precisi e fermi fotogrammi che mostrano le direzioni da cui le presenze giungono: da lontano. E’ un lontano impastato di attese. In ogni stanza avviene un collasso del tempo cronologico. In questo collasso si defila ogni possibilità di accesso per il ricordo e per il progetto a venire. Il presente è. E’ presente sospeso, immidollato all’interno di un occhio che, con un solo movimento, slabbra e riduce confini. Il reale è fermato giusto un attimo prima che catapulti nell’evanescenza di una virtualità tutta da scoprire. Un nulla di oggetti rimbalza contribuendo a svuotare lo spazio oltre che i corpi. Assenza di natura, assenza di oggetti, assenza di luoghi: la realtà lapida sensi senza annullarsi eppure, nella silloge, soggetto e oggetto slittano e mostrano una poetica fatta di risucchi e sparizioni. Inafferrabili i sentimenti e gli scambi umani.
Stanza 207
Senti quello che ti pare piccola. Io farei così./ sei così rock mentre fai la stronza/ che il tuo corpo sorride alla morte./ è così jazz la tua sigaretta spenta nel caffè/ mentre lanci un bacio fumo/ e mi sfiori con le dita giuste./ mi fai sentire così soul/ ma non sai bene cosa sia il soul, vero?/ fai la cameriera e ti ho bevuta al bar/ mentre ordinavo un goccio dopo l’altro/ e mi scioglievi il ghiaccio giù nel fiume/ con quei tuoi occhi swing venuti ad origliare./4
E’ un mondo che si mostra dopo aver digerito e posto tra parentesi la realtà di cui resta un fossile in una sorta di andamento continuo nella fantasmizzazione che regna sovrana a dare voce al visibile. Cerco il cuore pulsante di questi versi disciplinati, limpidi, essenziali. Trovo, come primo dato immediato, una dilatazione dello sguardo nel tutto-presente che la caratterizza. Interessante la capacità di evocazione di un universo chiuso che è tensione a ri-costituire il topos della stanza poetica intesa, qui, come luogo in cui l’azione avviene e limita territorio di visibilità dell’anima. In ogni stanza accade una sorta di attimo di grazia in cui il respiro si autosospende tenendo in scacco l’intero universo sensoriale del lettore.
Stanza 303
In questa stanza sono nudo/ e tutti quelli che amo sparsi/ come briciole della colazione./ a me basta raccoglierli con le dita/ per sentirne la mancanza./5
Quella di Evangelista si presenta come la delineazione di un universo poetico in cui la fluidità del verso e la sua stessa composizione sono orientati nella direzione del recupero di una forma chiusa che elabora contesto narrativo. Il Suo è spazio poetico che non risulta mai essere spazio di maniera. E’ uno sguardo che si rivolge ad una visione dell’umanità frammentata e imbozzolata in una singolarità surreale. Cellophanate le figure femminili, sospese in una mancanza di direzione, imbambolate in performances di ruolo come se ogni possibilità evolutiva sia stata, a loro, negata.
Non è uno sguardo pietrificato che tiene maschile e femminile quanto, piuttosto, un gelido dell’azione che fissa dentro gesti impercettibili l’unica possibilità di essere. L’esito non risulta essere mai quello del panico. L’esito è quello di un fascino vojeuristico di cui si veste lo sguardo nello spingersi oltre la soglia della porta che delimita il perimetro delle stanze consentendone l’accesso.
In questo sottile fascino accade una protezione di verità che “fa” mondo talvolta con uno sfondamento della realta’, talvolta con l’ impossibilità di raggiungerla.
Stanza 323
La conta con le mani stabiliva il primo./ il gioco era salire sulla sedia e tenerci chiusi/ qualcuno prendeva/ in una stanza di padri e di madri/ con le mani grandi come le tue/ e noi saltavamo/ e nessuno di vedeva la vita/ questo era il punto./6
Le immagini del mondo naturale vanno ad innervarsi con il centro del corpo umano, si delinea un corpo-bonsai che chiuso, staccato da qualsiasi elemento naturale, mostra forme di ripiegamento e difficoltà di impatto relazionale sia con la natura che con la storia. Nonostante ciò il corpo non si mostra disgregato quanto, piuttosto, modellato da nevrosi, da una sorta di ritrazione che lo rimpicciolisce sul piano simbolico ma lo allarga sul piano della forza espressiva rendendolo capace di indicare esiti di contemporaneità all’interno del linguaggio poetico dell’Autore.
Stanza 405
dovremmo crescere ogni anno di due centimetri e mezzo/ crescere in primavera e sul finire dell’estate/ allargarci la chioma formare/ sottili anelli anno per anno./ avere l’interno cavo/ e quel peso non ancora nostro/ con tutto quello che fuori/ è dentro siccità.7
Il lessico utilizzato da Evangelisti, con la sua essenzialità, si pone nell’arco della tensione tra concreto e astratto: concreta la parola che indica la situazione vissuta, astratta la direzione mostrata, direzione di stato d’animo, di irrealtà e di voluta sospensione. Evangelista colloca il tratto della parola nello spazio dell’osservazione di quanto avviene all’interno del minuto campo in cui l’azione è. Nei suoi versi si mostra dissolta la presenza del soggetto nella sua integrità. Il soggetto di Evangelista guarda se stesso da fuori e da spazi incredibilmente piccoli e da visuali di esperienze minute, quotidiane. E’ una straniazione che rimanda a sapori di albe urbane. Albe ferme, intaccate da ubriacature della sera precedente e dall’immenso di sparizioni che si ostinano, comunque, a volere umano e pensiero.
Stanza 325
ogni mattina mi porto il nome fuori/ e controllo di aver chiuso bene la porta/ e di avere quarant’anni./ il mio vicino getta da mangiare ai gatti/ e sono anni che non conosco il suo nome/ quante cose un’abitudine/ una chiave certo/ l’ombra che segna l’indirizzo del pranzo/ per qualcuno/ ma il nome soprattutto/ che non serve per conoscere un uomo./8
Quello di Evangelisti è un habitat urbano ridotto alla propria minimale essenza. Un habitat all’interno del quale avviene una ricerca di sé agita attraverso rispecchiamenti, rimandi, proiezioni. E’ la messa in scena di una dimensione rituale e chiusa che non annulla individualità ma dice il desiderio di tesserla. L’abbassamento della dimensione dell’io rimanda ad una disumanità che ha perso biografia eppure vuole significarsi. Ogni stanza è frammento di realtà anche se nulla ha sapore di deflagrazione. I testi poetici di Evangelisti narrano un percorso di verità all’interno del possibile. Ciò per dire che, se la verità non è conoscibile, è possibile uno spazio, una stanza d’albergo, un hortus conclusus in cui eticamente fermarla, circuirla con cura, attendendone sboccio.
1 Evangelista Maurizio, Mr.me Arcipelago Itaca ed. 2022, pg 29
2 ivi pg 27
3 ivi pg 15
4 ivi pg. 25
5 Ivi pg. 37
6 ivi pg. 45
7 ivi pg. 51
8 ivi pg. 46

Maurizio Evangelista vive a Bisceglie. La sua ultima pubblicazione è Mr. me (Arcipelago Itaca, 2022) con il quale è risultato vincitore della VII ed. del Premio naz.le indetto dalla casa editrice nel 2021. Organizzatore e direttore artistico, dal 2010, dell’evento Notte di Poesia al Dolmen della città di Bisceglie, ha partecipato, in qualità di ospite, alla XVII ed. del festival di poesia di Varsavia e alla XI e alla XVI ed. del Trireme della Poesia Ionica a Saranda in Albania. Le sue poesie sono apparse inoltre su riviste letterarie in Serbia, dove una plaquette dal titolo La città inventata (edito in Italia da Secop edizioni, 2015) ha ricevuto il premio della critica a Sremski Karlovci. Oltre alla poesia Evangelista è anche autore di racconti per ragazzi pubblicati tra 2013 e il 2022 nei libri Gli animali e noi, So dire di no, La rosa di Damasco e Racconti di pace contro ogni guerra, tutti editi da Adda Editore – Scritture Meridiane Per Ragazzi a cura di Daniele Giancane.
