Giancarlo Locarno: Tangenziale Ovest e altre due cose

G.Locarno – traffico in tangenziale- acquerello
Tangenziale Ovest

Al sommergibile che attraversò Milano
servirono tutte le mille mani che il Buddha della compassione
ebbe in dono dal veicolo adamantino
per bussare alle case con le grate alle finestre
all’altezza del piano autostradale.
Dentro si impara in fretta
a fissare le fughe delle piastrelle e il tirabusciòn caduto
esasperato dall’antilupo alle corde per stendere i panni,
e a far rivestire la nuda esistenza
da uno stilista minimale.

Negli avanzi del sonno
sotto il lettone con nonna e la gatta
dalle cose confuse si desta l’ingegno a nuove invenzioni
all’angolo di becco travi di legno e salnitri ai soffitti
dormivegliati a macchie di Leonardo.

Prima di arrivare all’altare della Madonna
Il mio innominato è morto
quando accadde disse proprio: GULP !
come Paperino nel suo fumetto.
Ora si decompone nel giardino ad hoc
sotto costellazioni di marmo e travertino.

E il suo primo fischio partì quando si accorsero che
non c’era niente in televisione per questo dasein
proprio nel giorno del caput corvi
li richiamò giù dalla tangenziale della Brianza
dove scorgevano per la prima volta Milano sotto una cappa grigia
che avvolge e non protegge
le quattro partite senza risposta
tra la biancheria da stirare
e una pastorale del lavoro
che non declina col giorno
ma telefona ancora
ogni volta che viene raggiunta dal turno di notte.

C’ero anch’io alle crisi di panico
nella sala macchine
accanto all’amico che dorme allungando le gambe
si aspettavano nuovi orrori dall’anno duemila
casomai….si disse..
i registri dell’assembler avessero caricato il secolo sbagliato.

E il secondo fischio fu quello del robot dei nastri
che girano alle luci dei server, al fruscio del condizionamento
La luce ingabbiata nelle fibre ottiche
mi suggerisce l’idea:
accosto l’accendino all’estremità del cavo spezzato
all’altro capo
al piano di sopra
se vedo i soffi di luce so che sei vivo e ti tranquillizzi
fissa il puntale, senza paura dell’aura dei dieci Sefirot di luce
e dello sgocciolio dell’ acqua nel doppiofondo del pavimento
fino al centro stella della Sefer Yesirah
dove sai che dormono le bombole dell’argon
sul’ escon di spoglia.

Saggiamente curvò la volta stellare il capo del personale
Mi disse: ‘non spenderti per questo
non si è mai sporcato le mani
ha lasciato Ambrogio sulla tangenziale vicino a Robecchetto
perché doveva andare a ballare
e aveva un appuntamento con una alle sei e mezzo’.

Quella volta Ambrogio ha avuto davvero paura
non c’erano tram né niente sulla tangenziale.
Anche la sera cadde all’orario stabilito dalle orbite.

Ci ho mandato allora quello che gira con la macchina aziendale
a raccogliere i rottami, ma prima passava un’ora da lei
teneva l’ossigeno, così era libera
di andare a fare la spesa almeno
e lo sciopero per la salvaguardia dell’articolo 18.

Li seguo nell’intreccio dei fili
sul traliccio della luce come un rondone
e fermo il carro di Tespi davanti al collettivo
della via dei transiti.

Il coreuta col diaframma raccoglie e sostiene un canto
‘gli affari degli empi prosperano’
suggerisce, sommesso salmista di una scienza che scade
nel candore, attraversando la città nel buio
della creazione, abbandonata nello spazio
che penso avvolgere le cose con qualcosa di tenero
come le parole che non occupano spazio
e che sogniamo nelle mille dimensioni delle mani
come se dovessero prendere corpo nel paesaggio
per disvelare la loro visione.

Lo so che morirò in qualche rogo sulla tangenziale ovest
attraversando la barriera di Terrazzano
con la nigredo che cade e irrompe come mondo
dove meno ce lo saremmo aspettati
nell’angolo più riposto della scatola del silenzio
di un ultimo film di Bergman.
nel reostato della lanterna.

C’è anche un bonzo che brucia a Saigon.

La pellicola annerita
cigola nel raddrizzatore.

Passano autoclavi di controargomenti
davanti alle case che hanno le grate alle finestre
all’altezza del piano autostradale
e un popolo in declino.




Senza titolo

Spesso prendo il caffè
con gli umbriferi prefazi
d'una vecchiezza contaminata.

L’infanzia l’ho ancora
profonda nel miro gurge
dove l’argonauta ha il suo nido d’amore
e un Icaro mi perseguiterà sempre
quasi fossi il responsabile
del suo salto dal sole
sulla tromba concava delle scale.

Eppure porto ancora le rose di plastica
sull’invetriata del nido dove nacque.

Se non che
quella volta
a maggior bando delle anime conserte
la ragazza del tram accese il rossetto
sullo spartiacque
che valse a declamare il resto della mattinata.



Entanglement
(Da un verso di Esiodo)


Κρύψαντες γὰρ ἔχουσι θεοὶ βίον ἀνθρώποισιν (*)
un coup di mano, il dubbio d‘infosso
l’arsi che l’armonia ci adombra
quasi una traversata del mar rosso.

Sotto terra il tensore dei dadi
in proprio riprende il tutto-brutto
di tempo allibito e desolato
corpi-paesaggio zillan simil-tiadi.

Lascio a quella convocazione il limes
di un cosmo a quadretti di terza
groviglio di grinfie e di persone

la stringa briga in moto d’equilibrio
- né sfaglio né tabernaculazione -
si ricompone in sferza per cranio.

* Gli dei tengono nascosto agli uomini il senso della vita






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