Al sommergibile che attraversò Milano servirono tutte le mille mani che il Buddha della compassione ebbe in dono dal veicolo adamantino per bussare alle case con le grate alle finestre all’altezza del piano autostradale. Dentro si impara in fretta a fissare le fughe delle piastrelle e il tirabusciòn caduto esasperato dall’antilupo alle corde per stendere i panni, e a far rivestire la nuda esistenza da uno stilista minimale.
Negli avanzi del sonno sotto il lettone con nonna e la gatta “dalle cose confuse si desta l’ingegno a nuove invenzioni” all’angolo di becco travi di legno e salnitri ai soffitti dormivegliati a macchie di Leonardo.
Prima di arrivare all’altare della Madonna Il mio innominato è morto quando accadde disse proprio: GULP ! come Paperino nel suo fumetto. Ora si decompone nel giardino ad hoc sotto costellazioni di marmo e travertino.
E il suo primo fischio partì quando si accorsero che non c’era niente in televisione per questo dasein proprio nel giorno del caput corvi li richiamò giù dalla tangenziale della Brianza dove scorgevano per la prima volta Milano sotto una cappa grigia che avvolge e non protegge le quattro partite senza risposta tra la biancheria da stirare e una pastorale del lavoro che non declina col giorno ma telefona ancora ogni volta che viene raggiunta dal turno di notte.
C’ero anch’io alle crisi di panico nella sala macchine accanto all’amico che dorme allungando le gambe si aspettavano nuovi orrori dall’anno duemila casomai….si disse.. i registri dell’assembler avessero caricato il secolo sbagliato.
E il secondo fischio fu quello del robot dei nastri che girano alle luci dei server, al fruscio del condizionamento La luce ingabbiata nelle fibre ottiche mi suggerisce l’idea: accosto l’accendino all’estremità del cavo spezzato all’altro capo al piano di sopra se vedo i soffi di luce so che sei vivo e ti tranquillizzi fissa il puntale, senza paura dell’aura dei dieci Sefirot di luce e dello sgocciolio dell’ acqua nel doppiofondo del pavimento fino al centro stella della Sefer Yesirah dove sai che dormono le bombole dell’argon sul’ escon di spoglia.
Saggiamente curvò la volta stellare il capo del personale Mi disse: ‘non spenderti per questo non si è mai sporcato le mani ha lasciato Ambrogio sulla tangenziale vicino a Robecchetto perché doveva andare a ballare e aveva un appuntamento con una alle sei e mezzo’.
Quella volta Ambrogio ha avuto davvero paura non c’erano tram né niente sulla tangenziale. Anche la sera cadde all’orario stabilito dalle orbite.
Ci ho mandato allora quello che gira con la macchina aziendale a raccogliere i rottami, ma prima passava un’ora da lei teneva l’ossigeno, così era libera di andare a fare la spesa almeno e lo sciopero per la salvaguardia dell’articolo 18.
Li seguo nell’intreccio dei fili sul traliccio della luce come un rondone e fermo il carro di Tespi davanti al collettivo della via dei transiti.
Il coreuta col diaframma raccoglie e sostiene un canto ‘gli affari degli empi prosperano’ suggerisce, sommesso salmista di una scienza che scade nel candore, attraversando la città nel buio della creazione, abbandonata nello spazio che penso avvolgere le cose con qualcosa di tenero come le parole che non occupano spazio e che sogniamo nelle mille dimensioni delle mani come se dovessero prendere corpo nel paesaggio per disvelare la loro visione.
Lo so che morirò in qualche rogo sulla tangenziale ovest attraversando la barriera di Terrazzano con la nigredo che cade e irrompe come mondo dove meno ce lo saremmo aspettati nell’angolo più riposto della scatola del silenzio di un ultimo film di Bergman. nel reostato della lanterna.
C’è anche un bonzo che brucia a Saigon.
La pellicola annerita cigola nel raddrizzatore.
Passano autoclavi di controargomenti davanti alle case che hanno le grate alle finestre all’altezza del piano autostradale e un popolo in declino.
Senza titolo
Spesso prendo il caffè con gli umbriferi prefazi d'una vecchiezza contaminata.
L’infanzia l’ho ancora profonda nel miro gurge dove l’argonauta ha il suo nido d’amore e un Icaro mi perseguiterà sempre quasi fossi il responsabile del suo salto dal sole sulla tromba concava delle scale.
Eppure porto ancora le rose di plastica sull’invetriata del nido dove nacque.
Se non che quella volta a maggior bando delle anime conserte la ragazza del tram accese il rossetto sullo spartiacque che valse a declamare il resto della mattinata.
Entanglement (Da un verso di Esiodo)
Κρύψαντες γὰρ ἔχουσι θεοὶ βίον ἀνθρώποισιν (*) un coup di mano, il dubbio d‘infosso l’arsi che l’armonia ci adombra quasi una traversata del mar rosso.
Sotto terra il tensore dei dadi in proprio riprende il tutto-brutto di tempo allibito e desolato corpi-paesaggio zillan simil-tiadi.
Lascio a quella convocazione il limes di un cosmo a quadretti di terza groviglio di grinfie e di persone
la stringa briga in moto d’equilibrio - né sfaglio né tabernaculazione - si ricompone in sferza per cranio.
* Gli dei tengono nascosto agli uomini il senso della vita