“Sul margine” di Maria Allo, nota di lettura Laura D’Angelo

Un tessuto lirico complesso permea questa raccolta liminare in cui pure l’esperienza odeporica diventa metafora della vita e della parola, movimento continuo eppure limite invalicabile, cui l’io si adombra o riluce. Sì perché in Sul margine, l’ultima raccolta poetica di Maria Allo (Interno Libri Edizioni 2023, prefazione di Franca Alaimo), l’ispirazione che ne è alla base sottende un sostrato culturale letterario ricco e profondo, che affonda nella letteratura classica fino ad abbracciare i temi lirici della contemporaneità, e della più squisita letteratura moderna. La poesia della Allo ha infatti il sapore salmastro e ferino della natura originaria, che fa da cornice ora in un’esplosione, ora in un decoro sottile di fioriture e luci e ombre all’esistenza umana, alla centralità di una parola che eredita il peso dell’assenza e del dolore, e dunque interpreta la transitorietà del vivere e dell’esistere: «Quando il silenzio prende la parola / fioriscono glicini nelle tempie» (M. Allo, p.60).
 
È il nome che nel testo diventa significante simbolico dell’identità, seppur labile e fuggevole, il nome che definisce se stesso e il mondo, seppur puro suono, fragile eppure permeato di senso, di sentimento, di essenza. Il segno linguistico si carica di validità semantica ed espressiva per tornare al sema della parola pura e padrona della tradizione, la parola piena di senso, l’onoma che deriva da una corrispondenza di segno e suono e che significa appunto nominare le cose per riconoscerle nel loro valore intrinseco di pienezza e identità: «come in cerchi larghi ai suoni/ di una tempesta un ritmo di dettagli/ sciama veloce contro la tua porta» (p. 15).
 
La Allo incastona il tema della centralità della parola fin dalle epitomi proemiali, poste in apertura di libello, in cui la lingua nella sua oralità originaria riacquista valenza identitaria e diventa quel collante capace di evitare la disgregazione, elemento unitario di una sostanza verbale intesa come corpo e anima. Da qui il valore della memoria, del ricordare, del tramandare, tanto caro ai lirici greci nell’idea di perpetuazione identitaria e canto, nel limen dell’io e del mondo, tra cielo e mare, sulla soglia dell’essere e del non essere, «fra tante moltitudini/ oltre lo sguardo dovunque/ come lingua umana/ memoria e riscatto/ quando tutto è perduto» (p.28).
 
Non omnis moriar, scrive Orazio, in un canto in cui la poesia rappresenta il monumento più duraturo del bronzo, in cui l’idea della morte svanisce nell’illusione della gloria imperitura. Eppure in questo viaggio poetico di fila di alberi e scie di maree e onde, in cui si alternano umanità travagliate e esistenze anonime, in cui il dolore semplicemente è (c’è come un dolore), e l’amore si dipana nelle venature dei giorni, nella filigrana delle cose, in cui ci si inabissa ma da cui pure si vede affiorare la luce, il canto si declina in una dichiarazione di sentita umanità. Sul margine, come dice la Allo, resta appunto il resistere: «ora il mandorlo fiorito si china/ a cercare quel sogno/ mentre la vita dilegua alla sua foce». (p.21).

Laura D’Angelo

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Come lombrichi  

Riconobbi all’istante la voce che salva
Dalla resina dei rami vidi
pupille di stagioni e vi appoggiai la fronte
ora il mandorlo fiorito si china
a cercare quel sogno
mentre la vita dilegua alla sua foce
In cammino la luce di maggio
si annida sulla salsedine
esplode con gli odori del glicine
nel frastuono dei merli al mattino
L’aria si fa carne quanto maggio
nel fremito di vita che ascende
all’orizzonte ma a radicarsi
è questo silenzio nudo
Volteggia su pagine mai scritte
come i rami di ulivo bianco
smembrato da un duro inverno
Per la via si fa largo
ora e noi con passi quieti
come lombrichi in umidi suoli

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Sulle bocche 

 Sulle bocche fiorisce il deserto
A volte un pampino può sfiorarci
nel mezzo della notte
disseminare sulla battigia sassi levigati
inseguire fantasmi di nereidi
ma non sapremo mai quanto durerà
Sulle nostre bocche fiorisce l’attesa
recide l’aria densa di aromi inchiodati
alle narici su improvvisi fili di pioggia
seme o prova di memoria salvifica
con lo sgomento di essere vivi
Sulle bocche fiorisce la polvere
a volte puntella l’ombra ma sciupa
la vita stessa su tutta la terra
Vedi così agisce la luce
eppure in un punto convergente
nulla accadrà mai invano

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ΦΩ͂Σ (LUCE)  

Caviglie trattenute sul flutto che scorre
Passerà questo tempo così come si riproduce
nel profondo un sempreverde e ramifica
in ogni incisione di un cortile ignorato
Un dio errante con ali distese reggerà
il brusio della vita che cede e anche
se gli occhi non riescono a vedere
una feritoia di luce schiude un volto
prima della parola a metà strada

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Donarsi

Stringersi nelle ciglia vivi e assenti
forse donarsi assomiglia alla vita
come al desiderio reale immaginario
che cerca l’uno di raggiungere l’altro
avanzando sempre più in dentro
con alti e bassi per riconoscersi

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Di fronte all’angelo della morte  

Mille volti tratteggiano quel senso perduto dentro la
magnolia. Il piede inciampa sui sentieri di ghiaia ma non
fa male più di quanto può farti male un fallimento. Eppure
i frammenti su cui costruire un riparo richiedono un
inizio e la pietà aleggia striata di premonizioni. Ho il peso
dei sogni nelle mani ma la forma, disperdendosi, chiude
ogni spiraglio. Placare le palpebre stanche e rannicchiarsi
dentro questo flusso che restituisce le chiavi della memoria
non intralcia la vista e la sua voce mi raggiunge sempre.
Ripiegarsi nelle giunture di una foglia di aloe nei dettagli
misteriosi delle pagine di Rimbaud e fiutarne i suoni che
si levano sancisce la risposta alle attese. Identità disperse
bruciano nel profondo reclamando parole laboriose per
snodare spazi raggrumati nel vuoto. Le radici covano quasi
inavvertitamente, pronti a germogliare in chi ha visto tutto.
Sconosciuta a me stessa come la voce che mi chiama e
colma di parole sento l’oscuro germinare dei semi chiusi
come la pioggia in un terreno arido per vivere una vita più
alta e non perdere di vista la direzione. Questo è quanto
vale nell’ oscillare della terra.

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Maria Allo, laurea in Lettere classiche, vive e opera tra Catania e Parigi. Tra le sue raccolte di poesie: I sentieri della speranza (Gabrieli editore, 1985), Riflessi di rugiada (Albatros, Nuove voci, 2011), Al dio dei ritorni (Galassia Arte, 2014), Solchi. La parabola si compie nei risvegli (L’Arcolaio, 2016), La terra che rimane (Edizioni Controluna, 2018), Talenti di donna(Onirica edizioni, 2013) come curatore, Radure (Ladolfi, 2019), Sul margine  (Interno Libri 2003).È autrice di saggi sulla poesia di altri autori, presente in molte antologie e riviste, ha tradotto un poemetto L’ombra di Athos, testi di Canti di misconosciuta gloria e Guida per la sopravvivenza di giovani esordienti del poeta greco Σωτήριος Παστάκας. Traduce testi di poeti greci su Εξιτήριον. Il suo blog di riferimento: nugae11.wordpress.com.

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Laura D’Angelo è critico letterario, narratrice e poetessa. Ha pubblicato con interessanti riscontri critici Cuore puro (Interno Libri, 2024), Poesia dell’assenza (Il Convivio, 2023), Sua maestà di un amore (Scatole Parlanti, 2021). Dottore di ricerca in Studi umanistici e filologa classica, si dedica alla scrittura scientifica su riviste accademiche di poesia e di letteratura e alla narrativa per giovani, tra cui «Gradiva – International Journal of Italian Poetry», ed. Olschki, Firenze; «Letteratura e dialetti», «Studi medievali e moderni». È redattrice inoltre delle riviste Insula europea, Versolibero, Verbumpress, Radici Digitali.eu. Suoi scritti sono stati pubblicati su «La Repubblica» (La bottega della Poesia- Bari), su litblog e siti di poesia e letteratura online come Il blog di Interno Poesia, Pelagos Letteratura, Le parole di Fedro, Il giardino dei poeti, La rosa in più.


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