L’AMORE CHE NOI DICEVAMO
L’amore
Che noi seguivamo
Cominciava sempre dalla fine
Come se tutto il nostro presunto sapere
Rimasto di stucco in mutande allo specchio
Scoppiando a ridere improvviso
Scoprisse finalmente tutto il vero
Nel volto trasparente di un istante
Tutte le parole fuori
Mute, in fila indiana
In attesa che uscissero dal bagno
Gli aggettivi, i concetti, i “giusti” pensieri
Chiusi là dentro (da una vita) a ben truccarsi
Dato che,
Alla fine, parve chiaro:
È roba più faceta che seria
L’ansia eterna da vuoto in ritorno
E quanta inconsistenza, guarda
In ogni “credo” addestrato dall’alto
E quale assurda e autopunitiva furberia
Nel pieno bisognoso d’io sanguinante dal basso
E dunque
L’amore che noi seguivamo
Annaspava fin dal principio
Come quando l’anima, incerta sul da farsi
Recintava lo spirito con fermezza da filo spinato
E gli occhi piegavano lo sguardo
E gli angeli se la davano a gambe
E i cuori colorivano il buio, di educate scadenze
Un po’ per darsi un tono
O forse più per non pensarsi
In attesa che arrivasse l’ora del gong
E che qualcuno – dal cielo o dall’inferno –
Indossasse la terra a mo’ di scialle di salvezza
E i treni passavano
Sulle pelli e sulle tende degli indiani
Di modo da civilizzare a colpi di cielo in blue jeans
L’ignoranza delle frecce sfuggenti al progresso
E farci poi dei grandi film
Dapprima molto pistoleri e poi pentiti, che,
Coi lupi, o prima o poi ci tocca ballar tutti
A seconda delle esigenze del mercato, o degli agnelli
E insomma
L’amore che noi dicevamo
Era tutto fuorché un fatto
Qualcosa di suggerito, attualizzato,
Mal copiato, da ripetere a memoria
Per non disturbare: per non fare
Troppo male
Al nostro male.
Simone Cocco
*
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