Giancarlo Locarno: Padre Daniele da Samarate – A Deus Louvado

Fu un anno difficile il 1898 per il regno d’Italia, dal 6 all’9 maggio scoppiarono delle rivolte popolari a Milano e in diverse altre città, i motivi sono stati l’aumento del prezzo del pane, le basse paghe  e le condizioni di lavoro che progressivamente si inasprivano, aumentava sempre di più la povertà e questo obbligava tanti contadini ad emigrare. La responsabilità dell’ordine pubblico fu affidata dal governo di Antonio Rudinì al generale  Fiorenzo Bava Beccaris, che lo mantenne con una violenza inaudita utilizzando l’esercito. 

Il 9 maggio i militari notarono un movimento di persone dentro e fuori il convento dei cappuccini di Monforte, che considerarono strano e sospetto, allora venne dato l’ordine di assalto, facendo una breccia nel muro di cinta a cannonate.

Erano i poveri che andavano a mangiare nella mensa dei cappuccini, che come è loro tradizione non rifiutavano a nessuno un piatto di minestra. Vennero tutti arrestati Frati e mendicanti.

Scrive il cappuccino Padre Ezechia da Iseo (nella prima biografia di Padre Daniele scritta nel 1925 per le edizioni Annali Francescani dalla quale traggo le foto e le informazioni) :

“tra i trentacinque frati arrestati, condotti sotto i fucili spianati alla vicina prefettura, vi era anche fra Daniele col quale, chi scrive questa pagina si incontrò lungo i corridoi durante la mezz’ora di “infernal tempesta”. Io ero sacerdote novello lui ancora semplice studente.

….

Finalmente s’era potuto capire che si voleva l’arresto di tutti i frati e, dopo un po’ di fatica, ci trovammo infilati su due schiere lungo il corridoio che mette alla porta d’uscita. Quindi preceduti, fiancheggiati, seguiti dai soldati con le armi pronte allo sparo, e dagli ufficiali impugnanti la rivoltella, siamo entrati nel palazzo della prefettura alle 13.30”.

Furono tutti rilasciati il giorno dopo ma i cappuccini dovettero essere ospitati dai padri Barnabiti, perché il convento di Monforte rimase occupato dalle truppe di Bava Beccaris.

Anche Padre Daniele si trovava dunque tra i frati arrestati, questo fu il primo impatto con la storia e la realtà del mondo, che forse contribuì ad acuire la sua determinazione. Al secolo era Felice Rossini, nacque l’11 giugno del 1876 a Samarate da Pasquale e Giovanna Paccioretti.

La vocazione si manifestò presto nel 1890, nel convento di Sovere (Bergamo) ancora ragazzino indossò il saio e prese il nome di Daniele. Nel 1898 si trovava presso il convento di Monforte a Milano come studente di teologia.

Nello stesso anno affascinato dalle parole di Padre Rinaldo Panigada superiore delle missioni in Brasile, tornato in Italia alla ricerca di nuovi missionari e pieno di entusiasmo per quella che vedeva sorgere come una seconda nuova vocazione, partiva per il  Brasile l’8 agosto del 1898 non ancora sacerdote.

Un anno dopo celebrò la prima messa nel santuario di Canindè (Cearà) e quindi venne destinato alla missione di Sant’ Antonio Do Prata nello stato del Parà con l’incarico di direttore del collegio per i figli degli indi.

La missione del Prata, fondata e diretta da Padre Carlo da S. Martino Olearo, funzionava un po’ come una fazenda, oltre all’evangelizzazione venivano effettuati lavori agricoli con la manovalanza locale, vi era una scuola per l’istruzione degli indios, si operava in accordo con il governatore dello stato che garantiva i fondi.

Il 13 marzo del 1901 un terribile  fatto di sangue scosse le missioni: le suore, i frati e la piccola comunità di laici che vivevano nella missione di Alto Alegre nello stato di Maranhão vennero assaliti e massacrati da una banda di indios della tribù Guajajara , istigati dai proprietari fondiari, in totale ci furono più di duecento morti di cui 6 frati e 7 suore.

Ma c’erano anche altre cause più sotterranee e indirette che portarono all’attacco, come la siccità che da anni affliggeva il nord-est del Brasile, il dilagare dell’epidemia di morbillo che decimava gli indios, la scoperta della gomma sintetica, che fece crollare l’economia del Parà per il quale la produzione di gomma naturale  costituiva la principale risorsa. Le missioni apparivano come oasi di prosperità in un deserto di miseria e anche facilmente conquistabili, venivano quindi assalite per accaparrarsi i loro beni. Inoltre i proprietari fondiari non vedevano di buon occhio queste comunità egalitarie e volevano sfruttare il più possibile i lavoratori lasciandoli nella povertà e nell’ignoranza per arricchirsi sempre di più.

A questo punto la situazione politica e sociale si fece confusa, le missioni nel nord del Brasile rischiavano di essere chiuse, i governatori avevano pochi soldi ed erano piuttosto restii ad investirli con i frati.

Dilagava il malcontento e sorse anche un problema di sicurezza, altre missioni furono soggette a danneggiamenti ed attacchi; in quella del Prata venne assaltata la farmacia  e furono uccisi anche dei contadini che gravitavano attorno alla missione.

Padre Carlo, uno dei missionari più esperti, venne subito inviato  nell’Alto Alegre per valutare la possibilità di recuperare la situazione e a Padre Daniele venne affidata l’intera responsabilità della missione del Prata.

Cominciarono allora  anni  di intense attività in cui si cercava di riattivare le relazioni con gli ambienti ecclesiali e di governo  per salvare le missioni, questi sforzi  sfociarono nel 1903 nella visita al Prata del vescovo del Parà Francesco De Rego Maia e  del Governatore Augusto Montenegro, il quale, impressionato dall’efficiente organizzazione, assicurò i mezzi per un programma agricolo e di istruzione più vasto di quello già in opera.

In pochi anni sotto la direzione di Padre Daniele venne realizzato anche il collegio femminile per l’istruzione delle ragazze indios, arrivarono anche le suore, la maggior parte erano terziarie cappuccine brasiliane. Venne anche costruita la ferrovia che collegava il Prata alla città di Belém e quindi alla rete ferroviaria Brasiliana, la ferrovia era chiamata il “trem de frei Daniel” , il treno di  frate Daniele. Cosa quasi incredibile per i tempi e i luoghi, venne attivata anche una linea telefonica, che rese più facili e veloci i collegamenti della missione, consentendo anche grandi risparmi di viaggi a Belém a dorso d’asino per i periodici colloqui con gli interlocutori governativi ed i superiori ecclesiastici. 

La selva era diventata una cittadina” scrive padre Ezechia. Ma le carte del destino vennero rimescolate e cambiò tutto nel corso del 1909:  Padre Daniele si accorse di avere alla pianta del piede sinistro una macchia che delimitava una zona del tutto insensibile; i frati conoscevano bene quei sintomi e avevano subito intuito che erano i segni della lebbra allo stato iniziale. Dietro consiglio dei medici locali e dei superiori ritornò in Italia per curarsi.

Scrive Padre Ezechia che nel corso del viaggio, prima di arrivare in Italia,  Padre Daniele si fermò anche a Lourdes,  per chiedere alla Madonna di essere guarito, ma sentì una voce interiore che gli disse : “Non voglio guarirti, vai in pace, tu riceverai un’altra grazia”. Allora smise di pensare alla sua guarigione e accettò il suo nuovo stato come una grazia. A Roma venne visitato da uno specialista, che confermò la sua malattia come lebbra.

Non volle però rimanere a curarsi in Italia, dove non c’era esperienza di cura per questa malattia e ritornò in Brasile. Per lui le cose ora erano cambiate, era diventato un paria, doveva rimanere isolato, come lo erano i lebbrosi, rifiuti della società.

Ancora per qualche anno gli permisero di continuare a gestire la missione del Prata dal ritiro di S. Isidro un luogo isolato e lontano alcuni chilometri dal villaggio.

Quando la malattia peggiorò nel 1914 dovette per forza di cose andare a ricoverarsi in un lebbrosario. I superiori gli proposero Pernambuco, un lebbrosario molto ben gestito e organizzato, ma lui preferì quello di Tucunduba sempre nel Parà, una sorta di ghetto dove regnava la violenza del più forte. Scrive padre Ezechia “un lebbrosario numerosissimo, ove il Cristo non era amato, ove i costumi erano pessimi, ove l’assistenza religiosa lasciava molto a desiderare” . Aveva 38 anni.

Scrive sul suo diario:

Pensavo di essere accolto con dimostrazioni di stima e di affetto. Quale illusione! Fui ricevuto non come un padre che, soffrendo la stessa malattia dei figli, può comprendere più agevolmente il loro stato d’animo e consolarli, ma come un nemico, un intruso che viene a metter novità e, forse, a spiare i loro difetti per poi colpirli senza misericordia e, magari invocando dalla direzione una disciplina più drastica e ferrea”.

“ A prima vista sono rivoltosi, ribelli, indifferenti e soprattutto indolenti nelle pratiche della fede e della vita cristiana. Ma i poveretti si devono compatire: non sono cattivi. Senza dubbio è la malattia che concorre fortemente a dar loro questo atteggiamento….

A poco a poco con tolleranza e pazienza dopo un anno riuscì rompere la diffidenza diventando un punto di riferimento importante ed anche il cappellano del lebbrosario.

Si dedicò in particolare ai giovani, che raccolse intorno alla sua casa che chiamava “Ritiro San Francesco” , ai quali proponeva non solo attività religiose ma anche ricreative e culturali e musicali.

Dal diario:

“ E’ una scena commovente vedere queste povere creature già fin da piccini colte dal terribile morbo che li rapisce all’affetto dei genitori e li traduce in questo purgatorio per non dire inferno, come si potrebbe chiamare il ricovero dei lebbrosi del Parà! “.

La malattia aveva periodi di aggravamento e di relativa remissione. Ma ormai, dopo dieci anni a Tocunduba la sua situazione si era notevolmente aggravata.

Scrive padre Ezechia riportando le parole di padre Eliodoro che era il più vicino a padre Daniele:

Un vero scheletro che vacilla, non si regge più in piedi; ha perduto tutta la barba e parte dei capelli; ha le orecchie smozzicate, il naso deforme, la faccia emaciata; ha perduto completamente la vista dell’occhio destro; il sinistro pure va in putrefazione; solo vede come da uno spiraglio. Se cercate le dita non incontrate se non l’ultima falange del pollice e dell’indice delle mani, di tutte le altre dita delle mani alcune falangi sono scomparse, altre stroppiate; conserva ancora tutte le dita dei piedi. Il resto del corpo, una sola piaga purulenta. Ha ancora l’udito, la favella, ma è un filo di voce che esce dalla sua gola putrefatta. Quello che più si deve ammirare, è la completa lucidezza di mente e la perfettissima intelligenza che gli serve per conoscere e glorificare, come egli santamente dice, la misericordia di Dio”.

Nel marzo del 1924 Padre Daniele celebrava con i confratelli il XXV anno di sacerdozio, ricevendo anche gli auguri e la benedizione del papa.

Il 19 maggio dello stesso anno morì e venne sepolto nel cimitero del lebbrosario.

Quest’anno ricorre il centenario della sua morte.

Attualmente parte dei resti mortali di Padre Daniele si trovano nella chiesa del Sacro Cuore a Milano, altre reliquie sono conservate nella chiesa di San Francesco a Belém.

Dal 1994 è aperta la procedura presso la Congregazione per la causa dei santi che finora ha portato al decreto del 2017 con il quale papa Francesco lo ha riconosciuto quale “Servo di Dio”.

Di seguito riporto il decreto Super Virtutibus in italiano, quindi l’originale latino.

BELEMENSIS DE PARÁ

Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Daniele da Samarate (nel secolo: Felice Rossini) sacerdote professo dei Frati Minori Cappuccini (1876-1924)

DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS

Allora ho detto: «Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7). La vita religiosa e sacerdotale del Servo di Dio Daniele di Samarate (nel secolo: Felice Rossini) si esprime nel suo persistente desiderio di accordare la sua volontà con quella di Dio, impegnandosi quotidianamente, costantemente in tutte le cose lavorando e soffrendo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Servo di Dio nella frazione di San Macario del comune di Samarate vicino a Milano, il 15 giugno 1876, nacque da Pasquale e Giovanna Paccioretti, contadini, e il giorno seguente venne battezzato, quattro anni dopo, la sua famiglia si trasferì a Samarate. Nel 1888 Felice ricevette il sacramento della Cresima e due anni dopo, non ancora quattordicenne, con i segni di una vocazione alla vita religiosa, entrò nel seminario dei Cappuccini vicino a Bergamo. Iniziando il noviziato prese il nome di Daniele di Samarate. Nell’anno Nel 1892 emise la prima professione religiosa e nel 1896 emise i voti solenni. Servo di Dio dalla testimonianza di alcuni giovani fedeli della sua parrocchia “Ha vissuto una vita buona e pia.” Un esempio simile si è verificato tra i fratelli buon chierico e studente cappuccino. Dotato di un intelletto acuto, con uno spirito di gioia ed eccelleva nella partecipazione fraterna, secondo il costume francescano. A Milano, durante gli anni degli studi teologici, il Servo di Dio conobbe il Padre Rinaldo da Paullo, che era con il Superiore della missione brasiliana, durante l’eccidio della colonia di S. Giuseppe dalla Provvidenza nell’ Alto Alegre  do Maranhão, nel 1901 insieme agli altri tre Fratelli professi, tre Fratelli del Terz’Ordine, sette Suore Cappuccine del Terz’Ordine di Londra e furono uccisi più di duecento laici cristiani di quella missione. Questo incontro con Padre Rinaldo segnò particolarmente il Servo di Dio con l’ardore dimostrato dal missionario; Allora ha chiesto di raggiungere gli altri fratelli alla missione nella regione tra il Nord e l’Est, sarebbe andato in Brasile, dove nel 1892 i Fratelli Cappuccini Lombardi erano impegnati. La regione era costituita dagli stati v. Ceará, Piauí, Maranhão, Erano pronti con l’intenzione di propagarsi anche nella provincia dell’Amazzonia.

Frate Daniele, che già aveva ricevuto gli ordini minori dalle mani del beato Andrea Carlo Ferrari, si imbarcò su una nave per il Brasile, dove arrivò il 30 Agosto 1898. Destinato a Canindé, stato di Ceará, ancora diacono, fu ordinato sacerdote il 19 marzo 1899 con un indulto prima del tempo dovuto fu inserito nel  sacro ordine. Fu assegnato a Colonia Sant Antonio do Prata nello stato del Pará, dove ricoprì vari ruoli di professore, rettore, economo, ed esercitò uno spirito di fraternità superiore. Con saggezza e prontezza affrontò le difficoltà, con coraggio e perseveranza la diffusione del Vangelo e il ministero sacerdotale; curò con ardore l’educazione di giovani uomini e donne sia indios che coloni e costruì per loro due istituti, educò al lavoro e alla coltivazione dei campi, infine, nel 1908 fece costruire una chiesa dedicata a Sant’Antonio di Padova. In quelle difficili circostanze contrasse la lebbra. Quando si rese necessaria l’assistenza sanitaria ritornerà in Italia nel 1909, si recò anche al Santuario mariano di Lourdes, dove  accettò con persuasione la malattia per contribuire alla maggior gloria di Dio. Questo per Fratello Daniel era della massima importanza, perché da questa esperienza ne nacque un’altra più piena e generosa un modo nuovo di conformazione alla volontà di Dio con uno spirito di gioia inesprimibile. Dopo inefficaci cure in Italia, è tornato in Brasile al precedente lavoro missionario, pastorale ed educativo. Nel 1913 lasciò definitivamente la colonia di Sant Antonio do Prata e si ritirò a San Luigi in Maranao una costruzion isolata nlla parrocchia del villaggio v.d. Anil. Il 13 dicembre, tornò a Belém dove apprese chiaramente del veloce progredire della malattia, chiese ed ottenne di essere accolto nel lebbrosario di Tucunduba vicino a Belém; luogo segnato dalla miseria e dall’abbandono da parte della società, trascurato dai medici e anche dai religiosi. Lì con modestia nel ritiro di San Francesco all’interno del lebbrosario, per dieci anni esercitò il fruttuoso ministero dell’apostolato, e quel lebbrosario da luogo della distruzione e della corruzione si trasformò in luogo di benedizione e virtù. Mentre la malattia lo finiva, il Servo di Dio ringraziava il Signore per questo bel dono che gli sembrava un’ordinazione sacerdotale. I suoi più numerosi “Grazie a Dio”, erano tutti compresi nella frase che egli stesso trovò come motto e lode del Signore,  : “A Deus Louvado”, cioè sia lodato Dio per tutti le cose che ha realizzato. Quindi la sua conformazione alla volontà di Dio è il risultato ultimo, e nella preghiera con i fratelli lebbrosi, ogni giorno ad alta voce eleva la sua lode al padre dicendo: “Io sono un figlio di Dio, Dio vive in me”.

Il 25 marzo 1924, padre Daniele, ha celebrato il venticinquesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, e il giorno successivo il 9 nel mese di maggio ha ricevuto i sacramenti in articulo mortis, e il perdono del Signore e chiedendo ai confratelli di portare avanti la sua navicella, offrendo la sua vita per la missione e promettendo a tutti di ricordarli in paradiso. Dieci giorni dopo in cui era ancora nel pieno controllo della sua mente, nella preghiera e nell’abbandono assoluto di sé nelle mani del Padre misericordioso, e nell’attesa di una dipartita senza nessun timore ma come ricompensa di Dio, disse: “Tutto è compiuto”. Il 19 del mese Nel maggio 1924   morì nel sonno eterno.

Cronaca di santità dal 14 settembre 1994 al 30 settembre Agosto 1997 presso il Tribunale Vescovile di Belém del Pará Inquisizione diocesana e Milano dal 6 agosto 1996 ultima udienza della rogatoria del 19 marzo 1997 è stata celebrata, tutte giuridicamente valide presso questa Congregazione La Causa dei Santi è stata approvata con Decreto del 4 luglio 1998. Sulla posizione redatta, secondo le consuete regole, si è dibattuto se il Servo Dio aveva coltivato le virtù degli eroi.

Con esito positivo. Nel marzo 2016 si è svolto un Congresso Speciale dei Consultori Teologici. Padri Cardinali e Vescovi ordinari nella Sessione del 7 marzo nel 2017 presiede l’amato Cardinale Angelo, all’eroico Servo di Dio riconoscevano di aver esercitato le virtù teologali, cardinali e affini.

Tutte queste cose infine furono redatte dal Sommo Pontefice Francesco firmate dal Cardinale Prefetto con una dettagliata relazione, Sua Santità ha attivato la Congregazione delle Cause dei Santi avendo degli argomenti, oggi dichiarati:

Composti dalle virtù teologali di Fede, Speranza e Carità e in Dio e nel prossimo, nonché quelle cardinali Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza, ad essi legato, in grado eroico, il Servo di Dio Daniele a Samarate (al secolo: Felice Rossini), Sacerdote Professo dei Frati Minori dei Cappuccini, nel caso e per l’effetto in questione.

Tale decreto deve essere pubblicato nel verbale della Congregazione Delle Cause dei Santi.

Il Sommo Pontefice comandò che fosse proseguita la causa dei Santi.

Dato a Roma, il 23 marzo d.C. 2017.

Cardinale Angelo Amato, SDB

prefetto

L.G.S. G.

 Marcello Bartolucci Archiep. Tit. Mevanensis, da Secretis


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