PAOLO VINCENTI: GARBO-FAUST’O: MUSICHE ALTRE

GARBO-FAUST’O: MUSICHE ALTRE

“A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata
A Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie
Uh! Com’è difficile restare calmi e indifferenti
Mentre tutti intorno fanno rumore”

(Franco Battiato – Bandiera bianca)

Nel 1978, Andrea Tich cantava Masturbati, e con una scelta coraggiosa intitolava così anche il suo album. Nello stesso momento, Faust’O cantava Il mio sesso. Ma, se non si era fedeli adepti dell’onanismo, la scelta diventava essenzialmente musicale e da questo punto di vista Faust’O sembrava subito più interessante di Tich. Quelli erano tempi di sperimentalismo, è vero, basti pensare alla progressive di cui Claudio Rocchi, produttore dell’album di Tich, era uno degli esponenti di spicco. Ma nella affannata voglia di stupire, c’era sempre chi stupiva di più, e in quelle “musiche altre”, qualcuno, si pensi a Franco Battiato, si trovava a lasciare davvero un segno coi suoi “solchi sperimentali”, per dirla col titolo del libro di Antonello Cresti (Solchi Sperimentali Italia. 50 anni di italiche musiche altre, Crac Edizioni, 2015). Fausto Rossi, che sceglie come pseudonimo Faust’O, si ispira alla musica d’Oltremanica dei vari David Bowe, Lou Red, Iggy Pop, anche per certe pose poco convenzionali, e il suo esordio con Suicidio (1978) viene molto lodato dalla critica. In effetti si rivela alquanto innovativo. Dovete ascoltare quel primo album di Fausto: Godi / Bastardi / Piccolo lord / Il mio sesso / Eccolo qua / C’è un posto caldo / Innocenza / Benvenuti tra i rifiuti / Suicidio.

Molto sperimentale e magmatico anche il secondo album del 1979, Poco zucchero, con Vincent Price / Cosa rimane / Attori malinconici / Oh! Oh! Oh! / In tua assenza / Kleenex / Il lungo addio / Funerale a Praga. “Sperimentare” era davvero la parola d’ordine di quegli anni per certi artisti italiani innovatori, anche se la “ricerca” doveva passare dal feticismo del membro maschile come per Andrea Tich, il quale, epigono di Frank Zappa, nel suo disco d’esordio insiste sul sesso spinto con Uccello e su altri temi provocatori come quello della droga, conOdore d’erba, o su canzoni a sfondo gay come La primavera nel bosco. Si era in piena epopea della liberazione sessuale e se ne facevano portabandiera gli spiriti più aperti come Tich: “Il risultato è un misto tra il Syd Barrett solista, le filastrocche per bambini e la spiazzante follia tipicamente zappiana”, come scrive Vittorio Papa in rete su un sito significativamente intitolato “orrore33giri.com”. Erano gli anni della new wave che si rifaceva a David Bowe, Roxy Music, Japan. E in quegli anni fiorì anche Garbo, al secolo Renato Abate, che di Faust’O sembrava il fratello separato alla nascita. Stesso imprinting, stessi testi visionari per quanto (specie quelli garbiani) inconsistenti, stesso timbro vocale. Per i primi album le due voci si possono addirittura sovrapporre senza accorgersi della differenza. Il primo lavoro di Garbo, A Berlino… Va Bene (1981),è chiaramente ispirato al Bowe della trilogia berlinese ma con una differenza abissale, la stessa che corre fra Van Gogh e Teomondo Scrofolo dell’Asta tosta di Ezio Greggio, oppure fra Achille Bonito Oliva e Andrea Diprè.Nel 1982 è la volta dell’album Scortati. Nel 1984, Garbo partecipa al Festival di Sanremo con Radioclima, ed è con questa canzone che io, all’epoca imberbe ragazzetto, poco glam e molto rustego, lo scopro, e per un’estate me ne infatuo. Una esaltazione esclusivamente musicale, probabilmente dovuta al fascino del mistero, di una musica e di un testo, quello di Radioclima, di cui a distanza di tanti anni mi chiedo: che cazzo voleva dire? Nel 1984 esce l’antologia Fotografie.

Certo, il glam rock è seducente se fatto da Brian Ferry o Rod Stewart, ma proposto dal milanese Garbo è un’altra cosa. Forse Garbo era destinato, come altre meteore della musica italiana, a finire già dagli anni Novanta in quel cono d’ombra che i sapienti musicali nobilitano definendolo scena indipendente o, anche, indie, che però con le praterie dell’Arizona o del Nuovo Messico degli indiani Navajo c’entra come il ketchup con i maccheroni che addenta Alberto Sordi nella mitica scena di Un Americano a Roma. Intanto nel 1980, Faust’O pubblica J’accuse…….amore mio, molto meno interessante dei primi due. Con l’album Out Now, del 1982, un disco strumentale di musica elettronica, per me Fausto Rossi non aveva più niente da dire ed era meglio che lasciasse il posto ad un altro Rossi, astro nascente del firmamento rock, ovvero il Vasco nazionale, assunto poi con tutto il corpo nell’empireo della musica italiana e divenuto a partire da quegli anni il mio beniamino. Nel 1985 Garbo partecipa nuovamente al Festival di Sanremo con il brano Cose Veloci, e nel 1986 pubblica l’album Il Fiume, col singolo omonimo, che a me piaceva moltissimo. Nel 1988 esce l’album Manifesti, che contiene il singolo ExtraGarbo.

Ah, gli anni Ottanta e Novanta: si divorava ogni tipo di musica, di fumetti e di libri, sempre in cerca di qualcosa di nuovo, curioso, di una nuova illuminazione, del proprio personale Nirvana. Intanto iniziava una nuova stagione per Fausto Rossi che con gli album Cambiano le cose (1992), L’erba (1995), Exit (1997), proponeva canzoni più impegnate socialmente che ne facevano una sorta di guru per il ristretto gruppo di adoratori che ancora lo segue. Una specie di santone dal tasso alcolemico elevato che cita, fra una canna e un contrò, Cristo e Schopenhauer, Buddha e Pasolini. Che tipi, Garbo e Faust’O.

Come omaggio personale al percorso spirituale di Fausto Rossi propongo questo mio testo che, apparentemente impegnato per via del titolo in latino, non vuol dir nulla, proprio come le canzoni di Garbo.

Nullum sine exitu iter est

Si parte e si torna

di necessità si va

non c’è alba al mondo

cui non segua il tramonto

si parte per tornare

e si torna per partire

un’altra volta ancora

non c’è viaggio senza fine

nessun tramonto al mondo

cui non segua l’alba un giorno

di necessità si va

si parte e si torna

non c’è alba al mondo

cui non segua il tramonto

PAOLO VINCENTI


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